05/06/2019 – La quota fissa della TIA/TARI è dovuta anche se il contribuente non produce rifiuti

La quota fissa della TIA/TARI è dovuta anche se il contribuente non produce rifiuti

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14038, del 23 maggio 2019, nell’accogliere il ricorso della società che gestisce la raccolta dei rifiuti nei confronti di una società, ha affermato che la TIA (il concetto è applicabile anche alla TARI) è sempre dovuta sulla quota fissa, mentre per la quota variabile il tributo è dovuto se il servizio è attivato e si producono rifiuti conferibili.
Il contenzioso
Con sentenza dell’agosto 2015, la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello proposto della società di riscossione del servizio di rifiuti avverso la sentenza del febbraio 2015 della Commissione Tributaria Provinciale; il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di una cartella esattoriale, relativa al mancato pagamento di fatture emesse da una Consorzio riguardante la TIA per gli anni dal 2004 al 2009, in relazione ad uno stabilimento di circa mq 10.000, con esclusivo riferimento alle aree adibite a produzione ed a magazzino di prodotto finito, di cui la contribuente contestava l’assoggettamento a tassazione per la mancata produzione di sostanze qualificabili come rifiuti urbani non riciclabili.
La C.T.P. aveva rigettato il ricorso ritenendo dovuta la parte fissa della TIA, ancorata alla superficie occupata, e non provata la mancata produzione di rifiuti urbani sull’intera superficie.
La C.T.R. aveva evidenziato che l’ente impositore aveva ritirato i cassonetti e non provvedeva più ad alcuna raccolta; i giudici del merito di secondo grado accoglievano l’appello, ritenendo provato che dall’attività di produzione di imballaggi di carte e cartone svolta nello stabilimento residuavano solo sfridi di cartone che, riciclati, venivano rivenduti a terzi, e rifiuti speciali non assimilati, quali inchiostri e lubrificanti, smaltiti autonomamente con ditte esterne; escludeva quindi dalla tassazione anche le superfici adibite a produzione ed a magazzino di prodotto finito, in quanto inidonee alla produzione di rifiuti, sia per la parte fissa, che per quella variabile già richiesta in misura ridotta.
Avverso la sentenza di appello sfavorevole la società, subentrata ai consorzi comunali nella gestione integrata dei rifiuti urbani, ha proposto ricorso per cassazione.
Le motivazioni del ricorso
Con il primo motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 49D.Lgs. n. 22 del 1997 e degli artt. 234 e 6D.P.R. n. 158 del 1999, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, dando rilevanza all’avvenuto ritiro dei cassonetti, ha escluso che la società contribuente fosse tenuta al pagamento della quota fissa della tariffa TIA, dovuta invece, a prescindere da un nesso sinallagmatico con il servizio, sulla base del mero possesso o detenzione di locali, a qualsiasi uso adibiti, nel territorio comunale, a copertura dei costi generali del servizio.
Con il secondo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 49D.Lgs. n. 22 del 1997, degli artt. 6, comma 2, e 7 D.P.R. n. 158 del 1999 e dell’art. 2697 c.c., contestando il riconoscimento dell’esenzione integrale anche della parte variabile, pur in assenza di prova della incapacità assoluta delle aree in contestazione, di produrre qualsiasi tipo di rifiuto.
L’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione osserva che la questione controversa attiene ai presupposti impositivi della quota fissa della tariffa di igiene ambientale, cd. TIA, disciplinata dall’art. 49 del c.d. “decreto Ronchi” (il D.Lgs. n. 22 del 1997, successivamente modificato dall’art. 1, comma 28, L. 9 dicembre 1998, n. 426, e dall’art. 33L. 23 dicembre 1999, n. 488).
Per effetto dell’attuazione delle direttive 91/156/CEE91/689/CEE e 94/62/CE, tale norma ha stabilito l’obbligo dei Comuni di effettuare, in regime di privativa, la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati e, in particolare, ha previsto l’istituzione, da parte dei Comuni medesimi, di una «tariffa» per la copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, nelle zone del territorio comunale, «composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio».
Con successivo regolamento del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, approvato con il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, è stato elaborato il metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento.
E’ tenuto al pagamento della tariffa «chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale»; è prevista poi una riduzione nei casi in cui il produttore di rifiuti assimilati dimostri (mediante attestazione rilasciata da chi effettui il recupero) di aver avviato detti rifiuti al recupero.
A differenza della normativa sulla TARSU, l’art. 49 del “decreto Ronchi” stabilisce, pertanto, che la TIA deve sempre coprire l’intero costo del servizio di gestione dei rifiuti e che detta tariffa è dovuta anche per la gestione dei rifiuti “esterni”.
Secondo i criteri di commisurazione del prelievo, di cui al comma 4, del citato art. 49, la TIA è suddivisa in una parte fissa (concernente le componenti essenziali del costo del servizio – compreso quello dello spazzamento delle strade -, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti) ed in una parte variabile (rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione).
I criteri di determinazione di tali due parti della TIA sono contenuti nel D.P.R. n. 158 del 1999, che prevede indici costruiti, tra l’altro, sulla quantità totale dei rifiuti prodotti nel Comune, sulla superficie delle utenze, sul numero dei componenti il nucleo familiare delle utenze domestiche, su coefficienti di potenziale produzione di rifiuti secondo le varie attività esercitate nell’ambito delle utenze non domestiche.
Ai sensi dell’art. 49, comma 14, D.Lgs. n. 22 del 1997, l’autonomo avviamento a recupero dei rifiuti, da parte del produttore di essi, non comporta l’esclusione dal pagamento dell’imposta, ma determina una riduzione proporzionale della sola parte variabile di tale tariffa, con una disposizione analoga al comma 2, dell’art. 67D.Lgs. n. 507 del 1993 in tema di TARSU.
Come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 238 del 2009, la TIA, a differenza della TARSU, ha la funzione di coprire il costo dei servizi di smaltimento concernenti i rifiuti non solo “interni”, cioè prodotti o producibili dal singolo soggetto passivo che può avvalersi del servizio, ma anche “esterni”, quali i «rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico», e quindi di coprire anche le pubbliche spese afferenti ad un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente.
Tale differenza si ripercuote anche sull’entità del prelievo: mentre per la TARSU il gettito deve corrispondere ad un ammontare compreso tra l’intero costo del servizio ed un minimo costituito da una percentuale di tale costo, determinata in funzione della situazione finanziaria del Comune , per la TIA il gettito deve, invece, assicurare sempre l’integrale copertura del costo dei servizi.
La Cassazione osserva che la quota fissa della TIA è dovuta sempre per intero, sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, in quanto destinata a finanziare i costi essenziali del servizio nell’interesse dell’intera collettività, mentre ogni valutazione in ordine alla quantità di rifiuti concretamente prodotti dal singolo, ed al servizio effettivamente erogato in suo favore, potrà incidere solo ed esclusivamente sulla parte variabile della tariffa.
La Cassazione ritiene che , con riferimento al primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata nella parte in cui ha disposto l’esclusione delle aree destinate a produzione ed a magazzino di prodotto finito dall’obbligo di pagamento della quota fissa, trattandosi di superfici potenzialmente idonee alla produzione di rifiuti urbani, senza che a tal fine rilevi né la mancata produzione in concreto di rifiuti urbani o assimilati né la mancata fruizione del servizio pur istituito.
Per la Cassazione, inoltre, anche il secondo motivo di ricorso va invece rigettato.
Per i giudici di legittimità va innanzitutto premesso, in continuità con quanto affermato in relazione al primo motivo, che a differenza di quanto previsto per la quota fissa, la qualità e quantità di rifiuti prodotti incide nella determinazione della quota variabile della TIA che può essere legittimamente pretesa, in misura intera o ridotta, solo in presenza di una effettiva produzione di rifiuti urbani o assimilati, con conseguente esclusione dell’assoggettamento a tale parte del tributo di quelle superfici ove il contribuente dimostri di non produrre rifiuti o di produrre esclusivamente rifiuti speciali smaltiti, pertanto, autonomamente.
Per la Cassazione il presupposto impositivo della parte variabile della TIA va individuato nella produzione effettiva di rifiuti urbani o assimilati; per questi ultimi, laddove sia stato istituito ed effettivamente svolto il servizio per tale smaltimento, può trovare applicazione la facoltà dei Comuni di prevedere una riduzione, sempre della sola parte variabile della tariffa, ai sensi del comma 14, dell’art. 49 citato, nel caso in cui il contribuente provi di smaltire in proprio, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati prodotti.

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto