05/06/2019 – Beni Ambientali. Nozione di superficie utile in ambito paesaggistico

Beni Ambientali. Nozione di superficie utile in ambito paesaggistico

Pubblicato: 05 Giugno 2019
TAR Lombardia (MI) Sez.II n. 1034 del 8 maggio 2019
Il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a ogni nuova edificazione comportante creazione di volume, sicché in tali casi non è possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, essendo precluso, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del D.Lgs. 42/2004, il rilascio di autorizzazioni in sanatoria qualora siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura; né induce a diverse conclusioni il carattere pertinenziale dei manufatti, essendo notorio che le opere edilizie abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, quand’anche da ascrivere ad opere pertinenziali o precarie, si considerano comunque eseguite in totale difformità dall’eventuale titolo edilizio, e quindi soggette all’applicazione della sanzione demolitoria, ove non sia stata ottenuta la previa autorizzazione paesaggistica
 
Pubblicato il 08/05/2019

N. 01034/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00869/2016 REG.RIC.

N. 02570/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 869 del 2016, proposto da

Twins Engineering S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Azienda Agricola Trendy Horse, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Alessia Bonasio, Richard Martini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alessia Bonasio in Milano, piazza Bertarelli, 1; nonché, dal 19.12.2017, dagli avvocati Guido Bardelli, Maria Alessandra Bazzani, Tommaso Sacconaghi, Richard Martini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Guido Bardelli in Milano, via Visconti di Modrone n. 12;

contro

Comune di Imbersago in persona del Sindaco pro tempore, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Manuela Sala, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marco Ciocchetta in Milano, via Savaré, 1;

nei confronti

Parco Adda Nord, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Cattalini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

sul ricorso numero di registro generale 2570 del 2017, proposto da

Twins Engineering S.r.l., Trendy Horse di Perego Federico Diego, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Guido Bardelli, Maria Alessandra Bazzani, Tommaso Sacconaghi, Richard Martini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Guido Bardelli in Milano, via Visconti di Modrone, 12;

contro

Comune di Imbersago, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Manuela Sala, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marco Ciocchetta in Milano, via Savare’ 1;

Parco Adda Nord, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Cattalini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura dello Stato, domiciliato presso i suoi uffici, in Milano, via Freguglia, 1;

per l’annullamento

con il ricorso n. 869 del 2016:

dell’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi n. 3 del 21.1.2016, emessa dal Responsabile del servizio territorio del Comune di Imbersago;

dell’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi n. 1 del 12.1.2016, emessa dal Direttore del Parco Adda Nord;

nonché di ogni altro atto preordinato, presupposto e consequenziale;

con il ricorso n. 2570 del 2017:

– del provvedimento del Parco Adda Nord prot. n. 0002804 del 10 agosto 2017, successivamente ricevuto, mediante cui è stata rigettata la domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica prot. n. 055/2017 del 10 gennaio 2017 relativamente ad interventi volti alla riqualificazione di un’area degradata di proprietà di Twins Engineerig S.r.l. e condotti in locazione dalla Azienda Agricola Trendy Horse di Perego Federico Diego;

– del provvedimento del Comune di Imbersago prot. n. 6348 del 19 settembre 2017 mediante cui è stata rigettata la domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica prot. n. 239/2017 del 10 gennaio 2017 relativamente ad interventi volti alla riqualificazione di un’area degradata di proprietà di Twins Engineerig S.r.l. e condotti in locazione dalla Azienda Agricola Trendy Horse di Perego Federico Diego;

– del parere prot. n. 3692/DR del 14 giugno 2017 reso dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Como, Lecco, Monza e Brianza, Pavia, Sondrio e Varese in relazione alle domande di accertamento di compatibilità paesaggistica;

– di tutti gli ulteriori atti preordinati presupposti e/o connessi ivi compresi i pareri espressi dalla Commissione per il Paesaggio del Comune di Imbersago e del Parco Adda Nord in relazione alle istanze presentate.

con i motivi aggiunti dell’11.1.2018:

– del provvedimento prot. n. 7647 del 7 novembre 2017 con cui il Comune di Imbersago ha rigettato l’istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dalle ricorrenti in data 10 gennaio 2017;

– di ogni ulteriore atto preordinato presupposto e/o comunque connesso.

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Imbersago, del Parco Adda Nord e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (ora Ministero per i Beni e le Attività Culturali);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 marzo 2019 la dott.ssa Silvana Bini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I) La società Twins Engineering s.r.l. è proprietaria di un compendio immobiliare costituito da un immobile ad uso civile abitazione con annessi un fabbricato, un deposito attrezzi, nonché da un ampio terreno, nel Comune di Imbersago, individuato nel Catasto Terreni al fg. n. 3 mapp. nn. 228, 246, 252, 331, 332, 339, 350, 442, 628, 1038, 1045, 1060, 1589, 1592, 682, 1294, acquistato nel corso del 2006 e del 2007, dato in locazione alla società Trendy Horse.

Quest’ultima, come risulta dal certificato camerale, svolge attività di “allevamento di cavalli e altri equini, coltivazione di piccoli frutti e piante”, nonché attività di addestramento cavalli, maneggio, riabilitazione e pet therapy, che la stessa afferma riconducibile ad attività agro-silvo-pastorale.

II) Il Comune di Imbersago rilasciava nel corso degli anni titoli edilizi e paesaggistici per la sistemazione di vari immobili inclusi nel comprensorio: in particolare con i permessi di costruire n. 88/2007, n. 125/2009, n. 152/2011 n. 160/2011 e n. 164/2011 e l’autorizzazione paesistica n. 1/2013, è stata assentita la realizzazione di un deposito per attrezzi e macchinari per l’attività agricola. Nel 2013 la società Trendy realizzava, in forza dell’autorizzazione paesaggistica n. 1/2013 e del nulla-osta del 12.02.2013, una tensostruttura stagionale, amovibile, ad uso agricolo, da installarsi dal 15 ottobre al 15 aprile di ogni anno, per un periodo pari a cinque anni.

Nel corso degli anni la società Trendy Horse ha poi effettuato varie opere di sistemazione dei percorsi di accesso, dei sentieri interni alla proprietà, di rifacimento della pavimentazione, sostituendo i lastricati obsoleti, con materiali più naturali.

III) Nel corso del 2015 l’Amministrazione ha svolto due sopralluoghi: il primo, in data 1.10.2015, avente ad oggetto la tensostruttura, rispetto alla quale è stata contestata la realizzazione di opere eseguite in parte in parziale difformità dai titoli rilasciati, in parte in assenza di titolo; l’attività ispettiva si è conclusa con l’emanazione dell’ordinanza n. 60 del 04.11.2015 (impugnata con ricorso n. 3008/2015).

Veniva infatti riscontrato che la tensostruttura, ab origine autorizzata solo per il periodo 15/10 – 15/04 e mai rimossa, era stata realizzata con pilastri/colonne in ferro perimetrali di cm. 40×18 lungo i lati lunghi e di cm. 24×12 lungo i lati corti, con una struttura portante di copertura in legno lamellare e superiore manto di copertura in pannelli di legno e lamiera. Appoggiata a questa e senza soluzione di continuità, era presente un’altra struttura collegata di 30 mt di lunghezza, per larghezza di mt. 3,00 in due tratte e di mt. 7,00, nelle altre due, per una superficie stimata di mq. 147,00.

Durante il secondo sopralluogo, in data 5.10.2015, l’Amministrazione ha accertato l’esistenza di ulteriori opere abusive, distinguendo i vari manufatti, con la numerazione:

n. 1: corrispondente alla tensostruttura;

n. 2: si tratta di un manufatto con struttura portante in ferro a forma di decagono, con pilastri in ferro e copertura in legno, con lati da mt 5,60 e diametro di mt 18,50. Viene qualificata come giostra per cavalli, avendo in centro un tondino, con diametro di mt 14; la struttura è aperta, salvo delimitazione perimetrale con parapetti alti 1,50 mt in ferro ed elementi in legno; la pavimentazione della parte in cui girano i cavalli è in gomma, mentre la pavimentazione del tondino in terra e sabbia. L’opera risulta priva di titolo edilizio;

n. 3: un fabbricato destinato a deposito attrezzi, realizzato in difformità ai precedenti titoli edilizi rilasciati nel corso del 2007, 2009, 2011. Quanto alle dimensioni, vi è corrispondenza con le misure del progetto, per l’ingombro e per l’altezza interna, mentre l’interno a quanto indicato nel progetto. Infatti lo spazio destinato ad uso deposito attrezzi e materiali agricoli è occupato da una scuderia con n. 12 box per ricovero cavalli, ognuno delimitato da divisori in acciaio e legno, nonché da uno spazio per lavaggio dei cavalli. Non è utilizzato come deposito dei prodotti coltivati, ma come deposito di selle e strumenti per l’equitazione. All’interno è realizzato un soppalco, a cui si accede con scala di legno, sempre utilizzato come deposito/magazzino, con dimensioni di mt 3,70 per 3,10;

n. 4: manufatto corrispondente ad un trottatoio, in terra e sabbia, con dimensione di mt 50,15 di lunghezza e mt 25,25 di larghezza e delimato da una staccionata, con piantane e correnti in legno, alta 95 cm; intorno al trottatoio è realizzato un marciapiede perimetrale in lastre di pietra di larghezza pari a cm 85 e un cordolo, sempre in pietra, di spessore pari a cm 15.

Venivano contestate ulteriori opere realizzate in assenza di titoli: la pavimentazione in lastre di pietra, strade e percorsi di accesso eseguiti in battuto colorato con inerti, con bordature laterali in pietra, recinzioni tipo paddock a delimitazione degli spazi aperti, 4 box, detti capannine, per ricovero cavalli.

Parte delle opere (manufatto 2, pavimentazione, strade, recinzione e box) rientrano nel parco Adda Nord, classificato nel PTCP come area agricola ai sensi dell’art 22 NTA dello stesso PTC.

Tutta l’area è invece inclusa nel vigente PGT in zona T6 del territorio naturale del Comune di Imbersago, il cui territorio è a sua volta interessato da un vincolo ambientale-paesistico in base al D.M. 8.4.1969.

A fronte della comunicazione dell’avvio del procedimento, le società controdeducevano, evidenziando che gli interventi contestati non necessitavano di titoli edilizi/paesaggistici, non comportando creazione di volume e superfici utili: si trattava di opere di sistemazione del compendio, di modesta rilevanza, funzionali all’allevamento di cavalli.

Anche il fabbricato assentito come deposito attrezzi e trasformato in stalla per i cavalli rispetterebbe la destinazione d’uso.

Il procedimento si concludeva con l’ordinanza n. 3 del 21.1.2016, a firma del Responsabile del Servizio territorio del Comune di Imbersago, e con l’ordinanza n. 1 del 12.1.2016 del Parco Adda Nord, con le quali veniva ingiunta la demolizione di tutte le opere eseguite in assenza di titoli abilitativi e parte (manufatto 3) in difformità.

IV) Avverso i due provvedimenti è stato proposto ricorso (n. 869/2016), notificato in data 4.4.2016 e depositato il 16.4.2016, in cui sono articolati i seguenti motivi:

1) Violazione di legge, art 1 comma 2 L. 241/90, art 97 Cost., principio di non aggravio del procedimento; principio di buona amministrazione. Eccesso di potere per illogicità manifesta, per violazione del divieto di aggravamento, eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione.

L’Amministrazione ha effettuato due sopralluoghi a distanza di breve e tempo ed emanato due ordinanze, duplicando in tal modo inutilmente i procedimenti, nonché ponendo un aggravio di spese processuali;

2) Nel merito: ordinanza di demolizione n. 3/2016, violazione di legge e falsa applicazione: artt. 6 e 10 DPR 380/2001; violazione e falsa applicazione di legge; art. 149 comma 1 d. lgs. 42/2004; art. 33 L.R. 12/2005; natura degli interventi: attività edilizia libera; insussistenza dei presupposti per l’irrogazione della sanzione ex art. 31 e 34 DPR 380/2001; eccesso di potere; difetto di istruttoria, macroscopico travisamento dei presupposti, illogicità manifesta, disparità di trattamento: secondo le ricorrenti mancherebbero i presupposti per ordinare la demolizione delle opere.

In particolare (tralasciando le opere già contestate con il ricorso n. 3008/2015):

– la giostra per cavalli per la natura dei materiali, rientra tra le opere di cui all’art 149 comma 1 lett. b) d. lgs. 42/2004, per la quali non è necessario alcun titolo edilizio, in quanto inerente all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, senza alterazione permanente dello stato dei luoghi;

– il deposito attrezzi agricoli è conforme alle autorizzazioni già rilasciate, rimanendo la volumetria invariata. E’ stata rilevata solo una diversa distribuzione interna degli spazi, per la quale trova applicazione l’art 149 comma 1 lett. b) d. lgs. 42/2004, nonché una diversa destinazione d’uso, che dovrebbe essere irrilevante, poiché non viene mutata la categoria funzionale;

– il trottatoio scoperto è un’opera eseguita in terra battuta e sabbia, delimitata da staccionata in legno e marciapiede in pietra, per cui non necessita di alcun titolo abilitativo né di autorizzazione paesistica, in quanto non comporta alterazione dello stato dei luoghi;

– la pavimentazione, le strade, i percorsi e i box: sono interventi che, per il materiale utilizzato ovvero per le caratteristiche, non necessitano di titoli abilitativi, né di autorizzazione;

– le capannine sono opere amovibili, che ricadono nella tipologia di cui all’art 149 comma 1 lett b) d. lgs. 42/2004.

Tutti questi interventi possono essere ricondotti nell’alveo dell’attività edilizia libera, per la quale, ai sensi dell’art 6 DPR 380/2001, non è richiesta alcuna comunicazione preventiva. Anche nell’ipotesi in cui fosse richiesta, non potrebbe comunque dar luogo, in caso di assenza, ad una sanzione demolitoria, ma solo ad una sanzione pecuniaria;

3) Nel merito rispetto all’ordinanza di demolizione n. 1/2016 del Parco Adda Nord: violazione di legge: artt. 146-167 comma 4 d. lgs. 42/2004; art 22 NTA del PTC Parco Adda, natura e assentibilità degli interventi eseguiti; applicabilità art 149 d. lgs. 42/2004. art 1 DPR 139/2010, autorizzazione semplificata: eccesso di potere; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; disparità di trattamento; difetto di motivazione, illogicità manifesta.

Il Parco ha inviato una comunicazione di avvio del procedimento, pur non essendo tenuta a tale adempimento, priva tuttavia di precise contestazioni. Secondo la tesi delle ricorrenti inoltre le opere non necessitavano di autorizzazione paesistica, poiché riconducibili alle ipotesi dell’art 149 d. lgs. 42/2004. In ogni caso, vi sarebbero i presupposti per l’accoglimento della domanda di accertamento di compatibilità paesistica, ai sensi dell’art 167 commi 4 e 5 d. lgs. 42/2004.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Imbersago e il Parco Adda, chiedendo il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 582 del 13.5.2016 la domanda cautelare è stata accolta, in considerazione del danno.

V) Le ricorrenti hanno quindi presentato, in data 10.01.2017, una domanda di sanatoria edilizia e una domanda accertamento di compatibilità paesaggistica, diretta al Parco Adda Nord per le opere incluse nell’area soggetta al relativo vincolo e al Comune di Imbersago per le altre.

Nella planimetria allegata alla domanda di sanatoria le opere sono state così identificate: la giostra per cavalli (A), il trottatoio (B), pavimentazione in pietra (D), percorsi recinti e staccionate (E), capannine (F1, F2 e F3).

La Commissione per il paesaggio e la Soprintendenza esprimevano, per quanto di competenza, parere negativo, ritenendo la Soprintendenza che “il manufatto destinato a giostra per cavalli (A) e le capannine di ricovero dei cavalli (F1, F2, F3) hanno determinato la creazione di superficie utile e di volumi e non sono pertanto ammissibili alla procedura di accertamento paesaggistico per mancanza dei presupposti richiesti dagli artt. 167 e 181 del D.L.vo 42/2004 …” e, per le altre opere, che le stesse “abbiano determinato una trasformazione dei luoghi e del paesaggio non coerenti con il pregio dell’ambito e con le caratteristiche ambientali, morfologiche e materiche originarie; le caratteristiche architettoniche e di dettaglio di alcune opere, con particolare riferimento alle staccionate bianche (E) non sono coerenti con le tipologie architettoniche più diffuse sul territorio per interventi in zone analoghe e di pari natura; le opere eseguite hanno pertanto determinato un peggioramento dei caratteri paesaggistici dell’area in contrasto con gli indirizzi di tutela della stessa”.

VI) Sulla base dei pareri sopra indicati, le domande di sanatoria edilizia e di accertamento di compatibilità paesaggistica ex artt. 167 e 181 D.lgs. n. 42/04 venivano respinte, da parte del Parco Adda Nord, con atto prot. n. 0002804 del 10 agosto 2017 e da parte del Comune di Imbersago con atto prot. n. 6348 del 19 settembre 2017. I dinieghi e gli atti collegati sono stati impugnati con il ricorso n. 2570/2017 (notificato in data 30.10.2017 e depositato il 20.11.2017), per i seguenti motivi di ricorso:

A) Sul difetto di istruttoria e di motivazione dei pareri e dei provvedimenti:

1) Violazione e falsa applicazione art 1 e 3 L. 241/90, violazione artt. 3 e 97 Cost., eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria.

I dinieghi riportano la medesima motivazione, rivelando l’adesione acritica alla posizione della Commissione locale, anche da parte della Soprintendenza. Dall’esame delle motivazioni emerge come siano state utilizzate formule stereotipate, ellittiche, in assenza di una chiara indicazione dei beni tutelati e del relativo contrasto con essi;

2) Violazione e falsa applicazione art. 10 bis l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione artt. 167 e 181 D.lgs. n. 42/2004 e s.m.i.. Violazione artt. 3 e 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria.

La Soprintendenza si è espressa prima delle osservazioni presentate dalle parti, ma non ha esaminato le loro controdeduzioni; in tal modo le controdeduzioni dei privati sono state esaminate solo dal Comune e dal Parco;

B) Sull’illegittimità dei dinieghi in merito alla ammissibilità delle istanze e alla compatibilità paesaggistica delle opere.

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 181 D.lgs. 42/2004 e s.m.i.. Violazione e falsa applicazione DPR n. 31/2017. Violazione l.r. n. 12/05. Violazione artt. 3, 97 Cost.. Violazione della Circolare n. 33/2009 del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria, contraddittorietà e illogicità manifesta. Sviamento.

I dinieghi del Parco e del Comune, al pari del parere della Soprintendenza, escludono che possano trovare applicazione gli artt. 167 e 181 D.lgs. n. 42/2004, senza tuttavia svolgere un esame puntuale e distinto delle singole opere, affermando l’incoerenza delle stesse con le caratteristiche del contesto e la trasformazione dei luoghi.

Le ricorrenti esaminano distintamente i singoli interventi:

3.a. Sulla giostra dei cavalli: l’opera, (individuata con lettera A nell’istanza), ricade in parte all’interno del perimetro del Parco Adda Nord e parte all’esterno di questo. Consiste in una struttura prefabbricata, aperta sui lati, delimitata da un parapetto di mt 1,50. Secondo l’Amministrazione l’opera avrebbe dato vita ad uno spazio definito e destinato ad uso specifico, con pareti chiuse. Affermano invece le ricorrenti che la giostra è una struttura prefabbricata, aperta sui lati, per cui non crea volume. Pertanto, non avendo determinato incremento né di superficie né di volume, può essere sanata, poiché l’espressione utilizzata dal legislatore agli artt. 167 e 181 D.lgs. n. 42/2004 “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, si riferisce ad un’unica ipotesi, per cui non sono passibili di accertamento di compatibilità paesaggistica solo gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi, e in base alla Circolare n. 33/2009 per volumi si intende “qualsiasi manufatto costituito da parti chiuse emergenti dal terreno o dalla sagoma del fabbricato, ad esclusione dei volumi tecnici”; mentre la giostra non ha parti chiuse;

3.b. Sulle capannine (F1, F2, F3): si tratta di strutture (insistenti sul sedime del Parco) adibite a ricovero per i cavalli di natura prefabbricata, posizionate all’interno dei paddock, di natura amovibile. Risulta erroneo il parere laddove esclude la qualifica di volume tecnico, senza precisa motivazione, limitandosi ad affermare che le capannine sarebbero chiuse sui quattro lati. Ad avviso delle ricorrenti la natura di volume tecnico si deduce dalla destinazione all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale e dalla natura precaria: le opere non comportano un’alterazione permanente dello stato dei luoghi, in quanto una volta cessata la loro utilizzazione, possono essere rimosse con contestuale ripristino del fondo occupato. Inoltre ai sensi della l.r. 12/2005 le strutture serventi l’attività agricola devono essere qualificate come volumi tecnici;

3.c Quanto alle ulteriori opere:

i) sui percorsi e sulle strade interne: le amministrazioni non formulano alcun rilievo puntuale, ma si limitano ad affermare che non vi sarebbe dimostrazione della preesistenza dei percorsi in pietra. Ciò dimostra anche il difetto di istruttoria, dal momento che è stata allegata documentazione fotografica, che attesta la presenza (seppur ridotta) dei preesistenti percorsi. In ogni caso il giudizio doveva vertere sulle nuove opere e, sotto questo profilo, i materiali utilizzati risultano coerenti con i tratti morfologici dei preesistenti percorsi, funzionali alla conduzione agricola del fondo;

ii) in merito al trottatoio: non viene formulata nessuna specifica argomentazione, trattandosi di opera che non comporta alterazione permanente dello stato dei luoghi, né dell’assetto idrogeologico;

iii) in merito alle staccionate bianche, a delimitazione dei paddock: è l’unica opera espressamente menzionata nel diniego del Parco Adda Nord e nel parere della Soprintendenza, le quali ritengono che le staccionate non sarebbero in linea “con le tipologie architettoniche più diffuse sul territorio per interventi in zone analoghe e di pari natura”. Tuttavia non viene controdedotto nulla rispetto alla contestazione delle ricorrenti, circa la presenza di staccionate omologhe ed analoghe nel medesimo contesto territoriale.

Ritengono poi le ricorrenti che in applicazione al principio di proporzionalità, le Amministrazioni avrebbero dovuto verificare se alcune delle opere suddette potessero autonomamente essere autorizzate in sanatoria;

C) Sulle ulteriori illegittimità dei provvedimenti impugnati:

4) Ulteriore violazione degli artt. 167 e 181 D.lgs. n. 42/2004 in relazione agli artt. 1 e 3 l. n. 241/1990. Violazione artt. 3, 97 Cost. anche in relazione all’art. 42 Cost. Violazione DPR n. 31/2017. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, illogicità manifesta, contraddittorietà. Sviamento.

Il parere della Soprintendenza e i conseguenti dinieghi nascondono la volontà di negare l’utilizzazione del compendio per le attività agro-silvo-pastorali esercitate. Vengono violate le disposizioni in materia di sanatoria di cui al d.lgs. n. 42/2004, la cui ratio è quella di trovare un punto di equilibrio tra la tutela del paesaggio e le aspettative di uso dello stesso da parte degli operatori economici. L’Amministrazione si è invece limitata a richiamare i profili vincolistici al fine di impedire una attività, sebbene in analoghe fattispecie (seppure in sede di autorizzazione paesaggistica) le Amministrazioni avessero adottato criteri e metri di giudizio differenti, con riguardo proprio ad una analoga attività agro-silvo-pastorale collocata nel medesimo Comune all’interno del Parco. La contraddittorietà rispetto al giudizio espresso nei provvedimenti qui impugnati conferma la sviata volontà di impedire o contrastare l’esercizio dell’attività esercita;

5) Incompetenza.

Il diniego è a firma del Sindaco del Comune di Imbersago, la cui competenza è abrogata dall’art. 107, comma 2, D.lgs. n. 267/2000, che demanda gli atti di amministrazione ai dirigenti.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Imbersago, il Parco Adda Nord e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (ora Ministero per i Beni e le Attività Culturali), sollevando eccezioni preliminari e chiedendo nel merito il rigetto del ricorso.

VII) Con atto prot. n. 7647 del 7 novembre 2017, a firma del Sindaco del Comune di Imbersago, veniva respinta la domanda di permesso di costruire in sanatoria, richiamando i pareri negativi di compatibilità paesaggistica.

Avverso il diniego comunale sono stati depositati, in data 12.1.2018, motivi aggiunti, con le seguenti censure:

A) sull’illegittimità derivata del diniego di sanatoria edilizia.

Il diniego è viziato per illegittimità derivata, vengono quindi riproposti i motivi del ricorso introduttivo;

B) Sui vizi di illegittimità propria del provvedimento di diniego di sanatoria edilizia:

2) Violazione e falsa applicazione art. 36 DPR n. 380/01 in relazione all’art. 3 l. n. 241/1990, all’art. 149 d.lgs. 42/04 e al DPR 31/17 (all. A). Violazione artt. 3 e 23-ter DPR n. 380/01. Eccesso di potere per difetto di motivazione ed istruttoria (omesso esame di alcune opere oggetto di sanatoria).

L’istanza di sanatoria è stata rigettata, senza distinguere tra le varie tipologie di opere: Tra queste alcune (ad esempio le opere interne all’edificio già autorizzato), non richiedevano alcuna autorizzazione paesaggistica, in quanto non erano in contrasto con la disciplina edilizio/urbanistica, essendo funzionali ad un miglior esercizio dell’attività agricola;

3) Violazione e falsa applicazione art. 36 DPR n. 380/01. Violazione artt. 3, 97 e 42 Cost.. Violazione art. 1 l. n. 241/1990. Eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità. Sviamento.

Dal provvedimento emergerebbe “la sostanziale e generalizzata volontà reiettiva dell’istanza preordinata ad un aprioristico diniego di utilizzazione del compendio per le attività agro-silvo-pastorali esercitate”. Il Comune avrebbe dovuto valutare se alcune delle opere potessero essere esaminate autonomamente ed autorizzate in sanatoria, in quanto compatibili con la destinazione di zona.

Anche rispetto ai motivi aggiunti le Amministrazioni hanno chiesto il rigetto, in quanto infondati.

All’udienza del 13 marzo 2019 i due ricorsi sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

1) Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’articolo 70 cod. proc. amm., la riunione dei due ricorsi RG n. 869/2016 e n. 2570/2017, stanti le ragioni di connessione derivanti dall’unicità della posizione giuridica lesa e dall’unitarietà della pretesa alla tutela giurisdizionale di essa (Cons. Stato, Sez. IV., 9 gennaio 2014, n. 36). Entrambi i ricorsi sono infatti volti a far valere l’interesse delle ricorrenti alla sanatoria dei manufatti realizzati sull’area di proprietà della Twins Engineering s.r.l., data in locazione alla società Trendy Horse, mediante l’impugnazione dell’ordinanza di demolizione e dei provvedimenti di rigetto delle domande di sanatoria.

2) Il ricorso n. 869/2016 è proposta avverso le due ordinanze di demolizione, adottate rispettivamente dal Comune di Imbersago e dal Parco Adda Nord, quest’ultima solo per le opere che ricadono nel perimetro del Parco.

2.1 Con il primo motivo le ricorrenti censurano il modus operandi del Comune, ritenuto vessatorio poiché ha adottato due diversi provvedimenti repressivi, a seguito di due sopralluoghi svolti a distanza di pochi giorni. La vicinanza delle ispezioni avrebbe dovuto portare l’Amministrazione ad adottare un’unica ordinanza di demolizione, essendo unica l’area oggetto delle verifiche, evitando così l’onere di una doppia impugnazione.

Il motivo non può essere accolto.

La scelta di adottare due distinti provvedimenti sanzionatori non risulta illogica, né persecutoria, ma è stata dettata dalla circostanza che sono stati eseguiti due sopralluoghi, resisi necessari presumibilmente per la circostanza che durante il primo – disposto solo per verificare lo stato della tensostruttura – si è constata l’esistenza di ulteriori opere abusive, per cui si è reso necessario un supplemento di istruttoria.

La scelta di due distinte ordinanze non risulta illogica, poiché risponde alla differente tipologia di abusi: nel caso della tensostruttura è contestata la realizzazione di un’opera nata come struttura precaria e trasformata poi nel corso degli anni in fissa, difforme rispetto ai titoli rilasciati; la maggior parte delle altre opere, oggetto delle presenti ordinanze, sono state realizzate in assenza di titolo e talune ricadono nel Parco Adda Nord.

In ogni caso, la presenza di due ordinanze differenti non precludeva la proposizione di un unico ricorso, con la duplice impugnazione, essendovi i presupposti per il ricorso cumulativo, stante la connessione funzionale tra le due ordinanze, seguendo l’orientamento secondo cui, in assenza di un’espressa disciplina, l’ammissibilità del ricorso cumulativo deve essere assunta in termini di ragionevolezza e di giustizia sostanziale, senza formalismi privi di fondamento logico e, comunque, di per sé inidonei a giustificare una maggiore gravosità degli oneri procedurali posti a carico di chi vuole tutelarsi contro atti della Pubblica autorità ritenuti non legittimi, dovendosi pertanto ritenere precluso l’ingresso di un gravame siffatto solo ove con lo stesso si introducano controversie prive di qualsiasi collegamento tra di loro in quanto i diversi atti non incidono sulla medesima vicenda (tra le altre, Consiglio di Stato, sez. IV, 9/01/2014 n. 36).

2.2 Con la seconda censura si contesta la legittimità dell’ordinanza comunale di demolizione: sostengono le ricorrenti che i manufatti non sarebbero rilevanti ai fini edilizi e urbanistici, trattandosi di interventi non soggetti a permesso di costruire. Essendo opere destinate ad uso temporaneo e limitato, sono riconducibili al genus dell’attività edilizia libera, quindi non suscettibili di ordine demolitorio, ma al più di una sanzione pecuniaria per omesso invio preventivo della CIL.

Il motivo non è fondato.

Il Collegio condivide la qualificazione delle opere effettuata dal Comune.

Sono stati realizzati interventi di natura diversa: alcune opere sono veri e propri organismi edilizi di carattere permanente che hanno comportato la creazione di volume o di superficie, altri interventi sono stati realizzati nell’ambito del Parco e per le caratteristiche costruttive e funzionali, come si vedrà, era necessaria la previa acquisizione del titolo edilizio, dell’autorizzazione paesaggistica nonché del nulla osta del Parco Adda Nord.

Per cui è escluso che gli interventi potessero essere assoggettabili a CILA.

Complessivamente considerati, i manufatti hanno dato vita ad una nuova struttura, un vero e proprio maneggio, che ha modificato la destinazione originaria del sito e la configurazione stessa dell’ambiente. Invero, al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione “atomistica” dei singoli interventi non consente di comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti; pertanto, i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati in maniera “frazionata” e, al contrario, debbono essere vagliati in un quadro di insieme e non segmentato (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 902), solo così potendosi comprendere il nesso funzionale che li lega e, in definitiva, l’effettiva portata dell’operazione (in tal senso anche questa Sezione con sent. n. 2046 del 05/09/2018).

In ogni caso, anche facendo una valutazione delle singole opere, non poteva trovare applicazione l’art 149 comma 1 lett. b) d. lgs. 42/2004, che si riferisce solo ad interventi minori (di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo), inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio. La norma, secondo l’orientamento prevalente, va intesa nel senso che “l’ordinamento esenta dalla necessità della valutazione di compatibilità paesaggistica, e dunque dalla relativa autorizzazione, gli interventi sulla forma del territorio che siano funzionali alla pratica agronomica o silvicolturale e non comportino opere edilizie o civili né alterino – come di solito è per i movimenti di terra – l’assetto idrogeologico. Si tratta infatti di modificazioni normali della forma del territorio, inerenti all’usuale pratica agricola anche per le piante da frutto o da legna, e alla parabola di esseri viventi e produttivi delle piante stesse, quand’anche interessino uliveti, vigne, pioppeti, frutteti e simili e dunque abbiano frequenza di rimozione tutt’altro che annuale. Normalmente, infatti, non sono oggetto di uno specifico valore espressamente tutelato dal vincolo paesaggistico e non ne sono elementi identificativi (come invece vuole la legge stessa per i boschi e le foreste). Diversamente opinando si incorrerebbe in una compressione eccessiva delle facoltà proprietarie e si otterrebbe il controproducente effetto di una disincentivazione della pratica agricola, con effetti negativi paradossali sulla buona manutenzione del territorio” (in questi termini Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 717; v., anche, id. 10 febbraio 2015, n. 718, Tar Veneto, Sez. II, 12 ottobre 2015, n. 1043). Nel caso in esame, al contrario, sono state riscontrate opere che, oltre a creare superfici utili e in taluni casi anche volumi, hanno inciso in modo significativo e stabile sullo stato dei luoghi, apportando modifiche e alterazioni, anche per la tipologia di materiali utilizzati, che sicuramente esulano dalle variazioni ordinarie della forma del territorio.

In effetti, la giostra per cavalli (che ha una struttura portante in ferro e legno e viene sorretta da pilastri in ferro e delimitata da parapetti alti mt 1,50 in ferro e legno) e le capannine hanno creato nuovi volumi; il trottatoio, (delimitato da staccionata in legno e marciapiede in pietra), altre opere, ad esempio il trottatoio, risultano opere permanenti, non facilmente amovibili. La pavimentazione, le strade e i percorsi modificano l’andamento naturale del territorio e sono realizzate anche con lastre di pietra. Per il deposito, l’Amministrazione ha rilevato sia il cambio di destinazione d’uso, sia l’incremento della superficie attraverso il soppalco: l’ampliamento maggiore di 10 mq esclude la possibilità di applicare il DPR 139/2010, che, in quanto regolamento di attuazione dell’art. 149 del d. lgs. n. 42/2004, e non regolamento di delegificazione, non può liberalizzare interventi che, per la norma di carattere primario, sono assoggettati ad autorizzazione paesaggistica (T.A.R. Veneto, sez. II, n.1007 del 13/11/2017).

2.3 Con il terzo motivo si censura l’ordinanza del Parco Adda Nord.

Affermano le ricorrenti che la comunicazione di avvio del procedimento sarebbe priva di motivazione: se i profili contestati fossero stati sollevati già nella fase endoprocedimentale, le ricorrenti avrebbero potuto optare per rimedi alternativi. Sostengono inoltre che le opere non necessitavano di autorizzazione paesaggistica e, in ogni caso, si profila la possibilità di una sanatoria paesistica.

Anche questo motivo non può essere accolto.

In primo luogo perché, come sopra detto, non poteva trovare applicazione l’art 149 d. lgs. 42/2004.

Inoltre, come rilevato dal Parco Adda Nord, le opere hanno violato l’art 22 NTA del PTC, che ammette solo recinzioni con siepi di essenze autoctone, fatte salve le recinzioni connesse ad esigenze di tutela degli insediamenti edilizi agricoli; mentre le recinzioni per attività di allevamento sono ammesse previa autorizzazione dell’Ente gestore del Parco.

Quanto alla comunicazione di avvio del procedimento, si osserva che la presunta genericità non ha precluso alle interessate di inviare controdeduzioni molto puntuali, scrutinate nel provvedimento finale.

2.4 Il ricorso n. 869/2016 va quindi respinto.

3) Il ricorso n. 2570/2017 è proposto avverso i provvedimenti di rigetto della domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica del Parco Adda Nord e del Comune di Imbersago, nonché il parere della Soprintendenza n.3692/DR del 14.6.2017.

I motivi aggiunti hanno invece ad oggetto il provvedimento di rigetto della sanatoria edilizia.

3.1 Partendo dall’esame del ricorso introduttivo, vanno preliminarmente esaminate le eccezioni sollevate dall’Ente Parco di inammissibilità e irricevibilità del ricorso, per tardività dell’impugnazione del parere della Soprintendenza e per tardiva e omessa impugnazione del parere reso dalla Commissione per il Paesaggio.

L’eccezione di tardività è infondata, avendo già la Sezione avuto modo di rilevare che i pareri, anche vincolanti, sono atti di regola non immediatamente impugnabili, poiché è l’ordinamento a richiedere la conclusione del procedimento mediante un diverso apposito provvedimento espresso (v. sent. n. 2295 del 29/11/2017). Pertanto, in coerenza con consolidati principi processuali riguardanti l’articolazione del procedimento e la lesività dell’atto conclusivo di esso, si rivela inammissibile il ricorso proposto contro un parere, ancorché esso sia vincolante, e non sia impugnato anche l’atto conclusivo del procedimento, per costituire ius singularis, non suscettibile di applicazione analogica, la disposizione che, in deroga al principio generale, preveda l’immediata impugnabilità di un parere (v. Consiglio di Stato, sez. VI, 19/09/2017 n. 4377).

Quanto, poi, al parere reso dalla Commissione per il Paesaggio, la sua impugnativa è avvenuta congiuntamente agli atti finali del procedimento (a pag. 2 del ricorso si legge che è chiesto l’annullamento “… di tutti gli ulteriori atti preordinati presupposti e/o connessi ivi compresi i pareri espressi dalla Commissione per il Paesaggio del Comune di Imbersago e del Parco Adda Nord …”), sicché l’eccezione non ha ragion d’essere.

3.2 Il primo motivo, articolato nei confronti dei pareri, sarà esaminato congiuntamente al terzo motivo, al punto 3.3.

Con il secondo motivo viene lamentata la violazione delle garanzie partecipative, in quanto le osservazioni presentate dalle ricorrenti non sono state trasmesse alla Soprintendenza, ai sensi dell’art. 167 D.lgs. n. 42/04 comma 5, dopo il preavviso di diniego.

Pertanto la sequenza procedimentale avrebbe dovuto svolgersi secondo i seguenti passaggi: parere della Soprintendenza, preavviso di rigetto, esame delle osservazioni da parte della Soprintendenza e provvedimento finale.

La censura non è fondata.

L’art. 167 comma 5, d.lg. n. 42 del 2004 prevede che l’autorità preposta alla gestione del vincolo (nel caso di specie: il Comune di Imbersago), si pronunci “ previo parere vincolante della Soprintendenza ”, il che – in assenza di ulteriori previsioni (come quella di cui al precedente art. 146, comma 8, secondo periodo) – lascia intendere che la comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 si collochi solo e soltanto nella fase finale del procedimento, di pertinenza dell’Amministrazione comunale.

3.3 Con i motivi nn. 1 e 3 le ricorrenti lamentano il difetto di motivazione e di istruttoria.

Sostengono infatti che sia i pareri sia i dinieghi riportano la medesima motivazione, stereotipata ed ellittica, con formula di stile, senza indicare quali siano gli elementi di pregio tutelati dai vincoli e in cosa consista il contrasto tra le opere e i valori tutelati. Mancherebbe anche un esame delle singole opere, che presentano caratteri costruttivi ben diversi, per cui, in applicazione al principio di proporzionalità, le Amministrazioni avrebbero dovuto verificare se alcune delle opere potessero autonomamente essere autorizzate in sanatoria.

Le censure sono in parte fondate.

La Soprintendenza, nel parere del 14.6.2017, rileva che la giostra e le capannine hanno creato superficie utile e volume, per cui esclude l’applicabilità del procedimento di accertamento di compatibilità, ai sensi degli artt. 167 e 181 d. lgs. 42/2004. Per le ulteriori opere, esprime parere contrario, in quanto ritiene che le “stesse abbiano determinato una trasformazione dei luoghi e del paesaggio non coerenti con il pregio dell’ambito e con le caratteristiche ambientali, morfologiche e materiche originarie; le caratteristiche architettoniche e di dettaglio di alcune opere, con particolare riferimento alle staccionate bianche (E) non sono coerenti con le tipologie architettoniche più diffuse sul territorio per interventi in zone analoghe e di pari natura; le opere eseguite hanno pertanto determinato un peggioramento dei caratteri paesaggistici dell’area in contrasto con gli indirizzi di tutela della stessa”.

I provvedimenti conclusivi si limitano a richiamare il suddetto parere, riproponendo la distinzione tra la giostra e capannine per cavalli dalle altre opere. Le prime, avendo creato volume e superficie utile, non possono essere oggetto della procedura di accertamento paesaggistico; le altre hanno creato una trasformazione dei luoghi e del paesaggio non in linea con il pregio dell’ambito e con le caratteristiche ambientali e morfologiche.

Il diniego per la giostra e le capannine può ritenersi sufficientemente motivato, con il solo riferimento normativo, dal momento che dette opere hanno creato un aumento di volume e di superficie utile. Ed invero è irrilevante che le opere siano qualificate come volumi tecnici in quanto serventi l’attività agricola, perché – come ripetutamente evidenziato dalla giurisprudenza – il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a ogni nuova edificazione comportante creazione di volume, sicché in tali casi non è possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, essendo precluso, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del D.Lgs. 42/2004, il rilascio di autorizzazioni in sanatoria qualora siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, n.6904 del 5/12/2018); né induce a diverse conclusioni l’addotto carattere pertinenziale dei manufatti, essendo notorio che le opere edilizie abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, quand’anche da ascrivere ad opere pertinenziali o precarie, si considerano comunque eseguite in totale difformità dall’eventuale titolo edilizio, e quindi soggette all’applicazione della sanzione demolitoria, ove non sia stata ottenuta la previa autorizzazione paesaggistica (v., tra le altre, Consiglio di Stato, sez. IV, 26/09/2018 n. 5524), il che rende applicabile nei medesimi termini la disciplina di cui all’art. 167 del D.Lgs. 42/2004. Inoltre la giurisprudenza amministrativa ha precisato che in ambito paesaggistico la nozione di “superficie utile” deve essere intesa in senso ampio e finalistico, ossia non limitata agli spazi chiusi o agli interventi capaci di provocare un aggravio del carico urbanistico, quanto piuttosto considerando l’impatto dell’intervento sull’originario assetto del territorio e, quindi, l’idoneità della nuova superficie, qualunque sia la sua destinazione, a modificare stabilmente la vincolata conformazione originaria del territorio, ragion per cui di superficie utile deve parlarsi in presenza di qualsiasi opera edilizia calpestabile o che può essere sfruttata per qualunque uso, atteso che il concetto di utilità ha un significato differente nella normativa in materia di tutela del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia (v., da ultimo, TAR Campania, Salerno, sez. I, 4/03/2019 n. 358). Peraltro, con riferimento alla disposizione di cui all’art. 167, comma 4, del D.Lgs. 42/2004, il legislatore ha utilizzato la congiunzione disgiuntiva “o”, con la conseguenza che l’espressione “superfici utili o volumi” non rappresenta una endiadi e include invece quegli interventi che, pur senza creare un aumento di cubatura, con la realizzazione di nuove superfici utili determinano comunque un impatto significativo sull’assetto del territorio, modificandone in maniera stabile e duratura la conformazione: questa lettura trova giustificazione oltre che dal punto di vista letterale, anche per la ratio della disposizione, volta a stabilire una soglia elevata di tutela del paesaggio che comporta la possibilità di rilascio ex post dell’autorizzazione paesaggistica al fine di sanare interventi già realizzati soltanto per gli abusi di minima entità, tali da determinare già in astratto, per le loro stesse caratteristiche tipologiche, un rischio estremamente contenuto di causare un effettivo pregiudizio al bene tutelato (in questi termini TAR Liguria, sez. I, 14/3/2015, n. 281); pertanto, la norma in esame comporta che vige sempre la preclusione al conseguimento della sanatoria postuma per effetto della sola creazione di superfici utili, anche a prescindere da un incremento di volumetria (v., da ultimo, TAR Campania, Napoli, sez. III, 12/03/2019 n. 1389; v. anche Cons. St., sez. II, parere n. 1807 del 28/7/2017).

Rispetto alle altre opere (diverse dalla giostra e dalle capannine), la motivazione risulta invece carente e lacunosa, in quanto non viene rappresentata l’effettiva lesione dei beni: secondo l’orientamento prevalente il parere di compatibilità paesaggistica viola l’obbligo di sufficiente motivazione tutte le volte in cui contenga una motivazione solo apparente del giudizio negativo, reso senza specificare le effettive ragioni di contrasto tra l’intervento proposto e i valori paesaggistici tutelati. Come nel caso del diniego di autorizzazione paesaggistica, l’Amministrazione non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, ma deve specificare i motivi dell’assunto contrasto tra le opere in esame e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo, sì che la motivazione non può essere fondata su di una generica incompatibilità, essendo precluso l’Amministrazione ridurre la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione, con il ricorso ad espressioni vaghe e formule standardizzate (v., tra le altre, Consiglio di Stato, sez. VI, 1/02/2019 n. 802); ciò in quanto, come si è ripetutamente affermato, essendo l’atto autoritativo espressione di un potere ampiamente discrezionale, per evitare che il giudizio di compatibilità paesaggistica si traduca nell’esercizio di una valutazione insindacabile, è necessario che il provvedimento dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo sia sorretto da un’ampia e circostanziata motivazione, dalla quale sia possibile ricostruire sia le premesse che l’iter logico seguito nel percorso valutativo che si conclude con il giudizio finale. In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che nel settore paesaggistico la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde ad un modello che contempli, in modo dettagliato, la descrizione: i) dell’edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati; ii) del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni; iii) del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l’indicazione dell’impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio (v. Cons. Stato, sez. VI, 15/11/2016 n. 4707).

Nel caso di specie, al di là del generico richiamo alla trasformazione non coerente con il pregio dell’ambito e con le caratteristiche ambientali, morfologiche e materiche, non vi è l’indicazione di alcun concreto elemento volto a supportare tale giudizio negativo o ad esplicitare sotto quale profilo, in che misura e per quale specifica ragione si assuma la “non coerenza” con il contesto paesaggistico e il contrasto con i valori tutelati. In altri termini la motivazione non risulta conforme al paradigma suddetto, in quanto manca una adeguata descrizione dei manufatti interessati, del contesto paesaggistico e dei rapporti tra detti manufatti e il contesto stesso.

Per i percorsi e le strade interne non viene formulato alcun rilievo puntuale, essendosi le Amministrazioni limitate ad affermare che non vi sarebbe dimostrazione della preesistenza dei percorsi in pietra: proprio perché si tratta di opere che si sviluppano lungo il compendio, realizzate in modo da inserirsi nell’ambiente, il giudizio di compatibilità presupponeva un esame più puntuale circa l’impatto paesistico, analisi che è stata omessa.

Anche per quanto riguarda le staccionate bianche, a delimitazione dei paddock, ritenute non in linea “con le tipologie architettoniche più diffuse sul territorio per interventi in zone analoghe e di pari natura”, la motivazione appare insufficiente.

Le ricorrenti nelle osservazioni hanno evidenziato come le staccionate riproponessero le omologhe ed analoghe staccionate presenti nel medesimo contesto territoriale. Il Parco si è limitato a replicare ribadendo genericamente la non coerenza delle opere, senza tuttavia indicare quale fosse il contrasto e quale la differenza rispetto ad opere simili, autorizzate in contesti limitrofi.

3.4 Il quarto motivo è infondato, in quanto non vi ravvisa alcun intento persecutorio da parte dell’Amministrazione, che ha adottato gli atti solo a seguito di una ordinaria e dovuta attività di controllo.

3.5 Quanto all’ultima censura, incentrata sull’incompetenza del Sindaco per effetto della norma di cui all’art. 107, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 (secondo cui “spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente …”), il Collegio ritiene di poter prescindere dall’approfondire la questione, che può quindi dichiararsi assorbita. E’ pur vero, infatti, che nei comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti le funzioni dirigenziali competono al sindaco solo se attribuitegli nelle forme previste dall’art. 53, comma 23, della legge n. 388 del 2000, e che quindi occorrerebbe verificare se nel caso di specie si sia in concreto verificata una simile assegnazione di funzioni, tuttavia la giurisprudenza (v., da ultimo, Consiglio di Stato, sez. II, parere n. 253/2019 del 22/01/2019; Consiglio di Stato, sez. VI, 24/10/2018 n. 6048) ha chiarito che il vizio di incompetenza relativa che colpisca un provvedimento amministrativo perché avrebbe dovuto essere emanato da organo diverso dello stesso ente è un mero vizio procedimentale, come tale sanabile ove l’atto stesso abbia natura vincolata e l’irrilevanza del vizio sul suo contenuto dispositivo sia palese, nel senso che opera in simili casi il meccanismo di salvaguardia di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, in base ai generali principi di conservazione dell’atto e di strumentalità delle forme che inducono a generalizzare la portata dell’istituto dell’illegittimità ‘non invalidante’, per evitare che la prevalenza di considerazioni procedimentali porti l’Amministrazione alla scelta, antieconomica ed in contrasto con il principio di efficienza, di dover riavviare un procedimento i cui esiti siano ab initio scontati; donde l’inutilità ex lege di far constare il vizio dell’incompetenza, che va qualificato come vizio dell’organizzazione e, quindi, ridonda come vizio delle norme che regolano il procedimento. Pertanto, costituendo quello della Soprintendenza un parere vincolante per l’Amministrazione comunale, ed essendo comunque precluso ex lege l’accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere recanti un aumento di superficie utile e/ volumi (come si è detto), opererebbe per questa parte – secondo l’indicato orientamento giurisprudenziale – la clausola di salvezza di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, relativamente alla “giostra” e alle “capannine”; per le restanti opere, invece, essendo già stato accertato il vizio di difetto di motivazione, con la conseguente necessità di rinnovazione in parte qua del procedimento, la caducazione del provvedimento sindacale avviene comunque per detto vizio, esonerando in tal modo il Collegio dal compiere l’approfondimento relativo alle distribuzioni delle competenze in àmbito comunale, secondo il quadro normativo suindicato.

3.5 Il ricorso n. 2570/2017 va quindi accolto nei limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento del provvedimento del Parco Adda Nord prot. n. 0002804 del 10 agosto 2017 e del Comune di Imbersago prot. n. 6348 del 19 settembre 2017, oltre che dei relativi pareri presupposti, nella sola parte in cui riguardano le opere diverse dalla “giostra” e dalle “capannine”.

4) Con i motivi aggiunti è stato impugnato il diniego comunale di sanatoria edilizia.

Il diniego risulta viziato da illegittimità derivata, in quanto motivato esclusivamente con la mancanza dei titoli di compatibilità paesaggistica, in base ai pregressi provvedimenti negativi adottati dal Comune di Imbersago e dal Parco Adda Nord e ora annullati in parte qua dalla Sezione. Ne consegue, pertanto, l’annullamento del provvedimento comunale limitatamente alla parte relativa alle opere diverse dalla “giostra” e dalle “capannine”.

E’ fondata, poi, la censura imperniata sulla circostanza che l’istanza di sanatoria è stata respinta senza considerare che questa aveva ad oggetto anche opere che non erano state oggetto delle domande di accertamento di compatibilità paesaggistica e che avrebbero quindi richiesto una autonoma valutazione. La difesa dell’Amministrazione comunale ha invero ammesso l’esistenza di tali ulteriori opere, eccependo però che il “… diniego della sanatoria edilizia è stato motivato dal Comune non solo col mancato rilascio della compatibilità paesaggistica bensì, anche – come espressamente riferito dal provvedimento impugnato – sulla base della “non conformità” delle opere realizzate al PGT …” (così a pag. 17 della memoria difensiva depositata il 27/01/18). Sennonché l’atto impugnato reca un generico “… le opere realizzate non possono essere conformi al P.G.T. vigente …”, espressione che non può certo assolvere l’obbligo di motivazione che grava sull’Amministrazione comunale; né, evidentemente, può valere come motivazione postuma quanto addotto dalla difesa dell’ente locale con ulteriori più analitiche osservazioni, posto che (v. Consiglio di Stato, sez. VI, 19/10/2018 n. 5984) nel processo amministrativo l’integrazione in sede giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento – nella misura in cui i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta –, oppure attraverso l’emanazione di un autonomo provvedimento di convalida, mentre risulta inammissibile un’integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi.

Di qui l’illegittimità del diniego di permesso di costruire in sanatoria anche nella parte relativa alle opere che, interessate dall’istanza di permesso di costruire in sanatoria del 10 gennaio 2017, non erano state a suo tempo oggetto delle domande di accertamento di compatibilità paesaggistica. Dal che l’annullamento in parte qua del provvedimento comunale prot. n. 7647 del 7 novembre 2017.

5) In conclusione, il ricorso n. 869/2016 deve essere respinto; invece, il ricorso n. 2570/2017 e i relativi motivi aggiunti vanno accolti, nei limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento degli impugnati provvedimenti, nella parte in cui viene respinta la domanda di accertamento di compatibilità paesistica e viene negato il permesso di costruire in sanatoria per le opere diverse dalla “giostra” e dalle “capannine”, nonché nella parte in cui viene negato il permesso di costruire in sanatoria per le ulteriori opere oggetto della sola istanza ex d.P.R. n. 380 del 2001.

Le spese di giudizio possono essere compensate in considerazione della peculiarità delle questioni esaminate e della reciproca soccombenza nei confronti del Comune di Imbersago e del Parco Adda Nord.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi e sui motivi aggiunti, previa loro riunione, come in epigrafe proposti, così provvede:

– respinge il ricorso n. 869/2016;

– accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso n. 2570/2017 e i relativi motivi aggiunti, con conseguente annullamento in parte qua degli atti impugnati, salve le ulteriori determinazioni amministrative.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 13 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:

Italo Caso, Presidente

Silvana Bini, Consigliere, Estensore

Lorenzo Cordi’, Referendario

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