05/03/2017 – Consip ed il mercato locale

CONSIP E IL MERCATO LOCALE.

Per ragioni che affondano nel timore (che è cosa diversa dal “rispetto” e alligna in chi non ha studiato e teme di essere interrogato) verso chi si “professa professore” ed è “studioso”, anche se fa un utilizzo parsimonioso del cervello, abbiamo appaltato tutte (ma proprio tutte) le scelte politiche di maggiore rilievo, non a chi avesse esperienza e conoscenza (oltre che garbo), ma a chi (magari per ragioni di stretta parentela) frequentasse il mondo di chi studia (si fa per dire), senza alcuna cognizione reale di “che cosa studia” e degli effetti reali che genera nel sistema sociale, economico, ecc.

Così, come migranti attaccati ai gommoni delle diverse teorie (frutto di improvvisazioni e sperimentazioni) siamo approdati in riforme per tornare a riformare cose già riformate, abbiamo cambiato modelli di sviluppo alla velocità della luce, in funzione delle “pensate” del “saggio di passaggio”. Abbiamo creato le società partecipate, poi le miste, poi le controllate, poi e aziende e le fondazioni, poi… contrordine, le internalizzazioni, poi ancora altre forme che associavano la libertà della fantasia al rigore delle norme di legge. 

Tutto ciò nel rispetto di una sacra divinità che nessuno, ancora oggi ha il coraggio di mettere in discussione: il mercato.

E’ una nuova forma di monoteismo che mette d’accordo tutti, che non conosce domenica e che, promettendo guadagni immediati e “paradisi di prossimità”, in nome del diritto alla ricchezza, ha reso poveri tutti.

In verità, non proprio tutti: ha risparmiato quelli che, della nuova religione fanno i sacerdoti: banchieri, economisti, burocrati, governanti di passaggio, ecc.

Sempre in omaggio al “mercato” e alla “economia del risparmio”, che rappresenta il vero male contemporaneo, molto diverso dalla “ragionevolezza della spesa”, le menti eccelse hanno ideato CONSIP.

L’operazione è stata il frutto di studi (costosi) affidati a studiosi che, in omaggio a banalizzazioni assunte al rango di elevate teorie hanno prodotto un pensiero profondo: se una matita, in periferia, costa 20 centesimi, centralizzandone gli acquisti potrà costare 15 centesimi, facendo risparmiare tutte le pubbliche amministrazioni.

Accipicchia che pensata! Questa è gente che studia ininterrottamente, anche al bagno!

Poco importa se nel frattempo nessuno più utilizza e matite e soprattutto se, ci dispiace doverlo rivelare, il mondo è un pò più complesso rispetto all’acquisto di una matita.

Lo stesso cartolaio non vende solo matite, così come il bar non vende solo caffè… e la vita non è fatta solo di teorie.

Anzi, per dirla con un antico adagio: tra teoria e pratica non c’è alcuna differenza, in teoria, ma in pratica sì.

Ebbene quell’esempio della matita, tipico di un’aula, non universitaria, ma delle scuole elementari in occasione della spiegazione delle quattro operazioni, sembra incredibile da credere, ma ha pervaso la nostra cultura amministrativa e prodotto mostri, senza che nessuno si sia fermato a chiedersi: ma perché quella matita, in periferia costa di più? Come mai, centralizzando, i costi si abbassano? Su quale voce incideranno i “risparmi”? Quali nuove politiche commerciali potrebbero innescarsi?

Sono tutte domande logiche che dovrebbe farsi chi è veramente “studioso” e conoscitore dei fenomeni (non basta essere professori di “qualcosa”), avendo cura di osservare il contesto nel suo complesso, ma così non è: l’esempio della matita non prevede interferenze ambientali. E se qualcuno obietta, viene colpito dalla setta delle matite, quelle rosse, che usano le cattedre come predellino per fare monologhi verso studenti impauriti, ma non reggono il confronto su argomenti logici, peggio ancora se si tratta di temi sociali o economia reale.

Ebbene, sarebbe il caso che qualcuno spiegasse a questi “signori dell’economia delle matite” (magari glielo scriviamo in un libro, visto che non ascoltano) che il costo “aggiuntivo” delle matite vendute dal cartolaio locale era giustificato da un’economia diffusa che, prima del loro arrivo, sosteneva il Paese: quella dei cartolai, tabaccai, droghieri, bottegai, rivenditori, ecc. Era un modo che faceva “città” e che si sposava pienamente con tutto il resto. La cui somma faceva una piazza, in cui tutti riuscivano a trovare la propria dimensione, sia economica che sociale. In cui, anche la pubblica amministrazione aveva un ruolo perché determinava le opportunità e gli acquisti a livello locale.

Certamente si registravano casi di “deviazione”. Ma come si dice, sono cose che capitano “in tutte le famiglie” (comprese quelle toscane) per le quali sarebbe bastato spingere sul terreno della legalità diffusa e della valorizzazione del mercato, ma quello locale.

Invece, con buona pace della teoria delle matite, oggi troviamo piccoli bottegai che anno dovuto chiudere l’impresa e convertirsi al franchising, le piazze trasformate in supermercati, tutti uguali, da Sciacca a Pordenone, passando per Macomer, e soprattutto, il cappello di CONSIP su ogni acquisto.

Ma soprattutto, quella che poteva essere la “prepotenza locale” che orientava gli acquisti verso un commerciante a dispetto di un altro, è diventata una “prepotenza organizzata” di livello nazionale (e anche più) che riesce a fare passare come “regola di mercato” l’acquisto di prodotti scadenti a un prezzo nemmeno basso, ma …. deciso da una centrale di committente nazionale. 

E non sono pochi i casi di prodotti o servizi scadenti e più costosi che debbono obbligatoriamente essere acquistati con Consip al posto di altri migliori e più convenienti sul mercato locale. 

C’é da chiedersi: qual é il modello di economia che sostiene questa scelta folle, irrazionale e molto probabilmente criminale? Questi scienziati dell’economia di mercato, quali testi hanno studiato? 

L’effetto è sotto gli occhi di tutti: sparisce, in modo definitivo il mercato locale e fiorisce il crimine organizzato che meglio sa affrontare appalti sostanziosi.

Se lo scopo non era proprio questo (il dubbio sorge) serve un ripensamento immediato….. ma senza professori del nulla cosmico e delle formule sulla vita… degli altri.

Io vorrei tanto che la matita che debbo comprare costasse 20 centesimi e che quei costi in più andassero al negoziante della mia città, piuttosto che, con la scusa del risparmio globale, alimentare “altre economie” .

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