05/01/2017 – … sull’articolo di Cassese

A.B. (04/01/2017 19:39)

Su un punto Cassese ha ragione – con buona pace dei segretari comunali dell’Unione del Lazio. Ci sono stati alcuni che si sono opposti alla “riforma” Madia… Tanti hanno dissentito… Gli unici che invece hanno, per lo più, sicuramente assecondato la riforma sono stati proprio quelli di UNSCP, i quali – vale ricordarlo – hanno avviato addirittura corsi sulla nuova “figura apicale” prima che la riforma fosse… 

Ora, dichiararsi, da parte loro, sdegnati dall’affermazione di Cassese sa di opportunistico…. Tra l’altro l’ineffabile ex giudice della Consulta lo conosciamo bene.

Tornando alle sue affermazioni, colpiscono le seguenti: “Nei settanta anni di vita repubblicana, più della metà dei governi ha avuto un ministro incaricato di riformare l’amministrazione: segno che si era convinti della sua necessità. Dei 34 titolari della funzione, una decina hanno anche proposto ambiziosi disegni riformatori. Ma la loro breve durata e il fatto che lo spirito riformatore non è mai penetrato nel corpo dei dipendenti pubblici hanno reso inutili gli sforzi. Qualche cambiamento nella giusta direzione c’è stato, ma è stato sopravanzato dai mali amministrativi cronici (lentezza, assenza di motivazione, formalismo, culto dei precedenti, fuga dalle responsabilità, eccesso di controlli inutili, squilibrata distribuzione del personale e delle risorse finanziarie). Anche il governo Renzi si è mosso nella direzione giusta, ma ha sbagliato i tempi: le riforme amministrative hanno alti costi immediati e benefici ritardati; vanno quindi realizzate subito.“.

Occorrerebbe ribattere che la riforma della PA è un must almeno negli ultimi 40 anni; almeno da quando presero ad affermarsi le “visioni” riformistiche che facevano capo a M.S. Giannini, studioso ansioso di portare il suo “verbo” astratto al governo. Giannini era un personaggio dalla fantasia fertile. A lui si devono una concettuologia e delle locuzioni celebri: su tutte quella, a noi vicina, di “comuni polvere“… o anche la nozione di “stato pluriclasse”. Il fatto è però che la realtà è una cosa, mentre le formule (anche quelle più seducenti) restano artifici letterari, utili a colpire la fantasia ma non a risolvere i problemi concreti (spesso, anzi, certe trovate astratte, proprie dei professori, fanno più danni di quanti ne riescano a risolvere).

Quel “must” (la riforma della PA) è diventato una sorta di giocattolo che solletica molto la smania di onnipotenza a buon mercato dei vari governi e dei vari ministri, molti dei quali assolutamente inidonei al ruolo e tutti, invece, ansiosi di sentirsi nuovi Giustiniano.

La PA è diventato il facile capro espiatorio della politica… Proporsi di riformarla è estremamente popolare ed elettoralmente redditizio. In termini immediatamente monetari non costa nulla; basta aggiungere ad ogni comma, l’ormai nota formula tralatizia: “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” ed il gioco è fatto. Per cui è ormai acquisizione collettiva pacifica il fatto che essa {la PA} semper reformanda est. Che proprio questo riformismo isterico crei l’incertezza e le lentezze che tutti biasimano, stranamente sfugge a Cassese.

Negli ultimi 25 anni non sono mancate le riforme della PA. Ne abbiamo avute fin troppe e tutte di segno sbagliato; spesso le une scritte sulle altre, visto che ogni ministro era preso dalla stessa ansia riformistica.

Cassese deve essersi distratto ma non sono mancate le riforme. Questo proprio no.

E’ mancata una riforma che fosse modesta ma buona. Questo sì.

 

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