04/11/2022 – Natura giuridica dell’incarico di responsabile del procedimento: atto datoriale di diritto privato.

Le pubbliche amministrazioni hanno da sempre difficoltà nel districarsi tra il complesso delle regole che ne disciplinano poteri e rapporti di carattere autoritativo, rientranti nel diritto pubblico, e funzioni e poteri propri del privato datore di lavoro, rientranti nell’ambito del diritto civile.

Occorre ricordare, per quanto concerne il rapporto di lavoro pubblico privatizzato, alcune fondamentali disposizioni del d.lgs 165/2001:

  1. articolo 2, comma 2, primo periodo: “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo”;
  2. articolo 2, comma 3, primo periodo: “I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente”;
  3. articolo 5, comma 2: “Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’articolo 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, nel rispetto del principio di pari opportunità, e in particolare la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatte salve la sola informazione ai sindacati ovvero le ulteriori forme di partecipazione, ove previsti nei contratti di cui all’articolo 9”;
  4. articolo 35, comma 1: “L’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro”.

Tali norme portano a ricostruire così la disciplina del rapporto di lavoro contrattualizzato:

  1. la fonte costitutiva del rapporto di lavoro è il contratto individuale di lavoro;
  2. la disciplina generale della gestione del rapporto di lavoro si rinviene nella contrattazione collettiva, nel codice civile, nelle leggi sul lavoro nell’impresa (un corpus tutto civilistico), nonché nelle regole speciali del d.lgs 165/2001 che, se derogatorie rispetto alla normativa civilistica, prevalgono su di essa;
  3. il datore di lavoro pubblico, che deve individuarsi nei vertici dell’apparato amministrativo, è titolato a gestire il rapporto di lavoro, agendo con capacità e poteri di un soggetto privato: non agisce, quindi, nell’esercizio di competenze autoritative e gli atti di gestione del rapporto di lavoro non sono di diritto pubblico, ma di diritto privato. Per capirsi, quindi, eventuali doglianze relative agli atti datoriali adottati dal datore pubblico vanno rivolte giudizialmente al giudice del lavoro, poiché la giurisdizione è quella ordinaria e non quella amministrativa.

In cosa consiste la “gestione del rapporto di lavoro”? Nell’esercizio dei poteri direttivi che il codice civile assegna al datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 2094 del codice civile[1]. Tali poteri direttivi permettono al datore di specificare la prestazione del lavoratore, nel rispetto della disciplina normativa operante, indicando modalità, risultati, quantità e qualità ed attribuendo, anche, specifici incarichi operativi connessi a particolari responsabilità accessorie alla prestazione dovuta, ovviamente nel rispetto delle declaratorie e delle mansioni previste.

Pertanto, rientrano integralmente nell’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro gli atti mediante i quali il datore pubblico attribuisce incarichi la cui natura rientra nell’esercizio del potere datoriale. Tali incarichi, pertanto, non sono “provvedimenti” amministrativi, ma appunto “atti” in tutto e per tutto di diritto privato. Ciò vale anche per l’assegnazione dell’incarico del responsabile del procedimento.

E’ pur vero che la figura del responsabile del procedimento è prevista e regolata dalla legge 241/1990, legge che regola il procedimento amministrativo e archetipo della norma di regolazione dei poteri pubblicistici.

Ci si potrebbe, chiedere, allora, come sia possibile l’attrazione dell’incarico di responsabile del procedimento nell’alveo del diritto civile, se si tratta di una figura essenziale dell’agire pubblicistico della PA.

Leggiamo cosa dispone l’articolo 5, comma 1, in merito al modo col quale si individua il responsabile del procedimento: “Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale”.

Come si nota, la legge 241/1990, a ben vedere, non si occupa minimamente della fonte di costituzione del ruolo di responsabile del procedimento, poiché si limita a disciplinare l’assegnazione della connessa responsabilità.

Dunque, la legge 241/1990 si astiene totalmente dal configurare l’atto di assegnazione, interessandosi solo degli effetti dell’assegnazione. Aggiungendo le conseguenze della mancata assegnazione: l’articolo 5, comma 2, infatti, precisa che “Fino a quando non sia effettuata l’assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell’articolo 4”.

In mancanza di una norma di diritto pubblico che qualifichi come provvedimento amministrativo di diritto pubblico l’attribuzione dell’incarico di responsabile del procedimento, occorre allora ampliare l’indagine, per comprendere fonte e sua natura dell’incarico.

La legge 241/1990 regola solo l’esercizio dei poteri pubblicistici del responsabile del procedimento. Ma, una questione è comprendere come, sulla base di quale atto e di quale natura esso sia, si assegna l’incarico; altro è occuparsi, questione che tratta la legge 241/1990, dei poteri pubblicistici sottesi all’incarico.

Non ci si deve stupire che un incarico avente natura privatistica sia alla base dell’esercizio di poteri pubblicistici. Come visto sopra, la fonte di costituzione del rapporto di lavoro pubblico è il contratto di lavoro: dunque, ogni potere pubblico esercitato dai dipendenti pubblici risale alla costituzione di un rapporto organico e di servizio prodotto da un atto di diritto privato, appunto il contratto.

Pertanto, non deve destare alcun disorientamento constatare e concludere che l’assegnazione della responsabilità del procedimento sia un atto di gestione del rapporto di lavoro, come tale avente natura giuridica di atto privatistico.

Una prova certa della correttezza della qualificazione dell’incarico di responsabile del procedimento come atto di natura datoriale e privatistica è data dall’ordinanza della Cassazione, Sezione Lavoro 13 febbraio 2018, n. 3464: al di là del merito (molto interessante) della questione trattata, la pronuncia rivela appunto che per la Cassazione la questione concernente gli effetti dell’assegnazione della responsabilità del procedimento ed i suoi effetti rispetto al riconoscimento di mansioni superiori è di pertinenza della giurisdizione civile.

Ciò conferma senza dubbio alcuno che l’atto col quale si assegna l’incarico di responsabile del procedimento è di natura civilistica: è esattamente un tipico atto “datoriale”, col quale si specificano mansioni ed attività chieste al prestatore, definendo uno specifico ambito operativo, i connessi compiti, le relative responsabilità ed il ruolo da svolgere. Si tratta di una vera e propria specificazione delle mansioni da svolgere, che per altro comportano anche l’assunzione di poteri pubblicistici verso terzi.

Da questa conclusione derivano necessarie conseguenze sulla forma dell’atto (non provvedimento) e sulle modalità da seguire per darvi pubblicità, interna ed esterna.

E’ bene precisare che la forma davvero necessaria ed imprescindibile è solo quella scritta. In effetti, nell’ordinamento civile opera il principio della libertà delle forme, a meno che non vi sia qualche disposizione speciale che impone una certa forma dell’atto: scritta, per atto pubblico, per scrittura privata semplice o autenticata.

Dunque, si potrebbe affermare la relativa importanza del fatto che l’assegnazione dell’incarico avvenga con la forma del provvedimento amministrativo, nella specie, nel caso di un ente locale, una determinazione del dirigente o del responsabile di servizio; nella sostanza, nonostante la forma pubblicistica, l’atto resta comunque di diritto privato.

Tale affermazione, corretta sul piano strettamente giuridico, conduce, però, sul piano pratico a confusione ed a conseguenze non necessariamente corrette. Per esempio, l’adozione della determinazione può indurre l’ente ad attrarre l’atto di incarico del responsabile del procedimento nella serie dei provvedimenti amministrativi destinata alle forme di pubblicità tipiche dei provvedimenti amministrativi, come la pubblicazione all’albo pretorio.

Si tratterebbe di una ridondanza, scorretta sul piano formale e produttiva comunque di incertezze appunto circa la natura giuridica dell’atto.

Pur condividendo che la forma non possa prevalere sulla sostanza, appare necessario che il modo corretto e razionale di agire accordi forma con sostanza, sicchè l’atto di assegnazione delle funzioni di responsabile del procedimento sia più opportunamente estraneo alla forma tipica pubblicistica.

Appare più razionale e corretto, anche allo scopo di evitare eccessi burocratici, che l’ente distingua tra provvedimenti di natura pubblicistica, delibere consiliari e di giunta, ordinanze e decreti sindacali, determine dirigenziali, rispetto ad atti di gestione del rapporto di lavoro, che solo per ordine archivistico potrebbero essere qualificati, appunto, nell’intestazione o nell’oggetto “atto datoriale” o, per restare attaccati al lemma “determina”, “determine organizzative”. Tali atti non debbono essere numerati nella sequenza del registro delle determinazioni: per essi è possibile istituire un registro speciale, anche se basta la sola registrazione al protocollo generale.

Ma, poiché nell’ordinamento civile vige la libertà delle forme, non è nemmeno necessario che si burocratizzi eccessivamente l’atto dell’assegnare e l’atto di assegnazione.

Certo, un atto specifico, datato, numerato e sottoscritto risponde ad un ordine mentale ed organizzativo al quale si può fare riferimento spontaneamente.

Tuttavia, il problema per la comunicazione verso terzi nemmeno si pone, almeno non nel senso che occorra un atto da sottoporre alla visione e conoscenza degli interessati al procedimento.

Infatti, ai sensi dell’articolo 5, comma 3, e dell’articolo 8, comma 2, lettera c), ai terzi deve essere solo comunicato il nominativo del responsabile del procedimento: la legge non richiede che sia comunicato l’atto dell’assegnazione ed i riferimenti di questo; anche perché tale atto può mancare e, in questo caso, come visto sopra, la responsabilità del procedimento resta ex lege attribuita al dirigente dell’unità organizzativa competente.

La pubblicità verso terzi è, dunque, semplicissima e coincide con la mera indicazione del nominativo della persona che svolge le funzioni del responsabile del procedimento.

Paradossalmente, potrebbe bastare questo solo anche come comunicazione interna: il dipendente assegnatario delle funzioni apprende tale fatto curando la formulazione della comunicazione di avvio del procedimento.

Tuttavia, non tutti i procedimenti si attivano con una comunicazione di avvio: la giurisprudenza ammette che in particolare quelli ad istanza di parte possano anche risultare privi della comunicazione, laddove essa risulti del tutto inutile anche perché è per altro possibile ricavare da fonti dell’ente il nominativo del responsabile di quello specifico procedimento.

Dunque, un’assegnazione formale interna che preceda l’innesco del procedimento e comunichi al dipendente destinatario l’investitura, è sempre opportuna.

Occorre, dunque, necessariamente la già ipotizzata nota scritta (per forma scritta, si intende anche la forma digitale con sottoscrizione digitale, ovviamente) e protocollata?

Non necessariamente. I mezzi per individuare i responsabili del procedimento possono anche essere altri e più semplici ed automatici.

L’articolo 47, comma 3, del d.lgs 82/2005 (codice dell’amministrazione digitale) dispone che “Le pubbliche amministrazioni utilizzano per le comunicazioni tra l’amministrazione ed i propri dipendenti la posta elettronica o altri strumenti informatici di comunicazione nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali e previa informativa agli interessati in merito al grado di riservatezza degli strumenti utilizzati”.

La norma consente certamente di gestire le comunicazioni interne, comprendenti senza ombra di dubbio anche decisioni ed atti connessi all’esercizio del potere datoriale di natura privata:

  1. la posta elettronica, evidentemente istituzionale: si dà per forma “scritta” anche quella della mail istituzionale contenente una formula breve ed agile di assegnazione dell’incarico di responsabile del procedimento;
  2. altri sistemi informatici di comunicazione: si immagini un applicativo gestionale mediante il quale si curino le varie fasi di un procedimento amministrativo, che contenga una tabella di individuazione dei dipendenti da abbinare al ruolo di responsabile del procedimento. Anche questa è una forma di comunicazione “scritta” (a condizione che si rispettino le regole tecniche necessarie), con la quale assegnare la responsabilità.

Stabilendo con le regole interne i metodi di assunzione dell’atto di assegnazione dell’incarico, le forme possono rivelarsi estremamente semplificate e non richiedenti in alcun modo i formalismi propri del provvedimento amministrativo.

Un’altra annotazione appare opportuna. La legge 241/1990, ma con ancor maggior chiarezza il d.lgs 50/2016 per i lavori pubblici, prevedono che l’assegnazione del responsabile del procedimento sia effettuata per ogni specifico e singolo procedimento attivato e non per “tipologie” di procedimento.

E’, invece, molto diffusa la consuetudine di assegnare (spesso appunto con determine) l’incarico di responsabile di una certa generale ed astratta ed onnicomprensiva responsabilità per tipologie procedimentali.

Un modo di agire non solo difforme dalla norma, che invece richiede l’assegnazione della responsabilità procedimentale per ciascun singolo procedimento, ma irrazionale, posto che esso:

  1. confonde una specificazione dell’attività lavorativa con una sorta di qualifica;
  2. non tiene conto dei carichi di lavoro e, quindi, rende poi complessa l’eventuale diversa ripartizione;
  3. determina una spoliazione definitiva da parte del dirigente o responsabile di servizio di una funzione che, pure, in prima battuta spetta loro.

L’assegnazione della responsabilità del procedimento per “tipologia” generale è certo anche conseguenza appunto dell’approccio burocratico-formale: allo scopo di evitare il proliferare di “determine” di incarico, si incarica una volta sola, in modo onnicomprensivo, generando comunque confusione.

In enti di piccole dimensioni, in ogni caso, un incarico così generico ha almeno il pregio di indicare all’esterno, se l’incarico è pubblicizzato ad esempio in Amministrazione Trasparente nell’elenco dei procedimenti gestiti, un responsabile del procedimento certo ed individuato.

In enti di maggiori dimensioni, nei quali in una certa unità organizzativa i responsabili del procedimento possano essere più di uno, un incarico generale tipologico non serva praticamente a nulla: il cittadino, in effetti, può apprendere il nominativo dell’effettivo responsabile, uno tra quelli dell’unità organizzativa, solo con la specifica comunicazione di quel nominativo, a riprova che deve esistere un rapporto di 1 a 1 tra procedimenti gestiti ed assegnazioni di responsabilità del procedimento.

Dunque, l’utilizzo di metodi informatizzati e brevi, privi di formalismi eccessivi, per assegnare l’incarico è utile non solo per un ordine giuridico ed archivistico, ma anche logico e sistematico.

Infine, proprio perché la funzione di responsabile del procedimento coincide con un atto di gestione del rapporto di lavoro, teso a specificare un certo modus operandi del dipendente destinatario, ad essa può essere anche connesso un trattamento accessorio.

Dopo che per molti anni l’Aran si è manifestata ostile all’assegnazione dell’indennità di funzione ai responsabili del procedimento, l’attuale articolo 84 della preintesa del Ccnl 2019-2021 segna un progresso, perché esemplifica tra le condizioni ricorrendo le quali si possa attribuire al personale l’indennità per specifiche responsabilità:

  • specifiche responsabilità derivanti dall’essere punto di riferimento, tecnico, amministrativo e/o contabile in procedimenti complessi;
  • – specifiche responsabilità derivanti da incarichi che possono essere assegnati anche temporaneamente a dipendenti direttamente coinvolti in programmi o progetti finanziati da fondi europei o nazionali (PNRR, Fondi della Politica di Coesione ecc…): project manager e personale di supporto;
  • – specifiche responsabilità per l’esercizio di funzioni di RUP come individuato dal Codice dei Contratti, D.Lgs n. 50 del 2016.

Tutte circollocuzioni che finiscono per indicare appunto le responsabilità del procedimento; per altro, l’ultima ricordata delle tre è estremamente chiara nel riconnettere l’indennità alla funzione di responsabile Rup, figura che è con ogni evidenza specie del genere responsabile del procedimento.


[1] Se ne riporta il testo: “È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.

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