04/02/2020 – L’urbanistica guarda al futuro – La fabbrica non deve trasferirsi perché è cambiato il prg

Il Tar Brescia ritiene impossibile imporre la riconversione senza concertazione e incentivi
L’urbanistica guarda al futuro – La fabbrica non deve trasferirsi perché è cambiato il prg
a cura di Dario Ferrara

Impossibile espellere la fabbrica dall’area in cui opera da sempre soltanto perché nel frattempo è cambiato lo strumento urbanistico. Quindi è escluso che il comune possa imporre la riconversione all’insediamento produttivo laddove la nuova zonizzazione prevede unicamente lo sviluppo dei servizi e del commercio: le nuove destinazioni, infatti, operano per le future trasformazioni del territorio, mentre per delocalizzare attività «impattanti», dal punto di vista dell’ambiente e della qualità della vita, bisogna ricorrere al metodo della concertazione. Cioè offrendo incentivi al trasferimento e attivando eventualmente un tavolo istituzionale. Né si possono vietare ristrutturazioni dello stabilimento: all’impresa va garantito «un minimo diritto alla crescita». E ciò anche se i cittadini si lamentano per la convivenza forzosa con le ciminiere. È quanto emerge dalla sentenza 1101/19, emessa il 30 dicembre dalla prima sezione della sede di Brescia del Tar Lombardia.

 
Il caso. La pronuncia ha accolto il ricorso della spa che gestiva una fonderia, annullando la delibera con cui il consiglio comunale aveva adottato il Pgt, il piano di governo del territorio della regione, decretando che la fabbrica prima o poi doveva riconvertirsi o smobilitare. Insomma «l’intento espulsivo» era chiaro e fra l’altro privo di un termine esplicito, il che aumentava l’incertezza sul futuro della produzione e dei lavoratori. Aveva pesato sulla decisione dell’amministrazione la circostanza che lo stabilimento trattava e riciclava rifiuti di alluminio oltre che realizzare placche e billette. La spa lamentava, da canto suo, una vendetta del comune, «un castigo ad personam» perché in passato i cittadini avevano segnalato emissioni diffuse non controllate dallo stabilimento.
 
Interessi da bilanciare. Le scelte di pianificazione urbanistica costituiscono un esercizio di ampia discrezionalità da parte dell’amministrazione locale. E non c’è dubbio che rientri nell’opera di disegno del territorio allontanare le attività insalubri dai centri abitati. Ma un conto è quando la programmazione urbanistica investe una porzione di territorio ancora vergine, un altro se la nuova destinazione colpisce un’area dove sono stati realizzati cospicui investimenti economici. Bisogna dunque verificare se nel frattempo si sono create legittime aspettative da parte del privato, contemperando i contrapposti interessi dell’assetto del territorio e della libera impresa. Insomma: il comune deve valutare se l’astratto miglioramento della situazione urbanistica generale non finisca per sacrificare concreti interessi economici di privati. E non può porre il divieto di determinati insediamenti produttivi a una determinata distanza dal centro senza indicazioni ad hoc provenienti dalle autorità sanitarie. Le opere realizzate in precedenza alla modifica dello strumento urbanistico, dunque, conservano la loro legittima destinazione pur se in difformità dalle nuove prescrizioni. Non c’è dubbio che il comune possa compiere scelte orientate a localizzare gli insediamenti per motivi igienico-sanitari. Ma nella specie l’amministrazione avrebbe dovuto considerare disposizioni «promozionali» e coinvolgere la spa che gestisce la fonderia nella ricerca di «soluzioni alternative praticabili», per esempio realizzando uno studio per individuare aree nel territorio amministrato dove la fabbrica può continuare le sue lavorazioni. Né è legittimo, come pure fa l’ente locale, prevedere misure restrittive contro l’espansione dell’insediamento perché si rischierebbe il «soffocamento» della produzione.
Eppure la fabbrica è a rischio. Nel caso specifico, non si contavano, negli anni, le segnalazioni all’azienda sanitaria e a quella regionale per l’ambiente effettuate contro lo stabilimento, dove si erano verificati incidenti sul lavoro. Né mancavano le querele rivolte all’autorità giudiziaria. Il punto è che, hanno spiegato i giudici, che il comune deve agire su di un altro piano, ricorrendo agli ordinari strumenti di controllo e repressione, applicando sanzioni ed eventualmente revocando le autorizzazioni concesse.

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