03/12/2016 – Dichiarazione del Presidente di Nuova Etica Pubblica in ordine all’accordo Governo- Sindacati del 30 novembre

IL CONSOCIATIVISMO IMPROBABILE

Rispetto all’accordo firmato l’altro ieri a Palazzo Vidoni, proviamo innanzitutto a fissare alcuni elementi obiettivi:

I – Si tratta di un accordo “politico”. Perché ci siano effettive conseguenze giuridiche ed economiche si dovranno prima produrre: a) il decreto delegato sul rapporto di lavoro pubblico in attuazione dell’art. 17 della legge 124/2015; b) norme di bilancio (vedi appresso); c) i CCNL di comparto e di area, in sede ARAN. Ma il Ministro Madia, a nome del Governo (ma senza la firma del Ministro dell’Economia), si impegna in questa direzione.

II – Sulla parte economica, per avere gli 85 euro mensili lordi a regime (nel 2018) il Ministro Madia assicura che risorse ulteriori rispetto a quelle già stanziate nella legge di bilancio per il 2017, in via di approvazione, saranno previste dalle leggi di bilancio successive. Inoltre, garantisce che ci saranno analoghi stanziamenti aggiuntivi per gli altri soggetti datoriali pubblici, aventi propri bilanci. Quando? Senza queste coperture, i CCNL in ARAN non si possono fare. Quanto? Le risorse stanziate attualmente coprono meno della metà del necessario, ovvero circa 40 euro lordi mensili. In ogni caso, il blocco dei contratti dal 2009 ha prodotto una diminuzione delle retribuzioni reali del pubblico impiego di circa il 10 %, il che significa, per uno stipendio netto di 1500 euro, una decurtazione di 150 euro. A fronte di questa riduzione l’aumento netto a regime promesso dall’accordo sarebbe meno di 60 euro e quello coperto dalle risorse oggi esistenti sarebbe meno di 30 euro.

III – Sulla parte normativa, per le innovazioni rinviate ai contratti collettivi bisognerà attendere questi, dopo le “leggi di bilancio” che vi daranno copertura. Le altre sono rinviate al decreto delegato, per il quale si pongono due problemi: 1°: le modifiche del decreto n. 150/2009 sul sistema delle fonti, sulla contrattazione decentrata, sul regime delle assenze etc. non sono contemplate dalla delega e dunque, semplicemente, non possono essere inserite nel decreto; 2°: dopo la recentissima sentenza 251 della Corte costituzionale, l’ accordo prevede che il nuovo decreto delegato verrà sottoposto all’ intesa con le Regioni; se questa manca e il Governo procede lo stesso si torna alla Corte costituzionale. Ed anche con la riforma costituzionale attualmente in campo, se è certo che il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici spetta alla legge nazionale è altrettanto certo che la materia dell’organizzazione interna dei propri apparati resta competenza dell’Ente Regione.

Se la situazione dei conti e delle prospettive è questa, qual è il senso di quest’accordo? La risposta è facile: è uno scambio consociativo, di ritorno al precedente sistema contrattuale sepolto sette anni fa perché non funzionava, neppure con le modifiche prospettate nel 2009. Come per il passato, ciascuna delle due parti lucra per sé un vantaggio politico: il Governo aumenta (o spera di aumentare) i consensi per il SI al referendum, con il ministro Madia che dichiara sulla Repubblica di ieri: “Così daremo di più ai poveri e di meno a chi già guadagna. E’ l’accordo di Robin Hood” (sic!); CGIL, CISL e UIL – sole firmatarie dell’ accordo – restaurano (o sperano di restaurare ) il vecchio sistema contrattuale e, all’ interno di questo, il proprio ruolo di interlocutori privilegiati del Governo in carica rispetto a tutte le altre sigle sindacali. Il tutto, coperto dall’ annuncio degli 85 euro, rivolto ai dipendenti pubblici, e dalle immancabili enunciazioni sull’efficienza, trasparenza, flessibilità etc., rivolte alla pubblica opinione.

Il punto vero dell’operazione, per le centrali confederali, sta nel ritorno alla prevalenza della fonte contrattuale sulla disciplina di legge, non solo sulla materia del rapporto di lavoro, ma anche sugli aspetti organizzativi del funzionamento degli apparati. In particolare sulla contrattazione aziendale verrebbe di fatto abrogata la norma vigente per cui, se non si raggiunge un accordo entro un certo tempo, la parte datoriale può procedere con atti unilaterali alle innovazioni organizzative ritenute necessarie. Si ripristinerebbe, così, al riguardo il potere di veto dei sindacati interni.

E’ del tutto improprio, perciò, ogni paragone col recentissimo contratto dei metalmeccanici, che pure prevede aumenti di 85 euro mensili. Non solo perché quest’ultimo è un contratto già efficace invece di una promessa, ma perché vi si prospetta uno scambio reale tra aumenti salariali ed aumenti di produttività, che verrà verificato in sede decentrata, azienda per azienda, padrone per padrone. Nel sistema pubblico, invece, l’attuazione di quest’accordo rimetterebbe le direzioni aziendali sotto la tutela dei sindacati interni, in concorrenza tra loro per le tessere e i suffragi dei dipendenti. Con le conseguenze sulla produttività che è facile immaginare, tenendo conto anche delle previsioni dell’accordo sul ripristino dei premi di presenza, della contrattazione dei sistemi di valutazione e così via.

In realtà, come s’è detto, questo papello sottoscritto dal Ministro per la FP e da CGIL CISL e UIL ha scarse possibilità di trovare attuazione, condizionato com’è da nuove leggi, nuovi stanziamenti, intese con le Regioni, contratti in ARAN, in un quadro politico assai incerto, a cominciare dallo stesso incarico ministeriale di Marianna Madia. L’ unico aspetto positivo è che in qualche misura riporta all’attenzione del Paese una questione cruciale per il buon andamento del sistema amministrativo, rimasta coperta per sette anni dal congelamento dei contratti pubblici: quella del regime giuridico del pubblico impiego. A cominciare dalla distorsione di fondo, oggi tornata alla ribalta, di un sistema contrattuale “privatistico” che vede un datore di lavoro politico che scambia – o promette – soldi pubblici con consensi elettorali, ed organizzazioni sindacali che offrono i consensi dei pubblici dipendenti in cambio della propria cogestione nell’ esercizio di funzioni pubbliche.

Nella dichiarazione di pochi giorni fa a proposito della “riforma “della dirigenza, abortita dopo la sentenza della Corte costituzionale, abbiamo impegnato Nuova Etica Pubblica nella progettazione, insieme ad altri, di un nuovo regime di rapporti tra politica ed amministrazione, che superi le insufficienze del regime attuale. Di fronte a questo “accordo politico” diviene evidente la necessità che la progettazione del nuovo regime vada ad investire anche il sistema regolativo del pubblico impiego, a cominciare dalla contrattazione. Non sarà facile, ma non c’è altra strada. Roma, 2 dicembre 2016.

Il Presidente dell’Associazione Antonio Zucaro.

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto