03/10/2019 – Interpretazione degli atti della procedura di gara: assume valenza primaria ma non esclusiva il criterio letterale

Interpretazione degli atti della procedura di gara: assume valenza primaria ma non esclusiva il criterio letterale
di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
La giurisprudenza affronta ancora una volta la tematica della interpretazione degli atti amministrativi e segnatamente degli atti di una procedura pubblica di individuazione del contraente indetta da un Ateneo statale nel 2017, poco prima del decreto correttivo. La necessità di trattare la questione è sorta dalla disputa giudiziale inerente un aspetto dell’offerta attinente alla manodopera: le ore di lavoro complessive necessarie per l’esecuzione della prestazione contrattuale consistente nel servizio di pulizia e igiene ambientale per diversi edifici universitari. Di fronte a indicazioni quantitative differenti la controversia si è incentrata sul reale significato di “ore di lavoro” richieste, se “effettive” o “contrattuali” (anche indicate come “ore teoriche”), laddove le prime non comprendono anche i periodi non lavorati per ferie, festività, malattie, infortuni, permessi e perciò sono di entità inferiore rispetto alle “ore contrattuali”. Il punto intorno al quale vi erano opposte tesi era quindi quello della forza lavoro, ai fini del calcolo dei costi, in uno di quei contratti che hanno la componente di manodopera prevalente rispetto agli altri fattori produttivi (appalti ad alta intensità di manodopera, cd. labour intensive) e per i quali l’aggiudicazione deve sempre basarsi sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e non su quello del minor prezzo (Cons. Stato, A.P., sent. n. 8/2019). Non esiste una definizione legislativa di “ore di lavoro” in relazione agli appalti pubblici e negli atti di gara preparati dalla Stazione appaltante non vi era un glossario né altra indicazione positiva della dicitura “ore di lavoro”, dunque è stato necessario risolvere la diatriba, tutt’altro che di stile prettamente espressivo, secondo le regole ermeneutiche proprie applicabili agli atti giuridici.
Premesso il superiore “principio di legalità” dell’azione amministrativa (art. 97 Cost. e art. 1L. n. 241/1990), l’atto amministrativo deve essere interpretato e classificato secondo il suo effettivo contenuto sostanziale, quale desumibile dal contenuto letterale dell’intero testo, dalla interpretazione sistematica delle diverse parti che lo compongono e dalle finalità perseguite con la sua adozione (Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 4344/2016) [in dottrina Prontera A., L’interpretazione del bando di gara: pratiche tradizionali e prospettive metodologiche evolutive. alla ricerca dell’interpretazione «vera», Foro amm. TAR., 2008]. Il momento interpretativo inerisce a qualsiasi tipo di studio del diritto e costituisce la base metodologica di questo settore scientifico. L’interpretazione non è soltanto una tecnica per disvelare e rendere intellegibile un fenomeno giuridico, né costituisce semplicemente un processo di attribuzione a un testo giuridico del significato che il legislatore aveva in mente, né interpretarlo secondo la sua portata sintattica; interpretare è assegnare un significato in rapporto alla possibilità attuale e contingente di comprendere tale significato. [in dottrina Vasta S., Alcune riflessioni sull’interpretazione nel diritto amministrativo, Dir. amm., 2009]. La legge generale sul procedimento amministrativo non detta, neppure mediante rinvio ad altra fonte, regole interpretative degli atti amministrativi o dei comportamenti delle PP.AA., salvo per quanto attiene al silenzio.
E’ dunque compito del giudice qualificare il provvedimento amministrativo impugnato nell’esercizio dell’attività di interpretazione degli atti amministrativi, da condurre secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. [in dottrina: Monteduro M., Il giudice e l’interpretazione del provvedimento amministrativo nell’esperienza italiana: la vicenda esemplare delle clausole dei bandi di gara, 2009]. Come anticipato sopra, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che, a tal fine, carattere preminente assume il criterio letterale, e, specie in caso di dubbio, il giudice è tenuto a risalire all’effettiva volontà dell’Amministrazione, eventualmente anche prescindendo dai riferimenti normativi in esso contenuti e tenendo, invece, conto del contenuto complessivo dell’atto e del comportamento successivo (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 120/2018). L’interpretazione degli atti amministrativi è sottoposta alle stesse regole dettate per l’interpretazione degli atti negoziali, così come previsto dagli artt. 1362 e ss. c.c., conseguentemente il carattere preminente è assunto dall’interpretazione letterale (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 2876/2019).
Quando il criterio letterale non risulti da solo efficace, persistendo lacune o espressioni plurivoche oppure persino interpretazioni plurime, deve essere privilegiata l’interpretazione più coerente con “lo scopo del servizio richiesto”, cioè con gli obiettivi perseguiti dalla stazione appaltante nell’affidamento del servizio. Questi vanno desunti, oltre che dall’oggetto dell’appalto, dai criteri di valutazione dell’offerta tecnica, con i quali si valorizzano gli aspetti di questa ritenuti indispensabili o utili, secondo l’insindacabile giudizio della stazione appaltante (Cons. Stato, Sez. V, sent. 434/2019).
Diversamente dagli atti amministrativi, che sono atti giuridici unilaterali, ancorché in vari casi adottati a seguito di procedimenti complessi partecipati dai privati interessati, nell’interpretazione dei contratti della P.A. l’esegesi letterale, che resta primaria, deve sempre integrarsi con l’indagine sulla volontà delle parti, come obiettivizzata nelle clausole, e quest’ultima è desumibile anche dal comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla conclusione del contratto, ai sensi dell’art. 1362 c.c. (Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 2327/2018).
La sentenza in commento non si allontana dai canoni descritti e conferma che, in mancanza di una chiara clausola della lex specialis, occorre ricorrere anche ai criteri ermeneutici diversi da quello letterale e, in particolare, al criterio interpretativo costituito dal comportamento dell’Amministrazione (e dal comportamento degli altri operatori economici che in misura prevalente avevano dato la medesima lettura intesa, ma non espressa, dall’Amministrazione). Inoltre l’interpretazione individuata (nel senso di considerare le “ore contrattuali” e non le “ore lavorate”) è anche quella più coerente con il contesto regolatorio cui si riferisce la clausola del capitolato, che è quello del diritto del lavoro. Quando si fa riferimento al lavoro di unità operative occorre sempre avere riguardo alle norme di disciplina della materia, nonché alle disposizioni contenute nella contrattazione collettiva, che definiscono le ore tenendo conto anche di quelle “non lavorate”, a tutela del lavoratore. Precedenti specifici in materia sono rinvenibili in Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 4087/2019, a proposito di verifica di congruità dell’offerta, e T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, sent. n. 2225/2015, a proposito della clausola sociale. Le ore c.d. “effettive” sono le ore che mediamente vengono concretamente lavorate da ciascun dipendente o da tutti i dipendenti a favore della P.A. committente; diversamente, le ore “contrattuali” sono “le ore che l’impresa deve prevedere per poter garantire lo svolgimento delle ore effettive” tenendo conto della necessità di sostituire i lavoratori assenti per malattia o per altre cause legali di assenza (ferie, permessi, maternità, etc.; cfr. Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 3800/2018).
L’erronea interpretazione degli atti amministrativi da parte del giudice è ascrivibile a errore di giudizio e non a errore di fatto e perciò non è censurabile mediante il mezzo della revocazione (Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 1131/2019).

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