03/09/2020 – Urbanistica. Irrilevanza situazione preesistente dell’immobile abusivo

Urbanistica. Irrilevanza situazione preesistente dell’immobile abusivo
Pubblicato: 02 Settembre 2020
Consiglio di Stato Sez. VI n. 4662 del 21 luglio 2020

La situazione di fatto di un immobile, contra o praeter legem, non è elemento idoneo a sostituire il titolo edilizio e nemmeno può legittimarne l’assetto anche da un punto di vista giuridico. Al contrario, il carattere sanzionatorio e doveroso del provvedimento demolitorio esclude la pertinenza del richiamo alla motivazione dell’interesse pubblico e la selezione e ponderazione dei sottesi interessi risulta compiuta – per così dire – ‘a monte’ dallo stesso legislatore (il quale ha sancito in via indefettibile l’onere di demolizione al comma 2 dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001), in tal modo esentando l’amministrazione dall’onere di svolgere – in modo esplicito o implicito – una siffatta ponderazione di interessi in sede di adozione dei propri provvedimenti

Pubblicato il 21/07/2020

N. 04662/2020REG.PROV.COLL.

N. 10429/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10429 del 2019, proposto da

Paco s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Panepinto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Antonio Innocenzo Ielo in Roma, viale Angelico 78;

Società cooperativa Albachiara Group, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Panepinto e Pietro Di Stefano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Antonio Innocenzo Ielo in Roma, viale Angelico 78;

contro

Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paola Cozzi, Giuseppe Lepore, Antonello Mandarano e Maria Lodovica Bognetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio n. 15;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, 11 giugno 2019, n. 1320, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 giugno 2020 il Cons. Diego Sabatino e rilevato che l’udienza si svolge ai sensi dell’art.84 comma 5, del D.L.n.18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa e che sono presenti da remoto gli avvocati Giuseppe Panepinto, Giovanna Giglia in delega di Pietro Di Stefano, e Paola Cozzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 10429 del 2019, Paco s.r.l. e Società cooperativa Albachiara Group propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, 11 giugno 2019, n. 1320, con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Milano per l’annullamento

– della nota prot. n. PG 474311/2017 del 20 ottobre 2017 a firma del Dirigente della Direzione Urbanistica del Comune di Milano avente ad oggetto “Via Mecenate, 84/A – Zona 4” con la quale è stata ordinata la demolizione delle opere realizzate nell’immobile ed il ripristino della situazione preesistente;

– nonché della nota prot. n. PG 325645/2017 del 13 luglio 2017 a firma del Dirigente della Direzione Urbanistica del Comune di Milano, notificata il 24 luglio 2017;

– nonché della nota del Responsabile del procedimento in data 25 settembre 2017, richiamata nella nota prot. n. PG 474311/2017 del 20 ottobre 2017, ma non allegata, né comunicata, né mai conosciuta;

– e per il risarcimento del danno.

I fatti di causa possono essere così riassunti.

Con ricorso notificato in data 20 dicembre 2017 e depositato il 29 dicembre successivo, le società originariamente ricorrenti hanno impugnato, tra l’altro, la nota prot. n. PG 474311/2017 del 20 ottobre 2017 a firma del Dirigente della Direzione Urbanistica del Comune di Milano avente ad oggetto “Via Mecenate, 84/A – Zona 4” con la quale è stata ordinata la demolizione delle opere realizzate nell’immobile ed il ripristino della situazione preesistente.

La ricorrente Paco S.r.l. ha acquistato nel 2010 un immobile sito a Milano in Via Mecenate n. 84, adibito a sportello bancario – Cat. Catastale D/5 – con subentro della ricorrente, quale locatrice, nel contratto di locazione ancora in corso con l’Istituto di credito. Dalla licenza di occupazione, rilasciata dal Comune in data 28 luglio 1975, risulta che l’immobile è costituito da n. 4 box a piano interrato e da n. 4 piani fuori terra aventi la seguente destinazione d’uso: a) piano terreno: n. 1 salone esposizione, n. 2 gabinetti, n. 1 antibagno; b) piano primo: n. 1 locale uso ufficio, n. 2 gabinetti, n. 1 antibagno; c) piano secondo: n. 1 locale uso ufficio, n. 2 gabinetti, n. 1 antibagno; d) piano terzo: n. 1 locale uso ufficio, n. 2 gabinetti, n. 1 antibagno. Nell’anno 2016, avendo l’Istituto bancario rilasciato l’immobile, la società Paco ha stipulato un contratto di locazione con la Società Cooperativa Alba Chiara Group al fine di adibire il predetto immobile ad alloggio per soggetti extracomunitari richiedenti asilo politico, come da Determinazione della Prefettura di Milano del 13 marzo 2017, prot. 36870/2017. In data 27 giugno 2017, la ricorrente Alba Chiara Group ha presentato una segnalazione certificata di inizio attività allo scopo di ottenere il mutamento di destinazione d’uso da commerciale (categoria D5) a residenziale; tuttavia, con nota del 13 luglio 2017, la Direzione Urbanistica del Comune di Milano ha comunicato l’avvio del procedimento finalizzato a dichiarare l’inammissibilità della s.c.i.a., in quanto, trattandosi di immobile destinato a laboratorio al piano terra, il cambio di destinazione d’uso a residenza avrebbe richiesto, necessariamente, l’attestato della qualità dei suoli (IAP) ai sensi dell’art. 5 del Piano delle Regole, nonché il documento di valutazione del clima acustico e relazione tecnica dei requisiti acustici passivi, ai sensi degli artt. 119 e 122 del Regolamento Edilizio. Nonostante le contrarie deduzioni di Alba Chiara, che ha indicato la sussistenza della destinazione commerciale del piano terra, il Comune ha adottato un’ordinanza di demolizione delle opere realizzate, per il ripristino della situazione preesistente.

Assumendo l’illegittimità della predetta determinazione, le ricorrenti ne hanno chiesto l’annullamento, in primo luogo, per violazione di legge per mancata e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., per violazione delle garanzie partecipative al procedimento, per eccesso di potere sviamento dall’interesse pubblico e dalla causa tipica, per travisamento dei fatti, per errore nei presupposti e per violazione dei principi di trasparenza, di imparzialità e di buon andamento della P.A.

Successivamente sono stati dedotti la violazione di legge per mancata e/o falsa applicazione della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., e del giusto procedimento, la violazione dell’art. 3 della predetta legge, il difetto di motivazione, l’eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti atti e manifestazioni di volontà della stessa P.A., la violazione del legittimo affidamento, il travisamento dei fatti, l’errore nei presupposti, la violazione dei principi di trasparenza, di imparzialità e di buon andamento della P.A.

Ulteriormente, sono stati dedotti la violazione di legge per mancata e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., il difetto di motivazione, la violazione di legge per mancata e/o falsa applicazione della legge n. 241 del 1990 e s.m.i. e del giusto procedimento, la violazione e falsa applicazione del Piano di governo del territorio del Comune di Milano approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 16 del 22 maggio 2012 e delle Norme di attuazione, l’eccesso di potere per violazione del legittimo affidamento, lo sviamento dall’interesse pubblico e dalla causa tipica, il travisamento dei fatti, l’errore nei presupposti e la violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento della P.A.

Inoltre, sono stati dedotti violazione di legge per mancata e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, la carenza di motivazione, il difetto di istruttoria, l’eccesso di potere per contraddittorietà, il travisamento dei fatti, l’errore nei presupposti, la violazione dei principi di imparzialità, di ragionevolezza e di buon andamento della P.A.

È stato chiesto, altresì, il risarcimento del danno; è stata formulata, infine, una richiesta istruttoria “per accertare la destinazione dell’immobile, la natura, l’entità e la consistenza delle opere realizzate, tenendo conto anche di quanto previsto dalla Norme tecniche di Attuazione del PDR vigente”.

Con il decreto n. 4/2018 è stata respinta la domanda cautelare inaudita altera parte.

Si è costituito in giudizio il Comune di Milano, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con l’ordinanza n. 310/2018 è stata accolta limitatamente la domanda di sospensione proposta dalle ricorrenti.

In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia, i difensori delle parti hanno depositato memorie e documentazione a sostegno delle rispettive posizioni; in particolare, è stata altresì depositata in giudizio l’attestazione comunale, datata 28 gennaio 2019, che non ritiene necessaria la bonifica del compendio con riferimento all’uso commerciale-industriale.

Alla pubblica udienza del 13 marzo 2019, su conforme richiesta dei difensori delle parti, la causa è stata discussa e decisa con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, stante l’incompatibilità della destinazione assunta in relazione all’area.

Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, come meglio descritte in parte motiva.

Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Milano, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza del 16 aprile 2020, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza 17 aprile 2020 n. 2479.

Dopo l’accoglimento della domanda di discussione da remoto, avutosi con decreto presidenziale 1 giugno 2020 n. 872, alla pubblica udienza del 6 giugno 2020, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. – Con il primo motivo di diritto, articolato su quattro diversi profili, viene censurata la sentenza nella parte in cui, dopo aver respinto la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, ha rigettato il secondo motivo del ricorso di primo grado con il quale era stata dedotta “violazione di legge per mancata e/o falsa applicazione della l.n. 241/90 e smi e del giusto procedimento, violazione dell’art. 3 della predetta legge, difetto di motivazione, eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti atti e manifestazioni di volontà della stessa P.A., violazione del legittimo affidamento, travisamento dei fatti, errore nei presupposti, violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento della P.A.”.

2.1. – Con il primo profilo della censura, viene lamentata l’erroneità della sentenza nella parte in cui, nonostante i titoli edilizi e la destinazione del piano terra a sportello bancario consentita per oltre vent’anni, ha ritenuto non dimostrato che il piano terra avesse destinazione commerciale.

La censura non può essere condivisa.

Con una motivazione puntuale, il primo giudice ha rilevato come, dalla documentazione esibita dagli uffici comunali, sia possibile ricostruire la destinazione dell’immobile in questione.

In particolare, l’immobile risulta edificato sulla base della licenza edilizia n. 2850 del 26 agosto 1968 con destinazione, per i piani fuori terra, per laboratori, uffici e saloni per esposizione e, per il piano interrato, come autorimessa (deposito del 3 gennaio 2020, pag. 214).

La destinazione d’uso industriale era conforme alla pianificazione urbanistica dell’epoca per cui erano ammesse le destinazioni produttiva (min 70%) e le funzioni compatibili e uffici nella percentuale ivi prevista e integrati nell’unità attività produttiva (deposito del 3 gennaio 2020, pag. 59) ed è stata successivamente confermata anche con la variante generale del 1980 al PRG, prendendo in considerazione espressamente il fabbricato de qua, sito in via Mecenate n. 84/A (deposito del 3 gennaio 2020, pag. 51).

Sulla scorta della detta rappresentazione, appare evidente che l’eventuale intervenuto cambio di destinazione d’uso dell’immobile avrebbe dovuto essere attestato da un esplicito titolo edilizio che, nella specie, non risulta prodotto e che funzione residenziale, di cui la parte appellante intende avvalersi, non risulta mai essere stata assentita in relazione all’area de qua.

In questo senso, non sono titoli edilizi quelli di cui la parte intende avvalersi a fine probatori (sia la licenza di occupazione rilasciata dal Comune di Milano il 28 luglio 1975, sia il fascicolo edilizio, prot. di zona n. 578/1995; sia la pratica assunta al prot. n. 7595 del 23 luglio 1996).

L’eventuale circostanza che, nel corso del tempo, sono stati effettuati alcuni interventi da cui emergerebbe l’avvenuta modifica della destinazione d’uso ad attività commerciale (quali l’utilizzo del piano terra come salone esposizione e lo svolgimento di alcuni servizi bancari, come lo sportello bancomat), evidenziano al massimo una non corretta considerazione della situazione dell’area da parte del Comune, ma certo non sostituiscono il titolo abilitativo che avrebbe legittimato la nuova destinazione che, si ripete, manca.

2.2. – Con il secondo profilo, si lamenta il mancato ricorso alla consulenza tecnica, invocata in primo grado ma non avallata dal primo giudice.

La censura non ha pregio.

Come sopra evidenziato, la documentazione esibita era sufficiente a valutare la destinazione edilizia dell’area e la funzione ammessa, per cui, correttamente, il T.A.R. non ha fatto uso della detta facoltà istruttoria.

2.3. – Con il terzo profilo, si lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui, apoditticamente, afferma che la documentazione prodotta in giudizio dalle parti ricorrenti, non sarebbe in grado di infirmare la determinazione comunale, laddove, invece, la tesi del Comune di Milano, secondo cui l’immobile di Via Mecenate n. 84/A, avrebbe fatto parte dell’insediamento industriale “Caproni e, pertanto, avrebbe avuto destinazione industriale, con necessità della relativa bonifica.

La censura è irrilevante.

Sebbene costruito successivamente al fallimento dell’industria Caproni, l’immobile è stato realizzato in un’area con destinazione d’uso industriale, in conformità allo strumento urbanistico vigente nel 1968, già sopra vagliato.

Le allegazioni fotografiche evidenziano che l’area ora occupata dal manufatto non fosse impegnata allora da costruzioni industriali ma non toccano il tema della destinazione dell’area che, come sopra prima già valutato, entrava esplicitamente (e gli allegati redatti sulla base catastale lo dimostrano) nella proprietà dell’azienda fallita e nell’area a destinazione industriale.

2.4. – Con il quarto profilo, si lamenta che la sentenza non abbia adeguatamente considerato la circostanza, non contestata neppure nel corso del giudizio, che il Comune di Milano abbia consentito, per oltre vent’anni, la destinazione commerciale del piano terra dell’immobile di via Mecenate 84/A, sulla quale ha fatto legittimo e fondato affidamento la PACO srl, nel momento in cui ha acquisto l’immobile.

La doglianza non può essere condivisa.

La sentenza gravata ha fatto applicazione della giurisprudenza consolidata in materia, concorde nel ritenere che la situazione di fatto di un immobile, contra o praeter legem, non è elemento idoneo a sostituire il titolo edilizio e nemmeno può legittimarne l’assetto anche da un punto di vista giuridico. Al contrario, è pacifico e ripetutamente ripetuto (da ultimo, Cons. Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9, invocata anche dal primo giudice) che il carattere sanzionatorio e doveroso del provvedimento esclude la pertinenza del richiamo alla motivazione dell’interesse pubblico e “la selezione e ponderazione dei sottesi interessi risulta compiuta – per così dire – ‘a monte’ dallo stesso legislatore (il quale ha sancito in via indefettibile l’onere di demolizione al comma 2 dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001), in tal modo esentando l’amministrazione dall’onere di svolgere – in modo esplicito o implicito – una siffatta ponderazione di interessi in sede di adozione dei propri provvedimenti”.

Le circostanze invocate dalla parte (la mancata commissione di alcun abuso; lo svolgimento in corso di una attività commerciale, ecc. – pag. 14 dell’atto di appello) non sono in grado di stravolgere l’assetto consolidato dei principi da ultimo ribaditi e fatti propri anche dal primo giudice, stante la esigente pubblicistiche rimarcate anche dalla citata sentenza dell’Adunanza plenaria.

2.5. – Conclusivamente, il primo motivo, in tutti e quattro i suoi profili, è infondato e va respinto.

Il che consente anche di ritenere inammissibile la richiesta di remissione della causa sul ruolo, proposta con deposito del 8 giugno 2020, in relazione al reperimento di un ulteriore documento, per due diverse ragioni: in primo luogo, la produzione documentale è sottoposta ad una rigida preclusione decadenziale, di cui all’art. 73 c.p.a. e la parte non ha neppure dimostrato di non aver potuto prima conseguire la disponibilità dell’atto (che era accessibile, come da certificazione comunale, sin dal 17 marzo 2020); in secondo luogo, perché si tratta di produzione irrilevante, atteso che il certificato di agibilità oggetto dell’istanza, parimenti a quelli di cui al precedente punto 2.1., non è idoneo a sostituire il titolo edilizio.

3. – Con il secondo motivo, articolato su tre diversi profili, si lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso con il quale era stata rilevata “violazione di legge per mancata e/o falsa applicazione dell’art. 3 della l.n. 241/90 e smi, difetto di motivazione, violazione di legge per mancata e/o falsa applicazione della l.n. 241/90 e smi e del giusto procedimento, violazione e falsa applicazione del Piano di Governo del Territorio del Comune di Milano approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 16 del 22.05.2012 e delle norme di attuazione, eccesso di potere violazione del legittimo affidamento, sviamento dall’interesse pubblico e dalla causa tipica, travisamento dei fatti, errore nei presupposti, violazione dei principi della trasparenza imparzialità e buon andamento della p.a.”

3.1. – Con il primo profilo, si evidenzia come la motivazione del rigetto si fondi su un clamoroso errore, quello di aver ritenuto, in mancanza di alcun accertamento in tal senso, che l’immobile fosse, non solo con destinazione industriale, ma anche contaminato.

La censura non ha pregio.

Come espressamente evidenziato dal primo giudice, le destinazioni funzionali sono liberamente insediabili, senza alcuna esclusione e senza una distinzione e un rapporto percentuale predefinito, salvo che si tratti di passaggio da una destinazione industriale ad una residenziale (come si evince dall’art. 10, comma 1, lett. b, del Regolamento edilizio), ossia nella situazione oggetto di scrutino.

Pertanto, sulla scorta di questa acclarata situazione, è corretto esigere, come prescrive la regolamentazione edilizia comunale, che l’area venga assoggettata a verifica di compatibilità ambientale della nuova funzione. E questo giustifica la posizione del Comune che, nella sua attestazione del 28 gennaio 2019, ha escluso la necessità di bonifica solo con riguardo all’uso commerciale-industriale e non anche residenziale, non sussistendo le ragioni date dal cambio di destinazione.

3.2. – Pertanto, ai fini urbanistici, è del tutto irrilevante se, in concreto, la situazione di contaminazione esista o meno, trattandosi di un obbligo precauzionale che, nel caso, è stato violato.

Il che consente di superare anche il secondo profilo, dove viene evidenziato come i risultati delle analisi svolte rendessero evidente che non vi era stato superamento né degli indici relativi alla destinazione verde pubblico e residenziale, né di quelli per la destinazione commerciale.

3.3. – Con il terzo profilo, si lamenta come sia del tutto errato, inoltre, risulta il riferimento, contenuto in sentenza, all’art. 23-ter del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 in relazione alla circostanza che dovessero applicarsi la categorie desumibili dalla normativa regionale, per cui si ha una modifica della destinazione d’uso “urbanisticamente rilevante” solo tra funzioni urbane diverse, ovvero, con “cambio di destinazione d’uso” si intende il cambio tra funzioni urbanisticamente rilevanti e che, nel caso in specie, la destinazione a “laboratorio” era solo complementare a quella qualificante di “salone esposizioni”.

La censura non ha pregio.

Correttamente, il primo giudice ha rilevato che, trattandosi del passaggio da una destinazione industriale ad una residenziale, dovesse applicarsi il citato art. 23 ter del d.P.R. n. 380 del 2001 che considera urbanisticamente rilevante il cambio della destinazione d’uso da “produttiva – direzionale” o “commerciale” a quella “residenziale” con la conseguente necessità di adeguamento dello standard che, nella specie, la ricorrente non ha previsto di dover corrispondere.

Pertanto, anche qualora fosse ammissibile l’osservazione della parte appellante per cui la destinazione principale era quella commerciale, comunque ci si troverebbe di fronte ad un mutamento d’uso rilevante urbanisticamente.

Vanno quindi condivise le osservazioni del Comune circa l’inammissibilità dell’intervento in ragione alla mancata monetizzazione dello standard dovuto per l’aggravio del carico urbanistico e la mancata verifica della compatibilità del suolo e dell’indagine ambientale.

4. – Con il terzo motivo, articolato in due profili, si lamenta l’erroneità della sentenza con riferimento al capo che ha ritenuto infondato il quarto motivo del ricorso di primo grado con il quale l’ordine di demolizione era stato censurato per “violazione di legge per mancata e/o falsa applicazione del DPR 6 giugno 2001 n. 380, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge 241/1990 e smi, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, carenza di motivazione, difetto di istruttoria, eccesso di potere per contraddittorietà, travisamento dei fatti, errore nei presupposti, violazione dei principi dell’imparzialità, della ragionevolezza e del buon andamento della P.A.”.

L’assunto sarebbe del tutto errato sotto un duplice profilo: in primo luogo, perché l’Amministrazione può ordinare la demolizione, solo nel caso di interventi eseguiti in totale difformità dal premesso di costruire se comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche plano volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile, non sussistendo una variazione essenziale, comportante una modifica degli standard; in secondo luogo, in quanto il mutamento di destinazione dell’immobile, già utilizzato quale sportello bancario, porterebbe al contrario ad una notevole riduzione del carico urbanistico.

4.1. – La censura è del tutto infondata.

Correttamente il primo giudice ha rilevato come ci si trovi di fronte ad un mutamento della destinazione d’uso da industriale a residenza, che risulta urbanisticamente rilevante sulla base del già citato art. 23 ter, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001.

Sulla rilevanza di questo mutamento quale variazione essenziale, l’art. 32 del citato d.P.R. n. 380 prevede che “fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968”.

Nel caso in specie, tale presupposto sussiste, trattandosi di standards previsti, rispettivamente, all’art. 3 “Rapporti massimi, tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi” e all’art. 5 “Rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti produttivi e gli spazi pubblici destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi” del citato decreto n. 1444 del 1968.

Appurata così la sussistenza del presupposto, correttamente il T.A.R. ha evidenziato come fosse conforme al dettato normativo imporre, per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, la demolizione delle opere abusive (Cons. Stato, VI, 30 marzo 2017, n. 1484; in tema proprio di demolizione a seguito di violazione di standards, Cons. Stato, VI, 11 gennaio 2016, n.49).

Va quindi ritenuto legittimo l’ordine di rimessione in pristino adottato dal Comune e, conseguentemente, corretta la valutazione operata dal primo giudice.

5. – L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 10429 del 2019;

2. Condanna Paco s.r.l. e Società cooperativa Albachiara Group, in solido tra loro, a rifondere al Comune di Milano le spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi €. 5.000,00 (euro cinquemila) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, se dovuti.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2020 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

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