03/07/2019 – La rilevanza giuridica della programmazione

            La rilevanza giuridica della programmazione          Prof.  G. Paolo Cirillo – Presidente di sezione del Consiglio di Stato
1.Il recente libro di Gianluca Maria Esposito, “Il governo delle programmazioni. Linee evolutive” (il Mulino 2019), a parte il suo indubbio valore scientifico intrinseco, si ripropone di rivitalizzare l’istituto giuridico della programmazione, basando tale necessità sulla constatazione che, essendo venuta meno la funzione storica dei partiti politici come luogo dell’elaborazione politica di programmi e visioni strategiche, ha finito con il determinare uno iato tra politica e amministrazione, ben diverso dalla giusta distinzione voluta dal legislatore con il  d.lgs. n. 29 del 1993.
Pertanto l’Autore è andato alla ricerca degli spazi giuridici dove radicare le programmazioni e il buon governo di esse.
 
2. Sono necessarie alcune premesse.
 Il diritto amministrativo conosce talune funzioni essenziali, peraltro poco indagate, forse perché appunto ‘l’essenziale è invisibile agli occhi’. Esse sono la funzione di indirizzo, la funzione di coordinamento e la funzione di programmazione.
È stato insegnato che la funzione di indirizzo consiste nella determinazione della regola generale d’azione dell’attività libera, mentre la funzione di coordinamento consiste nella potestà d’ordine avente una pluralità di destinatari cui si assegna ciascuno un compito sincronizzato e armonizzato con quello degli altri. Invece la funzione di programmazione è comune a tutte le scienze umane, dato che ogni azione di durata e proiettata nel futuro è azione programmata. Quindi la programmazione non è che la determinazione che ne fissa gli oggetti e le ordinate.
Tali funzioni sono sempre esistite. Tuttavia sono apparse ai più nozioni evanescenti e poco significative sul piano giuridico. Tant’è che non è stato mai possibile elaborare una teoria generale della programmazione, nonostante i vari tentativi. Non a caso Giannini riteneva che una siffatta teoria generale “non era cosa di questo mondo”.
Pertanto si è arrivati alla conclusione che la programmazione rimane nel campo del pregiuridico. L’alternativa è che bisogna accettare l’idea che le programmazioni sono istituti di diritto positivo, da questo conformati in modi vari in ragione degli interessi che si vogliono curare.
Nonostante il fallimento sul piano giuridico della ricerca di una teoria generale della programmazione, i governi del secolo scorso -molto probabilmente perchè influenzati dall’esperienza della pianificazione economica generale degli Stati collettivisti-  hanno molto praticato, almeno nelle intenzioni, l’esperienza programmatoria, anzi si può dire che c’è stata una vera e propria esplosione di essa. I settori dove è stata maggiormente presente sono stati la programmazione del territorio, la programmazione dell’economia, le programmazioni direttive e di sviluppo economico, le programmazioni finanziarie (significativa in tal senso l’evoluzione della disciplina del bilancio statale). A queste vanno aggiunte le programmazioni di redistribuzione della ricchezza, la funzione di mediazione e quella di promozione.
 
3. Il libro di Esposito, dopo aver rivisitato la distinzione tra programmazione politica e programmazione amministrativa, indaga lucidamente la funzione di governo e quella amministrativa, arrivando a dimostrare come proprio la programmazione costituisce il possibile punto di saldatura tra governo e amministrazione.
Naturalmente l’Autore non poteva rinunciare all’utilizzazione di nozioni, provenienti dalle scienze economiche ed aziendalistiche, quali la programmazione di scopo, la programmazione condizionale e la programmazione conformativa. Il libro ne fornisce le nozioni aggiornate ed applicate alla pubblica amministrazione.
Infatti la prima serve a guidare i centri decisionali interni alla pubblica amministrazione verso obiettivi di effetti desiderati, la seconda è una “decisione su decisioni”, che implica un esame delle informazioni in arrivo per stabilire se corrispondono alle condizioni del programma; il che equivale ad una interpretazione del programma stesso. In altri termini i programmi di scopo sono orientati al futuro e i programmi condizionali si basano invece su dati del passato.
Infine la programmazione conformativa si riduce sostanzialmente alle programmazioni territoriali e il libro dedica un ampio capitolo proprio ai rapporti tra i vari livelli di programmazione territoriale.
 
4. Il punto decisivo che interessa il giurista è quello di capire la rilevanza giuridica delle figure indicate e in particolare quella della programmazione. Sinora, come già si è detto, si è ritenuto che la sua rilevanza giuridica si ha solo nel caso in cui la legge vi riconnette determinati effetti, altrimenti o rimane ferma nel campo del pregiuridico oppure ha effetti giuridici indiretti.
In effetti, la programmazione, in quanto concetto essenziale ma invisibile, è ben presente nella scienza giuridica, che ha distinto gli atti programmatici e gli atti di programmazione in senso stretto. Atti programmatici sono la legge, il contratto, la sentenza, il provvedimento amministrativo. Essi sono detti programmatici in quanto vincolano le condotte degli autori e di altri soggetti giuridici. Come è stato insegnato (Giannini) “l’atto di programmazione giuridicamente rilevante assume sempre la veste di un atto programmatico (legge di programmazione, provvedimento amministrativo di programmazione), però come categoria sostanziale non coincide con la nozione di atto programmatico”. In altri termini esso, come categoria sostanziale, non coincide con la nozione di atto programmatico, nel senso che vi sono atti programmatici non di programmazione.
Alla fin fine anche il contratto è un atto programmatico e l’adempimento consiste proprio nell’attuazione del programma contrattuale.
 
5. La parte più preziosa del libro si rinviene nel capitolo quinto, laddove l’autore indaga il rapporto tra accordo e programmazione, ipotizzando una programmazione che parta dal basso verso l’alto e non viceversa come è stato sinora.
 L’Autore si sofferma sugli istituti che diventano centrali ai fini della proposta ricostruzione del sistema, ossia l’accordo sostitutivo (art. 11 legge n. 241/1990), l’accordo organizzativo (art. 15 legge 241/1990) e il contratto ad oggetto pubblico. Egli arriva a sostenere che la nozione di contratto di cui all’art. 1321 del codice civile è adattabile a tutti i soggetti dell’attività giuridica e quando a concluderlo è una pubblica amministrazione nulla cambia se non l’oggetto, che è pubblico anziché privato.
Naturalmente non è qui possibile spingersi all’esame analitico dei vari passaggi della dimostrazione.
Al recensore interessa qui selezionare, tra le tante suggestioni derivanti dal libro, quella riguardante la programmazione d’impresa, sulla quale vi è una notevole letteratura aziendalistica, puntualmente riportata dall’autore nelle ricche note apposte alla fine del libro, al pari di quella della scienza dell’amministrazione.
Il profilo giuridico della programmazione d’impresa si manifesta principalmente nel rapporto particolare tra l’impresa e la pubblica amministrazione, e non certo a fini interessanti d’impresa in sé, che sfugge alla dicotomia pubblico privato, dato che essa è sempre diretta alla produzione di beni o servizi, quale che sia il soggetto imprenditore. Anche se non va sottaciuto che nell’impresa privata assume rilievo il risultato dell’attività di impresa, mentre nell’impresa pubblica ha avuto, almeno sinora, rilievo garantire il servizio alla collettività a prescindere dai costi.
Il punto di domanda è il seguente: l’ordinamento attuale consente, nella concretezza dei rapporti giuridici, di fare una programmazione unitaria tra impresa privata e amministrazione pubblica, dove si incontrino la programmazione aziendalistica tesa alla realizzazione del massimo profitto e l’esigenza pubblica di assicurare un servizio efficiente alla collettività, traendo il sostegno finanziario dalla medesima attività d’impresa senza gravare sulla fiscalità generale? La risposta: è possibile.
 Anzi il decreto legislativo n. 175 del 2016, che disciplina le società a partecipazione pubblica, vuole realizzare proprio questo, ossia fare in maniera che quanto più efficiente è il servizio reso tanto più diventa remunerativo. Naturalmente questo implica una qualificazione del manager pubblico maggiore rispetto a quella del manager privato, in quanto deve raggiungere l’economicità del servizio laddove il mercato ha, di regola, fallito.
Inoltre, nel disegno del legislatore l’obiettivo si raggiunge coinvolgendo proprio la professionalità dell’imprenditore privato e la sua capacità di fare impresa, allargando le forme di partenariato pubblico privato.
Ma come, e dove, si inserisce la programmazione in siffatto disegno, diventando giuridicamente rilevante?
 
6. Il libro di Esposito, come già ricordato, si sofferma sugli accordi organizzativi di cui all’art. 15, l. n. 241 del 1990, lasciando subito intuire che quello è il luogo dove inserire l’atto di programmazione, ossia della programmazione che proviene dalla stessa pubblica amministrazione, prescindendo dalla funzione governativa, atteso che la ricerca di formule organizzative tra pubbliche amministrazioni è una prerogativa squisitamente amministrativa. Il vantaggio che le amministrazioni hanno nel ricorrere allo strumento convenzionale non è solo quello di semplificare l’azione amministrativa, ma anche quello di programmare un’azione congiunta al fine del raggiungimento di uno scopo comune.
Sull’individuazione del ‘luogo’ della programmazione non si può non convenire. Così come non si può non convenire sulla forza espansiva del contratto di organizzazione tra soggetti pubblici (il ‘come’ della programmazione).
In fondo le crescenti convenzioni tra amministrazioni non sono altro che contratti privati atipici. Anche se in alcuni casi le convenzioni assumono la veste di fattispecie procedimentali o normative, come nel caso degli enti pubblici ospedalieri quando mettono a disposizione di una università dei reparti che servono come cliniche della facoltà di medicina.
Tuttavia va considerato che la categoria generale disciplinata dall’art. 15 della legge generale sul procedimento amministrativo, che richiama espressamente le disposizioni di cui all’art. 11, commi 2 e 3 della medesima legge, escludeva sinora l’attività di impresa. Tali convenzioni non davano luogo a contratti in senso tecnico, nemmeno di tipo societario, anche se il confine tra questi e gli accordi organizzativi non risultava sempre chiaro, basti pensare ai consorzi tra figure soggettive pubbliche.
Il quadro normativo ora è mutato, proprio a seguito dell’emanazione del decreto legislativo sulle società partecipate. E questo non perché non fosse possibile già prima ricorrere a tale istituto, ma in quanto ora il cosiddetto partenariato pubblico privato è stato tipizzato. Esso viene espressamente qualificato dalla legge come contratto di durata, in cui è presente l’aspetto organizzativo in senso privatistico dell’azione amministrativa. Il fondamento dell’Istituto va ricercato nella necessità dell’amministrazione di reperire risorse private necessarie ad assicurare la fornitura di un’opera o di un servizio alla collettività, addossando all’imprenditore privato il rischio di impresa con l’ulteriore vantaggio per l’amministrazione di beneficiare delle sue capacità imprenditoriali, come già ricordato.
Il punto è  dove ‘scovare’ la programmazione, che è essenziale nell’attività di impresa, anche di quella pubblica.
In realtà la nuova normativa non ha creato un modello generale, definibile ‘ente pubblico in forma societaria’. Tuttavia essa consente di concentrare, una volta per tutte, in una pluralità di modelli societari ben definiti forma privata e sostanza pubblica.
Si conviene con l’Autore che anche siffatta materia va ricondotta al contratto ad oggetto pubblico. Si condivide meno l’idea che si possa fare a meno, nell’individuazione della nozione dell’Istituto, della visione tradizionale circa la ‘rilevanza globale del rapporto tra provvedimento e contratto’, dove i vari tipi che compongono la categoria sono costruiti sul grado di compenetrazione appunto tra i due strumenti. Ma questo non è molto importante ai fini della ricerca del momento programmatorio.
Se si osserva la realtà dei fatti e si analizza la normativa specifica, è facile rendersi conto come in tale materia il rapporto si instaura tra il contratto di società e la deliberazione analitica circa la convenienza economica dell’organo maggiormente rappresentativo del soggetto pubblico che decide di costituire una società partecipata o partecipare ad una società già costituita (artt. 4, 5 e 7 d.lgs. n. 175/2016).
Tale deliberazione, possibile solamente quando l’attività di produzione di beni e servizi sia strettamente necessaria per il perseguimento delle  sue finalità istituzionali, ha una natura intimamente programmatoria, anche se riguarda la sola parte pubblica del rapporto societario che si intende instaurare.
Invece la programmazione che coinvolge la parte imprenditoriale privata non può che essere rinvenuta nelle clausole del contratto di società e nello statuto, non escludendosi il ricorso ai patti parasociali. Naturalmente in questo quadro si inseriscono la gestione concreta dell’impresa e le strategie aziendali.
In conclusione, ha ragione Esposito nell’affermare che la programmazione va rinvenuta e praticata nella concreta esperienza amministrativa, ossia nei ‘bassifondi’ dell’attività giuridica pubblica. E la riprova si ha proprio quando i concetti elaborati vengono calati nel difficilissimo campo della programmazione d’impresa.
Il suo libro è importante sia per il rigore dell’analisi svolta sia per le suggestioni che è capace di suscitare nel lettore.
                                                                                            Prof.  G. Paolo Cirillo
                                                                         Presidente di sezione del Consiglio di Stato
 
2 luglio 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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