03/05/2018 – Sul congedo parentale a ore resta il rebus dei calcoli

Sul congedo parentale a ore resta il rebus dei calcoli

di Consuelo Ziggiotto

 

Le aspettative su una definizione più precisa delle modalità con le quali fruire del congedo parentale a ore non sono state esaudite dalla disciplina contrattuale in arrivo. Il bisogno, in particolare, era legato alla necessità di chiarire la modalità con cui calcolare la durata giornaliera del congedo, fruito su base oraria, la cui definizione è rimandata all’articolo 32, comma 1-ter, del Dlgs 151/2001. 

Il problema della durata 

Il Dlgs 151/2001, modificato dal Dlgs 80/2015, ha introdotto, anche per i dipendenti pubblici la possibilità di fruire del congedo parentale in modalità oraria, individuando la quantità del permesso in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. La disciplina di fonte legale vuole inoltre, che sia la contrattazione di settore a stabilire le modalità di fruizione del congedo su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa.

L’auspicio di vedere definitivamente chiusa la partita tra i sostenitori delle tre ore al giorno e quelli delle tre ore e trentasei minuti rimane non compiutamente realizzato. Questo era il compito del contratto: chiarire quali fossero i criteri di calcolo della base oraria, consegnandoci l’equiparazione di un monte ore convenzionale alla singola giornata lavorativa, con preciso riferimento alla disciplina del congedo parentale fruito in modalità oraria.

Il nuovo contratto 

La nuova disciplina contrattuale è contenuta all’articolo 43, che sostituisce l’articolo 17 del contratto del 1995; in particolare, il comma 8, ribadisce soltanto che i genitori lavoratori, possono fruire anche su base oraria dei periodi di congedo parentale, in applicazione delle disposizioni contenute nei commi 1 e 2 dell’articolo 32 del Dlgs 151/2001, non aggiungendo niente alla formulazione letterale di fonte legale che era la stessa a aver condotto alle due diverse letture.

A ben vedere, tuttavia, gli elementi per far pesare di più il piatto della bilancia dalla parte di «quelli» delle tre ore al giorno, quale misura della mezza giornata per un lavoratore a tempo pieno, ci sono. Sono almeno due, infatti, le volte in cui ricorre in modo specifico, nel testo contrattuale, il riferimento a una durata convenzionale della giornata lavorativa, di 6 ore.

Ipotesi interpretative 

I permessi per particolari motivi personali o familiari disciplinati dall’articolo 32 possono essere fruiti cumulativamente, anche per la durata dell’intera giornata lavorativa; in questa ipotesi, l’incidenza sul monte ore a disposizione è convenzionalmente pari a sei. Analogamente, la disciplina dei permessi per visite secondo l’articolo 35 del contratto in arrivo, precisa che ai fini del computo del periodo di comporto, sei ore di permesso fruite su base oraria corrispondono convenzionalmente a una intera giornata lavorativa.

Infine, a sostegno delle ore e non dei minuti, ogni frazionamento inferiore alla singola ora, rappresenta un posizionamento che è al di fuori della previsione di fonte legale, frutto di una lettura che vuole la durata della mezza giornata dipendere dall’articolazione settimanale dell’orario di lavoro. Sarà compito dell’Aran fare chiarezza oppure legittimare le due diverse soluzioni.

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