03/02/2017 – L’annullamento d’ufficio di titoli edilizi a notevole distanza di tempo richiede un onere motivazionale particolarmente intenso

L’annullamento d’ufficio di titoli edilizi a notevole distanza di tempo richiede un onere motivazionale particolarmente intenso

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino Bolognese

L’esercizio del potere di autotutela per l’annullamento di titoli edilizi formati molti anni prima, richiede una motivazione particolarmente intensa, che specifichi il perdurare dell’interesse pubblico al ripristino dei valori violati inizialmente, e non può limitarsi a riproporre la necessità di conformarsi agli elementi della fattispecie originariamente non rispettata. Così si è espresso il Consiglio di Stato nella Sent. n. 341 del 27 gennaio 2017.

Un Comune disponeva l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia in sanatoria rilasciata tredici anni prima, e di altri titoli più recenti: un permesso di costruire e una scia edilizia. Contestualmente, veniva anche impartito l’ordine di demolizione della costruzione, che risultava edificata in violazione delle norme fissate dal D.M. n. 1444 del 1968 sulle distanze degli edifici. I privati interessati reagivano a queste decisioni proponendo ricorso al T.A.R. competente, che però lo respingeva, ritenendo legittime le misure adottate dal Comune con l’annullamento.

In seguito è stato proposto appello al Consiglio di Stato, che si è espresso con la Sent. n. 341 del 27 gennaio 2017.

L’oggetto della controversia ruota attorno alla legittimità dell’atto comunale di annullamento d’ufficio di pregressi titoli abilitativi edilizi. Secondo i ricorrenti, sarebbero stati violati i parametri normativi sui quali si fonda il potere di autotutela riconosciuto all’Amministrazione dall’art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990, con particolare riferimento alla ragionevolezza del termine entro cui può essere validamente rimosso un provvedimento illegittimo, nonché alla sussistenza e ai requisiti dell’interesse pubblico a fondamento dell’eliminazione.

La norma richiamata, nella formulazione applicabile al caso di specie, e cioè quella risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 15 del 2005, fissa come segue i requisiti dell’annullamento d’ufficio:

– illegittimità dell’atto da annullare in autotutela;

– termine ragionevole di intervento;

– sussistenza di un interesse pubblico alla rimozione;

– considerazione per gli interessi dei soggetti destinatari del provvedimento viziato.

Il primo elemento assume carattere tassativo, nel senso che non può mancare al fine di poter agire in autotutela. Quindi il preliminare scrutinio da svolgere per verificare se il potere di autotutela può essere esercitato, riguarda proprio l’illegittimità dell’atto. Soddisfatta questa condizione, occorre anche riscontrare gli altri elementi della fattispecie. Dunque, la condizione dell’illegittimità è necessaria ma non sufficiente, essendo richiesta anche la presenza di altri aspetti senz’altro più elastici. Questi ultimi presupposti trovano la propria ragion d’essere in esigenze di tutela per gli interessi dei destinatari di atti ampliativi adottati in loro favore, oltre che per assicurare la stabilità e la certezza degli effetti giuridici prodotti da tali atti. Alla luce di questi strumenti normativi, il potere discrezionale dell’amministrazione deve esercitarsi controbilanciando le opposte ragioni della legalità con quelle della certezza dei rapporti.

Il Collegio non manca di rilevare che ad opera della L. n. 124 del 2015, meglio conosciuta come riforma Madia, nell’art. 21-nonies è stato introdotto il termine di diciotto mesi come limite temporale per l’esercizio del potere di autotutela. La formulazione elastica “termine ragionevole” ha pertanto lasciato il posto ad una delimitazione oggettiva oltre la quale non è possibile spingere le ragioni dell’interesse pubblico a scapito delle posizioni private che su un determinato atto hanno riposto il loro affidamento.

Anche se la nuova formulazione non è ratione temporis direttamente applicabile al caso concreto, la stessa – secondo la Sent. n. 341 del 2017 – può ugualmente fornire un utile canone ermeneutico, come peraltro già sostenuto in altri precedenti del Consiglio di Stato. Da ciò consegue che, nell’esercizio del potere di autotutela che ha condotto a sanzionare con l’annullamento i titoli ampliativi a suo tempo rilasciati ai ricorrenti, il principio di ragionevolezza è stato violato. E questo non perché sia tecnicamente precluso l’esercizio dell’autotutela, ma a causa del tempo trascorso tra il rilascio dei titoli e l’annullamento degli stessi. La grande distanza di tempo imponeva una motivazione particolarmente convincente per poter azionare l’autotutela, soprattutto in considerazione dell’efficacia istantanea dell’atto, idoneo a produrre effetti autorizzatori destinati ad esaurirsi con l’adozione dell’atto di assenso. In tale contesto, la posizione di affidamento dei privati assume maggiore rilevanza rispetto all’interesse pubblico a veder cancellati gli effetti già definitivamente prodotti e non suscettibili di aggravamento.

Il Collegio ha ricordato che l’interesse pubblico sotteso all’annullamento non può risolversi nella mera esigenza di ripristinare la legalità violata, in base ad un ragionamento tautologico che si esaurisce nella ripetitiva e astratta affermazione dei medesimi interessi alla cui soddisfazione la norma violata risulta preordinata, ma deve spingersi fino all’argomentata indicazione delle specifiche e concrete esigenze pubblicistiche che impongono l’eliminazione d’ufficio dell’atto viziato. Tali esigenze motivazionali non sono emerse nell’atto di annullamento, che pur a distanza di molto tempo si è limitato alla mera indicazione dell’interesse pubblico all’igiene, alla sicurezza e al decoro, senza specificare alcuna ulteriore argomentazione concreta a dimostrazione dell’attualità dell’esigenza di ripristinare i valori violati, ad esempio in ragione di una determinata situazione di fatto causata dagli effetti dei titoli edilizi originari.

Cons. di Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 341

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