02/10/2019 – Nella condotta dei soggetti va presunta la buona fede, almeno fino a prova contraria.

Nella condotta dei soggetti va presunta la buona fede, almeno fino a prova contraria.
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, Sezione Giurisdizionale, 30/09/2019, n.859
Scritto da Roberto Donati – 30 Settembre 2019
Quando un’offerta tecnica si presta ad equivoci…
Viene impugnata  la sentenza n.1549 del 19.7.2018 resa dal T.A.R. Sicilia – sez. staccata di Catania, sezione II^ con la quale era stato accolto il ricorso della seconda classificata per una gara relativa alla fornitura e l’installazione, con permuta, di un angiografo digitale fisso.
Il bando richiedeva che l’angiografo fosse dotato, come “specifiche tecniche minime”, di due “fantocci” per il controllo di qualità.
L’originaria aggiudicataria aveva riportato accanto alla voce “Fantocci Else” ( declinato per l’appunto al plurale ) il numero 1) .
Dopo un chiarimento richiesto dalla Commissione sull’effettiva volontà di offrire i due “fantocci”, la stazione appaltante procedeva all’aggiudicazione.
Il Tar annullava l’aggiudicazione accogliendo la tesi della ricorrente secondo cui  il prodotto offerto dalla aggiudicataria era corredato da un solo fantoccio, poiché nella documentazione tecnica depositata agli atti della procedura non era stato espressamente dichiarato che i “fantocci” erano due.
L’originaria aggiudicataria propone appello ed il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana lo accoglie.
Con il secondo mezzo di gravame – che merita di essere trattato con precedenza in ragione del suo carattere assorbente – il raggruppamento … lamenta l’ingiustizia dell’appellata sentenza, deducendo che il Giudice di primo grado ha errato nel ritenere che la sua offerta fosse incompleta in quanto volta ad offrire prodotti privi di due fondamentali specifiche tecniche.
La doglianza merita accoglimento.
Il TAR ha condiviso la tesi della ditta xx, secondo cui “non vi è alcuna indicazione documentale agli atti da cui potere evincere che l’offerta comprendeva, da un lato, due fantocci compresi in un unico set…..
Tale rilievo ad avviso del Collegio non appare sostenibile, non essendo sorretto da un approfondito rigore logico.
E’ sufficiente osservare che a pag.31, punto 26, della propria relazione tecnica, è stata introdotta la voce “Fantocci Else”.
Appare evidente che tale rubricazione debba ritenersi riferita – visto l’uso della forma plurale (espressiva di una quantità superiore all’unità) – ai “due” fantocci richiesti a corredo dell’apparecchiatura.
A nulla vale rilevare che accanto alla voce “Fantocci Else” – declinato, per l’appunto, al plurale – sia stato poi riportato il numero 1.
E’ infatti evidente che il numero “1” riportato in corrispondenza della voce “Fantocci Else” è da correlare al fatto che nell’offerta si è inteso trattare del “set” di fantocci oggetto della fornitura; e cioè di “quel” set che il capitolato specificamente richiedeva. E poiché il “set” richiesto equivaleva ad una coppia di fantocci, aver offerto “un” set di fantocci non poteva che significare aver inteso offrire “due” fantocci (e non uno solo).
E viceversa.
Nulla, del resto, si oppone a tale interpretazione.
Ed invero, pur se può apparire strano e paradossale, l’uso del “singolare” per indicare una “pluralità” di cose è possibile – secondo la logica aristotelica, ma anche nella matematica insiemistica – allorquando si intenda sussumerle tutte entro un’unica “unità categoriale”.
Non è revocabile in dubbio, inoltre, che più oggetti dello stesso genere possano essere sussunti in una unica voce o “unità categoriale” – unità che è espressione di caratteristiche “qualitative”- che indichi contestualmente anche la “quantità” enumerata. Ciò avviene quando (al fine di indicare contestualmente la quantità numerica di più articoli di un unico genere) si fa riferimento ad “una coppia”, ad “una terna”, ad “una quaterna”, ad “una cinquina”, ad “un centinaio”, ad “un migliaio” etc. Com’è fin troppo evidente, in tali casi l’uso del singolare non esclude affatto che si stia trattando di una pluralità di oggetti.
Ciò è esattamente quanto è avvenuto nella fattispecie dedotta in giudizio, nella quale – del resto – non avrebbe avuto senso declinare una rubrica (o “voce”) categoriale al plurale e poi “numerarla” al singolare, se con ciò non si fosse voluto esprimere proprio che nell’unica unità categoriale indicata erano contenuti più articoli (nella specie: una coppia di essi).
Del resto, secondo un antico ma pur sempre attuale canone ermeneutico, fra due interpretazioni (di un testo), delle quali una sola abbia senso, va sempre preferita quest’ultima.
Sicchè non si vede la ragione per la quale il testo della dichiarazione (inerente l’intenzione di offrire il set di fantocci richiesti dal bando) contenuta nell’offerta…, dovrebbe essere interpretata nel senso … – sia consentita la parechesi – di non attribuirle alcun senso; o nel senso che la rende incoerente ed illogica.
In ogni caso non poteva (e non può) essere ignorato (o sottovalutato) il fatto che, proprio al fine di fugare ogni dubbio in ordine alla interpretazione da dare al testo (contenente l’offerta relativa ai fantocci), la commissione di gara ha ritenuto di chiedere chiarimenti alla …, la quale ha confermato che i fantocci in offerta erano due.
Con il che – essendo stata accertata la reale intenzione sottesa alla dichiarazione contenuta nell’offerta (e dunque la convergenza fra volontà e manifestazione della stessa) – la commissione di gara ha giustamente ritenuto che la questione ermeneutica fosse definitivamente superata.
La diversa prospettazione, secondo cui – invece – il chiarimento fornito si sarebbe concretizzato in una vera e propria modifica correttiva (rettificativa) della originaria dichiarazione, non appare supportata da alcun principio di prova.
Mentre non può essere ignorato che, di regola, nella condotta dei soggetti va presunta la buona fede, almeno fino a prova contraria (che, come già rilevato, nella fattispecie non è stata fornita né è emersa).
Sicchè non si vede la ragione per la quale nella fattispecie per cui è causa, fra l’ipotesi di una mera imprecisione linguistica (o di un errore ostativo) e quella di una dichiarazione confezionata dolosamente e premeditatamente in modo ambiguo, debba essere preferita tale ultima soluzione.
Laddove è evidente che l’interpretazione più ‘naturale’ (e logicamente più lineare) della dichiarazione relativa alla fornitura dei fantocci (ed originariamente inserita nella sua offerta) è quella volta a considerarla aderente – e non certo difforme (e chissà per quale ragione) – alla prescrizione del bando o del capitolato. E ciò in quanto, a ben riflettere, ove – come la ditta … mostra di credere – la reale intenzione del redattore della dichiarazione fosse stata quella di offrire un solo fantoccio in luogo di due, la strategia (consistente nel confezionamento di una dichiarazione ambigua) si sarebbe rivelata grossolanamente inefficace (ed il difetto di requisito sarebbe stato agevolmente smascherato in tempi brevissimi).
In conclusione, nessun elemento fa propendere per la correttezza della soluzione ermeneutica erroneamente condivisa dal Giudice di primo grado.

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