02/10/2019 – Annullamento del permesso di costruire e tutela dell’affidamento del privato

Annullamento del permesso di costruire e tutela dell’affidamento del privato
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato è chiamato a fornire la corretta esegesi dell’art. 38 T.U. Edilizia (D.P.R. n. 380/2001) secondo cui, espressamente: «1. In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa.
2. L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’art. 36.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’art. 23, comma 01, in caso di accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo».
In via generale, secondo l’insegnamento della giurisprudenza, «l’annullamento giurisdizionale del permesso di costruire provoca la qualificazione di abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il Comune, stante l’efficacia conformativa della sentenza del giudice amministrativo, oltre che costitutiva e ripristinatoria, è obbligato a dare esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali all’accertata abusività delle opere realizzate.
Tali provvedimenti, di natura sanzionatoria, non prevedono necessariamente la demolizione delle opere realizzate.
Deve applicarsi, al riguardo, l’art. 38, t.u. dell’edilizia D.P.R. n. 380 del 2001 che prescrive, in caso di annullamento del permesso di costruire, una valutazione da parte del dirigente del competente ufficio comunale riguardo la possibilità di restituzione in pristino, qualora la demolizione non risulti possibile, il Comune dovrà irrogare una sanzione pecuniaria, nei termini fissati dallo stesso art. 38» (T.A.R. Calabria, sez. II, 1 luglio 2010, n. 1417).
Ai sensi dell’art. 38 in esame, dunque, la posizione di colui che abbia realizzato l’opera abusiva sulla base di titolo annullato è sensibilmente diversa rispetto a quella di coloro che hanno realizzato opere parimenti abusive, ma senza alcun titolo; pertanto, a seguito di annullamento di un titolo abilitativo edilizio, l’Amministrazione non è vincolata ad adottare misure ripristinatorie, essendo previsto che la stessa scelga discrezionalmente, motivando tuttavia tale scelta, nel senso della riedizione o della demolizione (Cons. Stato, sez. VI , 28 novembre 2018, n. 6753).
In tal senso, quindi, «deve ritenersi che rientri nei poteri officiosi dell’Amministrazione preposta valutare se sussistono o meno i presupposti dell’art. 38 sopra ricordato, anche in assenza di specifica istanza da parte del privato. Inoltre, la norma, laddove consente la sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria in caso di impossibilità di “riduzione in pristino” e non solo dei “vizi delle procedure amministrative”, consente evidentemente, a tutela dell’affidamento del privato, di non veder pregiudicata l’opera realizzata tutte le volte in cui la stessa risulti parzialmente legittima. Al riguardo, si condivide il principio secondo il quale “la fiscalizzazione dell’abuso edilizio può essere applicata, tra l’altro, nelle sole ipotesi in cui soltanto una parte del fabbricato risulti abusiva e nel contempo risulti obiettivamente verificato che la demolizione di tale parte esporrebbe a serio rischio la residua parte legittimamente assentita” (T.A.R. Abruzzo, sez. dist. Pescara, sez. I, 26 maggio 2016, n. 195)» (T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, 19 giugno 2019, n. 544),
Il Consiglio di Stato nella sentenza qui in esame pone in evidenza alcuni punti fondamentali quanto all’applicazione dell’art. 38 e precisamente:
– l’obbligo della P.A. di motivare quanto all’esercizio del potere di irrogazione della sanzione pecuniaria;
– la ratio di tutela degli interessi del privato sottesa a tale norma espressamente qualificata quale «speciale norma di favore» (Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2017, n. 2160).
Con l’ulteriore precisazione secondo cui la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 cit,, in sostituzione di quella reale, ha natura omogenea alla demolizione del manufatto abusivo, poiché ha anch’essa una funzione di reintegrazione della legalità violata, ossia riparatoria della lesione dell’interesse pubblico cagionata dall’abuso, seppur per equivalente. Essa, pertanto, deve «mirare a elidere il vantaggio economico che il mantenimento delle opere abusive attribuisce a colui che le ha realizzate, tenendo conto del risultato conseguito e non delle sole opere abusive materialmente realizzate» (T.A.R. Veneto, Venezia, sez. II, 30 luglio 2019, n. 907).
In conclusione deve ritenersi che:
a) di regola, sussiste una differenza ontologica tra la posizione di chi costruisce in forza di un permesso di costruire successivamente annullato, e chi costruisce in assenza di quest’ultimo, ovvero difformemente dal titolo rilasciato;
b) nel primo caso, quantomeno nella stragrande maggioranza dei casi, v’è un affidamento da tutelare in capo al soggetto richiedente (salve ipotesi limite laddove il permesso di costruire sia stato rilasciato in forza di un pactum sceleris tra amministrazione e beneficiario, ovvero che la illegittimità sia dipesa da una falsa rappresentazione della realtà da parte del beneficiario);
c) detto affidamento, non sussiste nell’ipotesi di assenza del titolo abilitativo, ovvero di difformità essenziale dell’opera eseguita rispetto al titolo rilasciato.
La tutela dell’affidamento del privato che costruisca sulla scorta di un permesso di costruire successivamente annullato in via giurisdizionale non è tuttavia assoluta.
Si veda sul punto Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2137 secondo cui: «la finalità dell’art. 38D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede l’annullamento del permesso di costruire è quella di dettare una disciplina che tenga in adeguata considerazione, in ragione degli interessi implicati, la circostanza che l’intervento edilizio è stato realizzato in presenza di un titolo abilitativo che, solo successivamente, è stato dichiarato illegittimo. L’amministrazione deve, pertanto, valutare, con specifica motivazione, in ragione soprattutto di eventuali sopravvenienze di fatto o di diritto e della effettiva situazione contenutistica del vincolo, se sia possibile convalidare l’atto annullato. In altri termini, l’annullamento del permesso di costruire non comporta affatto per il Comune l’obbligo sempre e comunque di disporre la demolizione di quanto realizzato sulla base del titolo annullato, ma è circoscritto al divieto, in caso di adozione di un nuovo titolo edilizio, di riprodurre i medesimi vizi (formali o sostanziali che siano) che detto titolo avevano connotato».
Considerato, poi, che l’interesse tutelato dalle disposizioni urbanistiche ed edilizie non è un interesse che coincide in toto con quello del privato che vuole edificare, ma ha natura pubblicistica, e riposa nel corretto assetto del territorio (e/o, ove l’area o il plesso sia vincolato, con i connessi specifici interessi di natura ambientale, culturale, storica, archeologia, etc.), può darsi l’ipotesi che effettivamente il manufatto non sia in alcun modo suscettibile (in tutto, od in parte) di “regolarizzazione” postuma: «in simile ipotesi, torna a prevalere l’interesse pubblicistico, diviene recessivo l’affidamento del privato, e l’interesse del privato potrebbe se del caso trovare tutela nei confronti dell’amministrazione in via risarcitoria (fattispecie, questa, sulla quale si è ancora di recente pronunciata la Suprema Corte di Cassazione e non appartenente alla giurisdizione di questo Plesso: cfr. Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza, 24 settembre 2018, n. 22435)» (Cons. Stato, sez. IV, 10 luglio 2019, n. 4822).

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