01/12/2021 – Per la Corte Costituzionale legittimi le riduzioni e i vincoli sul Fondi di solidarietà comunale.

La Corte Costituzionale con la sentenza 220/2021 afferma un principio preoccupante. O meglio, sovverte il principi costituzionali di “autonomia locale” invocato già nei primi articoli della Carta (Art. 5. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.)

Di seguito il comunicato ufficiale della Corte

“Non è dimostrato che i tagli del Fondo di solidarietà comunale abbiano reso impossibile lo svolgimento delle funzioni attribuite ai comuni. In ogni caso, il ritardo nella definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni rappresenta un ostacolo non solo alla piena realizzazione dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali ma anche al pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti i diritti sociali. È quanto si legge nella sentenza n. 220 depositata oggi (redattore Angelo Buscema) con cui la Corte costituzionale, dopo un’accurata istruttoria, ha dichiarato non fondate le questioni proposte dalla Regione Liguria, per conto del Consiglio delle autonomie locali della medesima Regione, poiché non è stato adeguatamente dimostrato che i tagli al Fondo avrebbero ostacolato lo svolgimento delle funzioni dei comuni.

La Corte ha osservato che le norme sull’assetto finanziario degli enti territoriali «non possono essere valutate in modo “atomistico”, ma solo nel contesto della manovra complessiva», e che nel caso di specie si deve tener conto anche delle risorse trasferite agli enti locali in relazione all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Al contempo, i giudici costituzionali hanno valutato negativamente il «perdurante ritardo dello Stato nel definire i LEP, i quali, una volta normativamente identificati, indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale» e rappresentano dunque «un elemento imprescindibile per uno svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie territoriali».

La definizione dei LEP, oltre a «rappresentare un valido strumento per ridurre il contenzioso sulle regolazioni finanziarie fra enti (se non altro, per consentire la dimostrazione della lesività dei tagli subìti), appare particolarmente urgente anche in vista di un’equa ed efficiente allocazione delle ingenti risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)». Nel ricorso si sosteneva anche l’illegittimità dei criteri di riparto del Fondo di solidarietà comunale per la mancata considerazione dell’aggiornamento dei valori catastali degli immobili. In proposito, la Corte ha osservato che «i dati emersi – tanto in sede di audizione del 24 giugno 2021, quanto dalla documentazione depositata – sugli effetti in termini di “shock perequativo” subiti da circa 4100 enti in conseguenza della ridistribuzione del FSC, confermano la presenza di criticità nella distribuzione delle risorse fra i Comuni italiani». Tali criticità – si legge nella sentenza – non dipendono dalla norma impugnata, «ma rappresentano soprattutto la conseguenza di una situazione di fatto, coincidente con il mancato adeguamento dei valori catastali degli immobili. La lamentata sperequazione, infatti, da un lato discende da questo mancato adeguamento in numerose realtà comunali, che di fatto determina irrazionali differenziazioni, e, dall’altro lato, è amplificata dal carattere meramente orizzontale che aveva assunto il FSC».

Il ricorso sul giudizio di legittimità costituzionale è stato proposto dalla Regione Liguria e nasce dalla constatazione che “per effetto di successivi interventi normativi, a partire dal 2015 la quota ristorativa destinata ai Comuni sarebbe stata progressivamente ridotta”, dagli originari 625 milioni di euro, somma ritenuta inizialmente sufficiente a coprire i minori introiti conseguenti all’abolizione dell’Imposta municipale unica (IMU) sulla prima casa e all’introduzione della TASI, alle attuali 300 milioni di euro.

Secondo il ricorrente, lo Stato, anziché compensare l’erosione di un’entrata propria del Comune con un trasferimento pari al gettito non più riscosso, avrebbe drasticamente ridotto i trasferimenti statali – che avrebbero dovuto invece neutralizzare le perdite di gettito subite – in violazione del principio di autonomia finanziaria, che implica anche il divieto di cosiddetti “tagli lineari” (sono richiamate in proposito, le sentenze di questa Corte n. 103 del 2018 e n. 10 del 2016).

Tale contrazione di risorse, unitamente all’introduzione del vincolo di destinazione (cristallizzato fino al 2033), imporrebbe ai Comuni una contrazione della spesa necessaria per l’espletamento delle funzioni loro assegnate dalla legge, con ciò ledendo non solo l’autonomia finanziaria degli enti locali (art. 119, primo comma, Cost.) e il principio della integrale correlazione fra risorse e funzioni (art. 119, quarto comma, Cost.), ma anche il principio che riconosce e promuove le autonomie locali (art. 5 Cost.).

Sostiene il ricorrente che l’incremento della percentuale di perequazione calibrata sulla differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard – sebbene più graduato rispetto a quanto originariamente previsto dall’art. 1, comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016, ossia il quaranta per cento nel 2017, il cinquantacinque per cento nel 2018, il settanta per cento nel 2019, l’ottantacinque per cento nel 2020 e il cento per cento nel 2021, progressione bloccata per il 2019 ai sensi dell’art. 1, comma 921, della legge n. 145 del 2018 – di fatto attuerebbe e perpetuerebbe una sperequazione fra i Comuni, essenzialmente per tre ragioni: per il carattere sostanzialmente “orizzontale” del FSC; per le modalità con cui sono calcolate le capacità fiscali; e per come sono strutturati i fabbisogni standard.

Con riferimento alla natura orizzontale del FSC, la Regione Liguria sostiene che tanto la legge delega sul federalismo fiscale, quanto la giurisprudenza costituzionale avrebbero affermato la natura “verticale” dei fondi perequativi di cui all’art. 119, terzo comma, Cost.: il fondo perequativo dovrebbe essere alimentato con il solo gettito dei tributi erariali o con trasferimenti diretti dello Stato. Il FSC, invece, tradirebbe la propria vocazione solidaristica a carattere “verticale” in quanto è alimentato esclusivamente dai Comuni, attraverso il gettito dell’imposta municipale propria, e non anche dalla fiscalità generale, come invece prevede la legge n. 42 del 2009 in riferimento al fondo perequativo per le funzioni fondamentali (art. 13, comma 1, lettera a, della legge n. 42 del 2009).

Tale situazione dipenderebbe dal fatto che la componente verticale, finanziata dallo Stato, sarebbe stata annullata dai tagli riconducibili alle misure di concorso alla finanza pubblica previste per i Comuni negli anni compresi fra il 2010 e il 2015, tanto da diventare, dal 2015 ad oggi, un “trasferimento negativo”, nel senso che sarebbe il comparto dei Comuni a trasferire risorse allo Stato. Sarebbe così violato l’art. 119, terzo comma, Cost.

Quanto ai criteri perequativi, il ricorrente fa notare che i Comuni con maggiori capacità fiscali contribuiscono maggiormente al FSC e ricevono meno di altri, senza che a tale maggiore contribuzione corrisponda necessariamente una maggiore ricchezza della popolazione del Comune interessato. A riprova della sostenuta irragionevole discriminazione, viene dedotto che, per effetto del sistema di rendita catastale vigente in Italia, i Comuni che hanno aggiornato le rendite catastali presentano una capacità fiscale maggiore rispetto a quelli che non hanno provveduto in tal senso. Questo meccanismo si riverbererebbe sul valore della quota di contribuzione al FSC – alla maggiore capacità fiscale corrisponde, infatti, una maggiore quota di contribuzione al fondo – che non rifletterebbe, però, l’effettiva ricchezza della popolazione dei Comuni. Sarebbe emblematico il caso del Comune di Genova, ma anche di tutti i Comuni liguri in genere, i quali, solo per aver aggiornato i valori catastali, sono i primi in Italia per capacità fiscale (776 euro pro capite, rispetto ad una media nazionale di 475 euro) e, pertanto, contribuirebbero più di quanto ricevono, rispetto ai Comuni che non hanno aggiornato le rendite catastali.

Per effetto di questa “distorsione” del criterio perequativo, ad elevati contributi versati non corrisponderebbe un adeguato livello di risorse disponibili, e verrebbero così contraddetti i principi della certezza delle risorse e del finanziamento integrale delle funzioni con le risorse attribuite, di cui all’art. 119, primo e quarto comma, Cost., con conseguente violazione anche delle prerogative delle autonomie locali di cui all’art. 5 Cost.,

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