01/09/2020 – L’assoluzione non fa stato nel licenziamento disciplinare

Sentenza della corte di cassazione
L’assoluzione non fa stato nel licenziamento disciplinare
di Vincenzo Giannotti
 
In materia di procedimenti disciplinari l’assoluzione, ottenuta in sede penale per i medesimi fatti, non è sufficiente, secondo la Cassazione (sentenza n. 17221/2020), per far stato nel licenziamento disciplinare. Nel caso di specie irrogato ad un dipendente che si è reso colpevole, in diverse occasioni, di non aver timbrato il cartellino in uscita. Infatti, la sentenza penale di assoluzione, ai sensi dell’art. 653 cpp, ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare solo qualora abbia statuito che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso. L’assoluzione è avvenuta perché «il fatto non costituisce reato» (ossia per difetto del relativo elemento psicologico), in questo caso torna ad operare il generale principio della autonomia tra il giudizio penale ed il giudizio civile.
 
La vicenda
Le motivazioni sottese all’attivazione e conclusione del procedimento disciplinare del licenziamento di un dipendente pubblico, sono la conseguenza dell’accertamento dell’azienda che il dipendente si era allontanato, in diversi giorni, dal proprio posto di lavoro senza procedere alla timbratura del badge. Il dipendente per i medesimi fatti ha, anche, subito un procedimento penale che si è concluso con l’assoluzione. Il Tribunale di primo grado e, successivamente, la Corte di appello, aditi dal dipendente per il licenziamento, hanno respinto la tesi dell’appellante che faceva leva sul giudicato penale di assoluzione dal reato di cui era stato imputato per i medesimi fatti. I giudici di appello hanno, infatti, osservato come l’assoluzione in sede penale fosse avvenuta per mancanza dell’elemento soggettivo e che correttamente il Tribunale aveva qualificato la condotta contestata come idonea a minare irreversibilmente la fiducia del datore di lavoro. In altri termini, a fronte della prova della violazione dell’obbligo di essere presente sul luogo di lavoro, secondo quanto attestato dal cartellino marcatempo, non era sufficiente fare riferimento genericamente alla linea seguita dall’azienda in ordine al controllo delle presenze dopo la timbratura del badge ma occorreva dimostrare che nei giorni oggetto di addebito l’uscita, non registrata, era stata causata da ragioni di servizio ovvero da una esigenza momentanea personale, in quanto l’onere della prova del fatto impeditivo rispetto al contestato inadempimento gravava sul dipendente.
I giudici di appello, pertanto, hanno concluso precisando come il comportamento del dipendente rientrasse nella casistica della giusta causa del licenziamento.
Avverso la sentenza di rigetto, il dipendente ha proposto ricorso in Cassazione censurando la sentenza impugnata per non avere attribuito efficacia di giudicato, alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione per i medesimi fatti posti a base del recesso datoriale. In particolare, nel giudizio penale è stato dimostrato come l’Azienda fosse solita chiedere al lavoratore, oralmente ed informalmente, di effettuare spostamenti per ragioni di servizio senza obbligo di timbratura del badge e che tollerava allontanamenti momentanei in considerazione del contesto collaborativo, che vedeva i dipendenti spendersi sistematicamente al di là del dovuto per far fronte alle necessità del reparto.
 
La conferma della Cassazione
Secondo i giudici di Piazza Cavour è da considerare infondato il motivo secondo cui la sentenza penale di assoluzione avrebbe efficacia di giudicato nell’attuale giudizio disciplinare. Infatti, la normativa invocata dal dipendente (art. 653 cpp) prevede che l’efficacia di giudicato della sentenza penale di assoluzione sussiste soltanto quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso. Ciò comporta che la formula assolutoria perché «il fatto non costituisce reato» (per difetto del relativo elemento psicologico), come nella specie adottata, non è vincolante nel giudizio disciplinare. In questo caso, ha stigmatizzato il giudice di legittimità, torna ad operare il generale principio della autonomia tra il giudizio penale ed il giudizio civile, correttamente applicato dal giudice del merito.

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