01/08/2015 – emendamenti seriali ed emulativi a fini ostruzionistici: trattamento ed esiti

emendamenti seriali ed emulativi a fini ostruzionistici: trattamento ed esiti

di Riccardo Nobile

Esperto di Diritto del Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni

Docente in corsi di formazione professionale

Docente in Master universitari in Pubblica Amministrazione

Autore di libri e pubblicazioni in materia di pubblico impiego

Membro di nuclei di valutazione

Giornalista pubblicista

riccardo.nobile@tiscali.it

Non è infrequente che i consiglieri comunali [e provinciali] presentino emendamenti alle proposte di deliberazioni. Presentare emendamenti alle proposte di deliberazioni iscritte all’ordine del giorno [o dei lavori, a seconda delle denominazioni adottate] è un diritto che l’ordinamento riconosce ai membri dell’organo collegiale. Tale diritto deriva dalla legge e trova disciplina nei regolamenti per la gestione dei lavori d’aula. Essi, di solito, prevedono le modalità ed i tempi della loro presentazione, della loro trattazione e della loro votazione, e, in aderenza con quanto contenuto nei regolamenti dei consessi legislativi, li distinguono in emendamenti aggiuntivi, soppressivi e modificativi, differenziando i tempi sia della loro trattazione, sia, soprattutto, della loro votazione.

I regolamenti per la gestione dei lavori d’aula non sempre trattano di due tematiche che sovente si verificano nel corso delle riunioni deliberative dei consiglî comunali [e provinciali]: l’accorpamento degli emendamenti presentati e la trattazione degli emendamenti presentati con finalità ostruzionistiche, le quali divengono palesi nei casi in cui essi, a prescindere dal loro contenuto, presentano i caratteri ed i contenuti della serialità e dell’emulatività. In queste circostanze è di tutta evidenza che si configura illico et immediate un conflitto apparente fra il diritto del consigliere comunale [e provinciale] di proporre modificazione alle proposte di deliberazione in discussione ed il principio di buon andamento dell’azione della pubblica amministrazione sancito e chiaramente enunciato dall’art. 97, comma 1, Cost.

A questo proposito è bene rammemorare subito che i consiglî comunali [e provinciali] sono organi di pubbliche amministrazioni, che non concorrono ad immettere nell’ordinamento positivo leggi o fonti primarie di regolazione nell’accezione indicata dall’art. 134 Cost., come, per converso, accade per la Camera, il Senato ed il Consiglio regionale, talché alla disciplina della discussione e della votazione delle proposte di deliberazione degli enti locali territoriali non può, né deve trovare applicazione la particolare disciplina delle prerogative dei membri dei consessi legislativi, per i quali i comportamenti ostruzionistici sono comune elemento caratterizzante della dialettica politica.

Con queste premesse, è di tutta evidenza che la disciplina della trattazione degli emendamenti de quibus alle proposte di deliberazione deve rinvenire il proprio titolo altrimenti, garantendo sempre e comunque il rispetto del principio del buon andamento e dell’imparzialità dell’attività della pubblica amministrazione. Di qui la necessità di inquadrare correttamente il problema posto dagli emendamenti seriali ed emulativi.

La questione in esame è talvolta affrontata dai regolamenti per la disciplina dei lavori d’aula, i quali si limitano a stigmatizzarli o a considerarli improponibili piuttosto che inammissibili. In questa prima ipotesi, la sorte degli emendamenti de quibus è segnata e positivamente risolta dalle fonti secondarie interne di regolazione, la quale è però una variabile dipendente di un ulteriore fattore: la definizione dei termini “seriale” ed “emulativo”.

Diverso è il caso in cui le fonti interne secondarie di normazione, ossia i regolamenti per la gestione dei lavori consiliari, nulla dicano a proposito, lasciando la fattispecie carente di disciplina positiva. In questa ipotesi, diviene dirimente risolvere in via preventiva un problema autenticamente pregiudiziale: la serialità e l’emulatività configurano un abuso del diritto di presentazione di emendamenti da parte dei consiglieri comunali [e provinciali]? Ovvero, detto in altri termini, è principio generale dell’ordinamento i divieto di compimento di atti che, in quanto caratterizzati dalla serialità e dalla ripetitività speciosa, trasmodano nell’emulatività?

Guardando alla tradizione ed all’evolversi dei contenuti e degli elementi che caratterizzano degli ordinamenti giuridici la risposta non può che essere positiva. Per convincersene sono sufficienti due ordini di considerazioni.

In primo luogo, ricordando l’insegnamento che si desume dal Corpus Iuris Civilis. Qui si rinvengono non meno di tre passi di capitale importanza. Il primo, contenuto in Dig. 1.1.6pr. – Ulpianus 1 inst.: “Ius civile est, quod neque in totum a naturali vel gentium recedit nec per omnia ei servit: itaque cum aliquid addimus vel detrahimus iuri communi, ius proprium, id est civile efficimus”. Il secondo, in Dig. 1.1.10pr. – Ulpianus 1 reg.: “Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi”. Il terzo in Dig. 1.1.10.1 – Ulpianus 1 reg.: “Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”. Queste massime di civiltà giuridica possono essere riassunte nel fondamentale principio generale dell’ordinamento secondo cui “qui iure suo utitur, naeminel laedit”, al quale fa da corollario il brocardo “qui iure suo utitur, nemini facit iniuriam”. Di qui la conclusione incontrovertibile che il comportamento preordinato ad arrecare danno ad altri contravviene ad un elementare canone di giustizia, e, come tale, non è esercizio di un diritto, ma ne costituisce abuso patente. L’osservanza ripetuta nel corso dei millenni di questo elementare canone giuridico fa del divieto di comportamento emulativo un vero e proprio principio generale dell’ordinamento, che, come tale, si impone nella vita di relazione a prescindere dalla circostanza che quest’ultimo lo stigmatizzi positivamente.

In secondo luogo, rammemorando che nell’ordinamento positivo l’art. 833 c.c. preclude i comportamenti emulativi quando prevede per tabulas che “il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri”. La norma è chiaramente espressione di un principio generale dell’ordinamento, che preclude in via generale la pretesa di utilizzare un diritto, che, si badi bene, in astratto sarebbe anche configurabile, al fine di creare danno a terzi.

Dalle due annotazioni che precedono si ricava la conclusione secondo la quale l’atto emulativo non è esercizio del diritto, che, lo si vuol ripetere ad abundantiam, in ipotesi ed in astratto pur vi sarebbe, ma ne costituisce un vero e proprio abuso, il quale, come tale, è sanzionato ordinamentalmente in termini di illiceità. Riecheggia in queste affermazioni il brocardo richiamato in precedenza, secondo il quale “qui iure suo utitur, nemini facit iniuriam”.

Di qui il corollario che rileva ai fini della presente investigazione. La presentazione di emendamenti seriali ed emulativi sfugge alla perimetrazione del diritto del consigliere comunale [e provinciale] di intervenire nei lavori d’aula per provocare la modificazione delle proposte di deliberazione in discussione. E ciò accade sia nel caso in cui il regolamento per la disciplina dei lavori del consiglio lo preveda, sia nella più frequente ipotesi in cui esso sia silente sul punto.

Gli emendamenti de quibus sono dunque non esercizio del diritto, ma abuso del diritto, e, come tali, devono essere trattati. Della questione ha avuto modo di occuparsi un’interessante rescritto giurisprudenziale, risalente, ma di sottolineata attualità: la sentenza del TAR Veneto, sez. I, 8.6.2006, n. 1905. Essa affronta il problema in esame in un caso nel quale il regolamento d’aula prevedeva il divieto di emendamenti seriali ed emulativi, ma che, in ragione delle argomentazioni sviluppate, mantiene tutta la propria attualità anche nel caso in cui la fonte di regolazione interna sia silente sul punto.

La sentenza in questione sgombra il campo dall’equivoco secondo cui impedire la presentazione di emendamenti seriali ed emulativi sarebbe preordinato ad ostacolare l’apporto collaborativo della minoranza consiliare al miglioramento dei contenuti della proposta di deliberazione in discussione e, come tale, vulnererebbe il principio di rappresentanza dell’elettore da parte dell’eletto, con ciò ledendo l’art. 51, comma 3, Cost.. Il tutto affrontando l’ulteriore complicazione che non essendo definito il concetto di “emulatività” e “serialità”, verrebbe rimessa all’arbitrio del presidente del consiglio comunale [ma anche provinciale] la bocciatura in limine di tutti gli emendamenti della minoranza come improponibili, al solo fine di vanificare i contributi delle diverse componenti consiliari.

Sul punto il rescritto giurisprudenziale, che contiene una chiara esplicitazione del principio “qui iure suo utitur, nemini facit iniuriam”, è però tranchant, e merita di essere riportato per esteso per la sua attuale freschezza. La ratio del divieto di emendamenti seriali ed emulativi “è quella di evitare inutili appesantimenti all’attività consiliare senza influire sulle prerogative della minoranza. La procedura di formazione della volontà deliberativa risulterebbe, infatti, inutilmente aggravata ove un unico consigliere potesse, “a proprio arbitrio, paralizzare il funzionamento dell’organo, semplicemente presentando innumerevoli emendamenti aventi ad oggetto le questioni più disparate, anche non attinenti all’argomento di discussione e pretendendo di rinnovare senza limite le votazioni anche su quanto deciso immediatamente prima, sul presupposto che è sempre possibile approvare un testo diverso più o meno garantista”. Una cosa è dunque compromettere i diritti della minoranza; altra cosa è salvaguardare le esigenze di efficienza e celerità nell’espletamento delle funzioni istituzionali, e questa è la corretta funzione della norma regolamentare in controversia, che comunque resiste alla censura di indeterminatezza, essendo chiaro e non equivocabile, secondo il comune significato dei termini usati, il concetto di emendamenti “emulativi” e “seriali”.

Come si può agevolmente notare, la presentazione di emendamenti seriali ed emulativi è trattata in termini di vulnus al fondamentale principio di buon andamento dell’attività della pubblica amministrazione chiaramente enunciato dall’art. 97, comma 1, Cost., con la conseguenza che essi, nel necessario bilanciamento di interessi confliggenti, non possono che essere valutati in termini di improponibilità, la quale, se contraddetta dai fatti – ossia dai consiglieri comunali [ma anche provinciali] che opinassero di contrario avviso – trasmoda in una vera e propria forma di abuso del diritto, consentendo di valorizzarli e qualificarli in termini di inammissibilità. La conseguenza di ciò è ovvia: gli emendamenti seriali ed emulativi non possono essere introdotti nella discussione dei consessi consiliari, talché ad essi sono e devono rimanere estranei a prescindere dalla circostanza, meramente contingente, che il regolamento d’aula li disciplini piuttosto che su di essi sia silente.

In tutti questi casi, è compito del presidente del consiglio comunale [ma anche provinciale] dichiararli improponibile con propria decisione, estromettendoli dalla discussione: se cosí non fosse, infatti, la loro semplice discussione comprometterebbe proprio quelle esigenze “di efficienza e celerità nell’espletamento delle funzioni istituzionali” che devono caratterizzare il procedimento di formazione della volontà collegiale dei consiglî comunali e provinciali.

 

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