Mancata fissazione degli obiettivi da raggiungere e danno da perdita di chance al dirigente

Dal sito NeoPA.it un articolo di Luca Di Donna 

Fermo restando che l’indennità di risultato non costituisce una componente fissa del trattamento retributivo fondamentale ed è sottratta all’applicazione del principio di irriducibilità della retribuzione, essendo condizionata dalla scelta degli obiettivi ad opera della P.A. e alla verifica della loro realizzazione da parte del dipendente (in tema di indennità per specifiche responsabilità, prevista dal CCNL per il personale del comparto degli enti locali, cfr. Cass., Sez. 6-L, n. 30344 del 14 ottobre 2022), con la recente ordinanza n. 5746 del 4 marzo 2024 la Sezione Lavoro della Cassazione ha ricordato che la retribuzione di risultato è, comunque, una componente della retribuzione complessiva del lavoratore, con la conseguenza che la posizione della quale quest’ultimo è titolare in materia deve essere qualificata, in termini generali, come di diritto soggettivo.

Il rapporto che viene in esame è, infatti, un rapporto di diritto privato e gli atti che ad esso si ricollegano vanno pure qualificati come atti di diritto privato esecutivi delle intese raggiunte fra le parti.

Non a caso, la S.C. ha affermato che, nella controversia in cui il dipendente contesti la legittimità dei provvedimenti adottati dalla P.A. datore di lavoro sulla ripartizione o determinazione del fondo per il finanziamento della retribuzione di risultato, ai sensi della contrattazione collettiva di riferimento, la relativa posizione giuridica soggettiva va qualificata quale diritto soggettivo alla corretta liquidazione della retribuzione, di cui la retribuzione di risultato è parte, sicché il giudice ordinario può conoscere e sindacare tutti i vizi anche degli atti amministrativi pleno iure che vengano emessi al riguardo, ivi comprese le figure sintomatiche di eccesso di potere, ai fini dell’eventuale disapplicazione dei provvedimenti per decidere sulla domanda avanzata dal lavoratore (Cass., Sez. L, n. 33975 del 5 dicembre 2023).

La retribuzione di risultato ha, quindi, natura squisitamente contrattuale ed è corrisposta dall’amministrazione una volta attivati i necessari passaggi negoziali contemplati dalla legge e consistenti nell’attribuzione delle responsabilità, nell’assegnazione degli obiettivi e nella determinazione dei parametri per definirne il raggiungimento (Cass., Sez. L, n. 11899 del 12 maggio 2017).

Pertanto, occorre prendere atto che dall’astratta previsione di una retribuzione di risultato non può discendere, in capo al potenziale destinatario della stessa, un diritto soggettivo immediatamente esigibile.

Da ciò, però, non può affermarsi che il compimento, da parte della P.A., delle attività necessarie per arrivare alla definizione degli obiettivi necessari perché il dipendente possa ricevere la retribuzione di risultato sia oggetto di una condizione potestativa.

La detta P.A., infatti, ove la legge o la contrattazione collettiva la impegnino, come nella specie, ad agire in questo senso, ha l’obbligo di porre in essere tutte le attività preliminari all’individuazione dei menzionati obiettivi e, poi, una volta fatto ciò, di compiere le verifiche prodromiche alla concessione o al diniego della retribuzione di risultato.

Nella gestione del rapporto con il lavoratore e nel compimento di siffatte azioni la P.A. deve rispettare i principi di correttezza e buona fede.

Il dipendente, quindi, è titolare di un diritto verso la P.A. a che questa attribuisca le responsabilità, assegni gli obiettivi, determini i parametri per definirne il raggiungimento e, infine, compia le valutazioni necessarie.

Tutte queste attività non integrano una condizione di un qualche tipo, ma attengono all’adempimento di un’obbligazione.

Finché non saranno completate, il dipendente non potrà azionare il suo diritto alla retribuzione di risultato e, dunque, non potrà chiedere siffatto adempimento.

Infatti, la giurisprudenza ha già chiarito che, nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, gli artt. 9 e 10 del CCNL del comparto Regioni-Autonomie Locali del 31 marzo 1999, attribuiscono ai dipendenti assegnatari di posizioni organizzative una retribuzione di risultato, la cui erogazione è subordinata alla valutazione positiva dell’Amministrazione circa il raggiungimento di obiettivi gestionali previamente programmati, sicché il lavoratore non può rivendicare il riconoscimento dell’emolumento, ove ometta di indicare l’obiettivo assegnatogli e l’avvenuto conseguimento dello stesso, senza che assuma rilievo, in tale evenienza, la mancata costituzione, da parte dell’ente, di un nucleo di valutazione del risultato (Cass., Sez. L, n. 10969 del 27 maggio 2015).

Il dipendente, però, pur non potendo esercitare l’azione di adempimento, potrà, come giustamente affermato dalla Corte territoriale, dolersi della condotta inadempiente della P.A. e, così, chiedere il risarcimento del danno.

Al riguardo, il creditore lavoratore dovrà dimostrare solo la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento dell’amministrazione.

A queste conclusioni si perviene applicando le ordinarie regole civilistiche sulla ripartizione dell’onere probatorio nelle obbligazioni contrattuali, così come delineate da consolidata giurisprudenza (da Cass., SU, n. 13533 del 30 ottobre 2001 in poi).

Qualora dovesse risultare che la P.A. non abbia posto in essere alcuna attività alla quale era tenuta e, in questo caso, non abbia dedotto che non vi fossero ragioni obiettive per prevedere una retribuzione di risultato o non abbia allegato di essersi trovata nell’impossibilità di individuare gli obiettivi in esame per causa a lei non imputabile, essa sarà inadempiente rispetto al proprio obbligo di attivare il procedimento che avrebbe dovuto portare alla fissazione degli obiettivi in esame.

Il dipendente, allora, potrà chiedere non già una tutela in forma specifica – essendo la condotta menzionata oggetto di un facere discrezionale e infungibile dell’amministrazione – ma una mera tutela per equivalente, ossia risarcitoria.

A sua volta, tale risarcimento non potrà che avvenire sub specie di risarcimento del danno da perdita di chance (Cass., Sez. L, n. 9392 del 12 aprile 2017).

Detto danno va riconosciuto, ove sussista la prova, fornita anche presuntivamente dal soggetto leso, di una concreta ed effettiva occasione perduta (da valutare in base ai parametri di apprezzabilità, serietà e consistenza) e va liquidato in via equitativa, tenuto conto del grado di probabilità e della natura di danno futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo. Per l’esattezza, in tema di risarcibilità dei danni conseguiti da fatto illecito o da inadempimento, nell’ipotesi di responsabilità contrattuale, il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale (Cass., Sez. 3, n. 15274 del 4 luglio 2006).

La regola per la quale il risarcimento per l’inadempimento dell’obbligazione esige un rapporto causale immediato e diretto fra lo stesso inadempimento e il danno, prevista dall’art. 1223 c.c., pur essendo fondata sulla necessità di limitare l’estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti, deve essere intesa, dunque, come orientata ad escludere dal risarcimento esclusivamente le conseguenze dell’inadempimento che non siano connesse a questo in maniera giuridicamente rilevante. In questi termini va interpretata la prescrizione per la quale tale risarcimento deve comprendere la perdita e il mancato guadagno del creditore che di detto inadempimento siano ex art. 1223 c.c. conseguenza propriamente “immediata e diretta”. È compito del giudice di merito accertare la materiale esistenza di un rapporto causale che abbia i menzionati caratteri normativamente richiesti (Cass., Sez. L, n. 9374 del 21 aprile 2006). Il dipendente è tenuto, quindi, ad allegare l’esistenza di un danno da perdita di chance e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale (nei termini sopraesposti), fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo un calcolo di probabilità. Una volta fatto ciò, il giudice, che ritenga fornita tale prova, liquida il danno eventualmente in via equitativa (per una ricostruzione similare, in tema di indennità di posizione, Cass., Sez. L, n. 7110 del 9 marzo 2023).

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