Concessioni demaniali marittime al tempo delle Sezioni Unite.

Tratto da  ildirittoamministrativo.it – Autori: Roberto Colucciello e Camilla Della Giustina

Abstract

Le sentenze gemelle del Consiglio di Stato del 2021, per quanto riguarda le concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo, hanno avuto un effetto dirompente nell’ambito di riferimento, tanto da suscitare la reazioni delle associazioni di categoria che, unitamente ad una Regione, hanno sollevato dinanzi alla Corte di Cassazione un ricorso ex art. 111, comma 8, della Cost. Dopo due anni, le Sezioni Unite della Suprema Corte non hanno di certo indicato una via, ma hanno solo rinviato il problema che, legislativamente più che giurisprudenzialmente, va risolto, soprattutto per gli operatori, vecchi e nuovi. Di certo, la questione in oggetto ha rappresentato anche un motivo di scontro tra poteri dello Stato, che di certo non giova ad una pacifica ed opportuna risoluzione della problematica che, a parere di chi scrive, dovrebbe avvenire nella propria sede naturale, ossia il Parlamento, o comunque nell’ambito di una interlocuzione tra potere legislativo e potere esecutivo.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Rapporti tra Poteri dello Stato; 3. I principi evincibili dalla sentenza n. 32599 del 24 novembre 2023; 4. Conclusioni.***

 

__________

* Ufficiale del Corpo delle Capitanerie di Porto

** Ph.D. Candidate in Law, abilitata all’esercizio della professione forense, tirocinante presso Corte costituzionale

*** Paragrafo 1 a cura di Colucciello R.; paragrafo 2 a cura di Colucciello R..; paragrafo 3 a cura di Della Giustina C.; paragrafo 4 a cura di Della Giustina C.

 

  1. Introduzione

 

Dalla disamina della direttiva Bolkestein, che basa il proprio contenuto sul principio comunitario della libertà di concorrenza in relazione ai servizi, erano emerse nel nostro ordinamento palesi criticità legate all’utilizzo del demanio marittimo, in particolar modo al sistema di affidamento delle concessioni demaniali[1].

Con l’intervento dell’Adunanza Plenaria, a mezzo delle note pronunce 17-18 del 9 novembre 2021, in mancanza di un intervento del legislatore nazionale, veniva stabilita la cessazione delle concessioni demaniali ad uso turistico-ricreativo a partire dal 1 gennaio 2024.

Tali criticità, portate alla luce dalla direttiva Bolkestein e oggetto di questa analisi, non sono state mai realmente affrontate con la dovuta attenzione da parte del legislatore nazionale; di fronte alle numerose sentenze nazionali e sovranazionali che hanno nel tempo riconosciuto chiaramente l’illegittimità della proroga automatica ed indiscriminata delle concessioni demaniali marittime, il legislatore si è di fatto mostrato inerte, consentendo in tal modo alla magistratura di disapplicare le disposizioni nazionali contrastanti con l’ordinamento comunitario, e creando una situazione “strana”, con presunti sconfinamenti relativi alle attribuzioni dei Poteri dello Stato, come spiegheremo meglio nel paragrafo successivo.

Il persistente e, alla luce di quanto accade oggi, inutile ricorso alle proroghe ex lege delle concessioni, non ha fatto altro che arrecare nocumento agli attuali operatori economici concessionari, nonché a coloro che invece vorrebbero investire ed entrare in questo settore, privando entrambi di un quadro normativo chiaro e stabile.

Quella che è sempre mancata è un’effettiva legge di attuazione della direttiva e una regolazione della materia con norme vincolanti ed efficaci sull’intero territorio nazionale; sostanzialmente il recepimento della direttiva finora è stato solo formale prevedendo per la concreta disciplina di attuazione ulteriori atti normativi mai intervenuti che hanno determinato una situazione di incertezza del diritto con negative ricadute su un settore strategico per l’economia del nostro Paese, quale quello del turismo[2].

Considerata l’imminente scadenza delle attuali concessioni e la derivante necessità di un intervento tempestivo, il Consiglio dei Ministri lo scorso 15 febbraio ha approvato la proposta emendativa al disegno di legge n. 2469 “Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021” in materia di concessioni demaniali marittime. Il disegno di legge (c.d. Concorrenza), convertito in L. 118/2022, ha previsto un differimento del termine di scadenza delle concessioni di un ulteriore anno, in caso di impossibilità a concludere la procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023 e il riconoscimento di un indennizzo al concessionario uscente, a carico del concessionario subentrante, rimandando però la concreta attuazione a mezzo di successivi decreti delegati.

Le pronunce dell’Adunanza Plenaria, in particolare la n. 18/2021, furono oggetto di ricorso presentato da Sib-Commercio, ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost., e quindi deferita alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in quanto erano stati dichiarati inammissibili gli interventi delle associazioni di categoria e della Regione Abruzzo.

Le Sezioni Unite civili della Corte nomofilattica, con sentenza n. 32599 del 24 novembre 2023, hanno stabilito che Palazzo Spada avrebbe dovuto ammettere nel giudizio i rappresentanti di Sib-Confcommercio, Assonat e Regione Abruzzo che avevano diritto a partecipare in quanto portatori di interessi economici e dei territori.

Con la sentenza testè menzionata, le Sezioni Unite, nel cassare la sentenza dei giudici amministrativi nella parte riguardante l’estromissione dal giudizio delle associazioni di categoria e dell’Abruzzo, hanno disposto la rimessione al Consiglio di Stato delle questioni di merito nella pienezza del contraddittorio, anche alla luce delle novità legislative nel frattempo intervenute.

Nel prosieguo di questa trattazione, oltre al rapporto e presunte interferenze tra poteri dello Stato, saranno enucleati quelli che sono i principi di diritto rinvenienti nella sentenza sopra menzionata.

 

  1. Rapporti tra Poteri dello Stato

Nel corso degli ultimi decenni, ancora di più negli ultimi anni, il bilanciamento tra i poteri dello Stato ha oggettivamente subito diversi scossoni.

Il francese Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu fu il primo a esprimere compiutamente, nell’opera “Lo spirito delle leggi” del 1748, la cosiddetta teoria dei tre poteri. I primi esempi di essa si trovano già nel mondo antico: Aristotele, nella Politica (IV sec. a.C.), distingueva l’attività deliberativa, esecutiva e giudiziaria della polis. È tuttavia nell’Inghilterra del ‘600 che il concetto di separazione dei poteri trova una formulazione compiuta, laddove il filosofo John Locke, nei suoi “Due trattati sul governo” (1690) teorizzava una divisione dei poteri tra il parlamento e il sovrano, assegnando al primo il potere legislativo, cioè la facoltà di creare le leggi, e al secondo il potere esecutivo e quello federativo, ossia il compito di mettere in pratica e far rispettare le leggi (potere esecutivo), nonché la competenza in politica estera e nella difesa dello Stato (potere federativo). Tale sistema era dettato dal fatto che non vi fossero abusi, e che il potere assoluto venisse suddiviso in più poteri parziali, ciascuno dei quali deve controbilanciare l’altro.

In base a detto schema, i nostri padri costituenti avevano impostato la struttura dell’ordinamento repubblicano su una base di divisione dei poteri, ma con strumenti che impedissero che fossero assoluti nel loro esercizio[3].

Ci si trova sovente al cospetto di iniziative di supplenza, come è dato di leggere nell’ordinanza 7/8 marzo 2017 del Tribunale dei Minori di Firenze in materia di adozione di minori da parte di coppie omosessuali[4].

Pure la Prima Sezione Civile della Cassazione ha enunciato un analogo principio di diritto nella sentenza 30 settembre 2016 n. 19599[5].

Restando in episodi invasivi, una forma di controllo del potere esecutivo da parte della magistratura, anche se sotto il profilo di legittimità, si rinviene nei principi che devono essere osservati nell’esercizio dell’azione amministrativa se al giudice è dato di verificare se l’azione medesima viene condotta secondo i principi dell’articolo 1 della legge 241 del 1990, vale a dire di efficacia, economicità, proporzionalità, e trasparenza, dove il confine fra discrezionalità tecnica e scelte di opportunità è assai labile come labili sono i criteri di valutazione.

Quanto alle interferenze del legislatore, si aggiungono le modifiche apportate al processo amministrativo dopo che già la giurisprudenza le aveva elaborate. Si ricordano la tutela cautelare anticipata e il regime probatorio, il principio di un unico processo con l’onere di immediata impugnazione di una particolare categoria di atti endoprocedimentali nel contenzioso sui contratti pubblici, e altri istituti per i quali la trattazione si amplierebbe. Ancora nella commistione di ruoli significativa è stata l’attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulla legittimità di una legge elettorale, dalla quale il Parlamento confidava di avere spinta e ispirazione per elaborarne una nuova.

Così come, se si guarda alla situazione politica italiana, fortemente caratterizzata dall’instabilità dei governi, ci si accorge che dalla fine degli anni ottanta ad oggi si è assistiti ad una sempre maggiore “confusione” tra il potere esecutivo e il potere legislativo. In altri termini, il governo ricorre sempre più frequentemente alla decretazione d’urgenza ed ottiene la conversione in legge dei suoi decreti ponendo la questione di “fiducia”. Il Parlamento è diventato così il “notaio”, colui che certifica, una certa azione di governo[6].

Come dicevamo in precedenza, non sono stati e non sono infrequenti i casi di una sorta di prevaricazione del potere giudiziario su quello legislativo.

A livello teorico, la funzione giurisdizionale si muove tra due estremi, rappresentati dal rispetto della legge da un lato, e dalla libertà del giudice nella sua attività “interpretativa” dell’ordinamento giuridico[7].

Dinanzi tali situazioni gli interrogativi da porsi consistono nel capire soprattutto fino a dove può spingersi la libertà dell’atto di conoscenza e di volontà del giudice, per non tracimare in un atto creazione normativa, in altre parole in quali circostanze e in quali modi la funzione giurisdizionale può usurpare il potere legislativo delle sue prerogative.

Nel caso di invasioni di campo di un potere sull’altro, il nostro ordinamento costituzionale per fortuna prevede una serie di “anticorpi” normativi, in primis l’art. 134 Cost. regolamenta espressamente, in capo alla Corte Costituzionale, la soluzione dei conflitti di attribuzione tra i “poteri” dello Stato; ritenendosi tali i conflitti “tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono”, aventi come obiettivo la “delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”[8].

Sotto l’aspetto meramente soggettivo, non vi è alcun dubbio circa la legittimazione anche di ciascun ramo del Parlamento a difendere le attribuzioni costituzionali che spettano al potere legislativo. A sua volta, al potere giudiziario è stata riconosciuta una sorta di legittimazione diffusa al conflitto, sul rilievo che ciascuna componente della magistratura è idonea a porre in essere pronunce suscettibili di assumere la forza del giudicato, onde si configura come organo potenzialmente abilitato a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene[9].

Sotto l’aspetto oggettivo, l’esistenza di un meccanismo costituzionale di risoluzione di conflitti tra poteri giudiziario e legislativo, presuppone necessariamente la garanzia delle singole sfere di attribuzioni costituzionalmente delineate per ciascun potere stesso, senza la quale non potrebbe aversi usurpazione o ingerenza dell’uno sull’altro[10].

In sostanza si può concludere con uno schema ben definito, ossia che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, ex art. 70 Cost.; mentre, la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario, ex art. 102 Cost., ed i giudici sono soggetti soltanto alle leggi, ex art. 101, secondo comma, Cost.; stante quanto asserito, il giudice non può assumere atti innovativi dell’ordinamento dovendo applicare la legge, ed il legislatore non può dirimere controversie o fare indagini.

Oltre al rimedio previsto dall’art. 134 Cost., la nostra Carta costituzionale prevede il ricorso di cui all’art. 111, comma 8, il quale, affermando il principio della pluralità delle giurisdizioni, dispone che “contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”.

Detto ricorso, devoluto alle Sezioni Unite della Suprema Corte, si declina in una duplice tipologia: da un lato, la Corte Nomofilattica ha il potere di verificare se una situazione sostanziale dedotta in giudizio sia suscettibile di essere tutelata in sede giurisdizionale; dall’altro, data una situazione sostanziale tutelabile in sede giurisdizionale, essa ha il potere di accertare a quale giudice spetti pronunciarsi su di essa. Tradizionalmente, queste due funzioni della Suprema Corte vengono ricondotte al controllo rispettivamente sul difetto assoluto e sul difetto relativo di giurisdizione[11].

Alla luce della sua evoluzione storica e delle norme di diritto positivo a oggi vigenti, la funzione del controllo delle Sezioni unite della Corte di Cassazione sul difetto assoluto di giurisdizione sembra essere quella di segnare i confini dell’attività giurisdizionale mediante uno strumento di garanzia interno allo stesso potere giudiziario: in altre parole, lo scopo di tale rimedio appare essere quello di evitare che il giudice usurpi le funzioni riservate ad altri soggetti istituzionali od ometta di esercitare le proprie laddove previsto dalla legge[12].

Tale strumento costituzionale costituisce, quindi, un generale mezzo di delimitazione della funzione giurisdizionale, con riferimento tanto alla funzione amministrativa, quanto a quella legislativa.

Entrando nel merito del presente lavoro, la pronuncia n. 32599 del 24 novembre 2023 afferma interessanti princìpi sulla questione della legittimazione ad impugnare da parte del soggetto interveniente e sulla impugnabilità in Cassazione delle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria, che saranno appresso esplicitati.

 

  1. I principi evincibili dalla sentenza n. 32599 del 24 novembre 2023

Le Sezioni Unite civili, con sentenza n. 32599 del 24 novembre 2023, hanno stabilito che Palazzo Spada avrebbe dovuto ammettere nel giudizio i rappresentanti di Sib Confcommercio, Assonate Regione Abruzzo che avevano diritto a partecipare in quanto portatori di interessi economici e dei territori[13].

La vicenda prende origine dal ricorso presentato da Sib-Commercio, ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost., avverso la sentenza n. 18/2021 del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria. Detta decisione aveva dichiarato inammissibili gli interventi delle associazioni di categoria e della Regione Abruzzo. Al tempo stesso, l’Adunanza Plenaria aveva affermato la contrarietà delle proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreative rispetto al diritto dell’Unione Europea. Il termine di efficacia delle concessioni in essere venne stabilito al 31 dicembre 2023[14].

A marzo 2022, il Sib-Confcommercio aveva presentato ricorso avverso contro le due eclatanti sentenze del Consiglio di Stato. Con esse, infatti, non solamente era stata disapplicata la proroga delle concessioni balneari al 2033, disposta dalla legge 145/2018,  ma era stato fissato il termine di scadenza dei titoli vigenti al 31 dicembre 2023. La riassegnazione sarebbe dovuta avvenire, attraverso l’indizione di gare pubbliche, entro la fine dell’ anno 2023. Con la legge 118/2022, il governo Draghi recepiva  gli effetti delle sentenze del Consiglio di Stato.

Con la sentenza n. 32599/2023, le Sezioni Unite, nel cassare la sentenza dei giudici amministrativi nella parte riguardante l’estromissione dal giudizio delle associazioni di categoria e dell’Abruzzo, hanno disposto la rimessione al Consiglio di Stato delle questioni di merito nella pienezza del contraddittorio, anche alla luce delle novità legislative nel frattempo intervenute.

In altri termini, le ragioni dell’annullamento della sentenza e il conseguente rinvio al Consiglio di Stato sono da rinvenirsi in un vizio procedurale. Quest’ultimo concerne l’illegittima esclusione di SIB, ASSONAT e Regione Abruzzo dal giudizio. Gli Ermellini hanno evidenziato che “il primo motivo dei ricorsi di SIB, ASSONAT e Regione Abruzzo è accolto nei predetti termini, restando assorbito il profilo riguardante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, comma 2, cod. proc. amm. (sub 1.1-b) e assorbiti anche tutti gli altri motivi proposti nei ricorsi in esame; di conseguenza, la sentenza impugnata è cassata con rinvio al Consiglio di Stato”.

Ancora più dettagliatamente, le Sezioni Unite hanno chiarito un altro punto rilevante della vicenda, ovvero la delimitazione della portata dell’art. 1, commi 682 e 683 l. n. 145/2018, in tema di proroga transitoria delle concessioni demaniali marittime. La Suprema Corte chiarisce[15] che tale disposizione ha carattere transitorio, quindi, opera esclusivamente in attesa della revisione della legislazione in materia di rilascio delle dette concessioni. Quest’ultima dovrà essere incardinata sul rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, di valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti effettuati[16].

Partendo da tali presupposti, la Corte di Cassazione ha affermato  che la proroga introdotta dalla legge del 2018, entrata in vigore nel 2019 e valida per l’anno 2020,  deve essere intesa come riferibile alle sole concessioni nuove e a quelle ancora in corso alla data di entrata in vigore del richiamato provvedimento legislativo. A contrario, codesta proroga non potrà essere estesa a quelle scadute, non ravvisandosi, in quest’ultimo caso, il presupposto oggettivo della tutela dell’investimento effettuato, dal momento che la durata temporale dello stesso si è esaurita, proprio allo scadere della relativa concessione[17].

Di conseguenza, i giudici di Palazzo Spada dovranno tener conto del nuovo quadro normativo: “spetterà al Consiglio di Stato pronunciarsi nuovamente, anche alla luce delle sopravvenienze legislative, avendo il Parlamento e il governo esercitato, successivamente alla sentenza impugnata, i poteri normativi loro spettanti”.

A seguito di questa dirompente pronuncia, è doveroso segnalarne almeno altre due rese successivamente.

La prima è del Consiglio di Stato il quale ha precisato che OMISSIS ha agito correttamente nell’estendere le concessioni balneari fino al 2033[18], confermando la pronuncia favorevole già resa il 18 ottobre 2021 dal Tar Toscana.

I Giudici di Palazzo Spada hanno definito pienamente legittima la procedura adottata nel 2020 OMISSIS per l’estensione temporale della durata delle concessioni demaniali marittime prevista dalla legge 145/2018. Di qui, il rigetto delle argomentazioni elaborate dalla ricorrente, l’Autorità garante della concorrenza che aveva presentato ricorso[19].

Nel caso di specie, il Tar Toscana aveva riconosciuto che l’estensione al 2033 è stata rilasciata in seguito a una regolare procedura di evidenza pubblica, e dunque in piena compatibilità con il diritto europeo e in particolare con la direttiva Bolkestein. Conclusione che è stata successivamente confermata anche dal Consiglio di Stato il quale ha riconosciuto la legittimità della procedura.

Più precisamente, il Consiglio di Stato, nell’affrontare la questione di OMISSIS, ha tenuto in considerazione anche la rilevanza economica degli investimenti. Nel fare ciò, OMISSIS ha prima proceduto a effettuare una procedeva a una valutazione comparativa prima di concedere una proroga delle concessioni già esistenti.

Nel dettaglio, gli stabilimenti ricorrenti avevano avanzato una richiesta di proroga della concessione balneare che sarebbe scaduta il 31 dicembre 2021. Alla luce di questo, OMISSIS con determina 297/20 “disponeva di procedere al rilascio di licenza suppletiva in riconoscimento dell’estensione temporale di quindici anni della durata delle concessioni demaniali per le quali non erano state presentate osservazioni e di rinviare a successiva fase la definizione dei procedimenti conseguenti alla presentazione delle osservazioni ed opposizioni con contestuale manifestazione di interesse verso le tre concessioni” (neretto, nda) dei ricorrenti e di una terza società dato che l’odierna contro interessata aveva presentato memoria con motivi di opposizione al rinnovo (determina 1274/20). Le ricorrenti avrebbero voluto una proroga di 20 anni. Per la pandemia fu disposta una prima sospensione sino alla fine della stagione balneare del 2021, poi «in ragione della ritenuta sussistenza e necessaria tutela anche delle situazioni giuridiche di affidamento in capo ai soggetti ad esso partecipanti e, pertanto, disponeva, analogamente a quanto deciso per il suddetto procedimento, la sospensione dello stesso ex art. 182, comma 2, del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34

Secondo la posizione espressa da Giudici di Palazzo Spada la Pubblica Amministrazione ha

agito correttamente e nel rispetto delle disposizioni della Bolkestein e del diritto comunitario, tanto più la prassi della CGUE impone che ai sensi di questa direttiva “per l’assegnazione di concessioni di occupazione del demanio marittimo, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali. L’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico”. Ciò trova conferma anche nel fatto che è stato rigettato il ricorso di uno dei due stabilimenti, mentre l’altro era divenuto improcedibile poiché nelle more del ricorso innanzi al Consiglio aveva ottenuto una proroga del proprio titolo, non avendo più interesse al ricorso[20].

La successiva pronuncia cui fare riferimento è quella del Tar Lazio, n. 19051/2023[21], con la quale è stato confermato il divieto di proroga delle concessioni demaniali. Si tratta di una pronuncia di estrema importanza dato che ritiene di non seguire l’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione bensì di aderire all’orientamento della Adunanza Plenaria[22]. La scelta di ciò riposa sul fatto che le Sezioni Unite non hanno affrontato il nodo gordiano della proroga delle concessioni demaniali poiché l’attenzione della Suprema Corte è stata incentrata sulla problematica del diniego di giurisdizione.

Il caso sottoposto all’analisi del Giudice amministrativo è da riferire al rigetto della richiesta di proroga di una concessione demaniale marittima che era stata avanzata dalla ricorrente e rigettata dal Comune di Roma Capitale. L’amministrazione comunale, in base a quanto si legge dalla sentenza, non può beneficiare della proroga del titolo concessorio stabilita dall’art. 1, comma 682 e 683, della legge n. 145/2018. Secondo la ricostruzione dei Giudici romani, l’Amministrazione ha legittimamente non applicato la normativa nazionale di proroga ex lege dei rapporti concessori in essere. A ciò si deve aggiungere che l’espressione contenuta nell’atto aggiuntivo del ricorrente secondo cui “[l]a concessione avrà la durata di 20 anni (venti), a decorrere dalla stipula del presente atto” deve interpretarsi come riferito al provvedimento di concessione originario.

 

  1. Conclusioni

La disamina condotta in questo contributo, e incentrata sulla più recente giurisprudenza di Corti nazionali Supreme, dimostra come la tematica della proroga delle concessioni demaniali marittime sembri non trovare un porto sicuro.

Al tempo stesso la situazione sul territorio nazionale è connotata da estrema incertezza poiché alcuni Comuni hanno iniziato ad approvare le linee guida necessarie per procedere alle gare mentre altri hanno concesso la proroga sino a dicembre 2024. In tutto ciò l’assenza di uniformità sul territorio nazionale, l’assenza di un tavolo tecnico e l’esistenza di numerosi contrasti giurisprudenziali, soprattutto di Corti Supreme, rappresentano una minaccia per il principio di certezza del diritto[23].

Appare chiaro che gli interrogativi aumentando, in modo proporzionale, con lo scorrere del tempo: le tematiche divengono sempre più complesse e di difficile soluzione vista, appunto, la copiosa giurisprudenza che continua a formarsi. Volendo sintetizzare il tutto, i differenti diritti contrapposti connessi a codesta tematica richiedono che si addivenga a  un appropriato bilanciamento. L’autore di questa delicata attività dovrebbe essere il legislatore che[24], nell’esercitare la propria discrezionalità politica.

Nelle more della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite, la Commissione Europea ha indirizzato un proprio parere motivato[25] alla Repubblica italiana in relazione alle autorizzazioni per l’utilizzo dei beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali per attività turistiche e ricreative[26].

In codesta documentazione, la Commissione evidenzia come già in data 3 dicembre 2020 aveva inviato alla Repubblica italiana una lettera di costituzione in mora in merito al quadro normativo italiano che disciplina le autorizzazioni circa l’utilizzo delle concessioni demaniali marittime[27].

La conclusione alla quale perviene la Commissione è che la Repubblica italiana non avrebbe rispettato l’obbligo di adottare “ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione”[28].

 

 

[1] Per una disamina completa si rimanda a R. Colucciello, Concessioni demaniali marittime: possibili criticità post Adunanza Plenaria, in Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, Vol. XXI, 2023

[2] Nell’ultima lettera di costituzione in mora dell’Unione Europea all’Italia (che riguarda anche l’art. 182, comma 2, d.l. 34 del 2020), la Commissione evidenzia che “la reiterata proroga della durata delle concessioni balneari prevista dalla legislazione italiana scoraggia […] gli investimenti in un settore chiave per l’economia italiana. Scoraggiando gli investimenti nei servizi ricreativi e di turismo balneare, l’attuale legislazione italiana impedisce, piuttosto che incoraggiare, la modernizzazione di questa parte importante del settore turistico italiano. La modernizzazione è ulteriormente ostacolata dal fatto che la legislazione italiana rende di fatto impossibile l’ingresso sul mercato di nuovi ed innovatori fornitori di servizi”.

[3] Cfr. Bassani M., La crisi della divisione dei poteri, in Società e Diritti – Rivista elettronica, 2017, anno II, n.4, pagg. 149 e ss

[4] In questa sentenza si afferma il principio secondo cui la legge nazionale cede di fronte a diritti che meritano più incisiva tutela. Così scrivono i giudici minorili fiorentini: “-(…) Non si può ricorrere alla nozione di ordine pubblico per giustificare discriminazioni nei confronti dei minori quando fosse disconosciuto il loro legittimo status di figli dei ricorrenti solo in quanto in una situazione (omosessualità) che ne inibisce la possibilità di unirsi in matrimonio in Italia e quindi poter legittimamente adottare nel nostro Paese (…)

[5] Secondo la Corte Nomofilattica il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello stato civile in Italia di un atto straniero (…) nel quale risulti la nascita di un figlio di due donne – in particolare di una donna (…) che ha donato un ovulo ad altra donna (…) che l’ha partorito, nell’ambito di un progetto genitoriale realizzato da una coppia coniugata in quel paese – non contrastano con l’ordine pubblico per il solo fatto che il legislatore nazionale non preveda o non vieti il verificarsi di una simile fattispecie sul territorio italiano, dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, nell’interesse supremo del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla continuità dello status filiationis validamente acquisito (nella specie in altro paese della UE)”.

[6] Cfr. Maddalena P., Crisi della rappresentanza politica e della divisione dei poteri nel quadro della crisi economica finanziaria globale, in Diritto Pubblico Europeo Rassegna online, fasc. 1/2015, pag. 111

[7] Cfr. Spinelli S., Re Giudice o Re Legislatore? Sul conflitto di attribuzioni tra potere legislativo e giurisdizionale a margine dell’ordinanza 334 del 2008 della Corte Costituzionale, in Il Diritto di Famiglia e delle Persone, 2009, fasc. 3, pag. 5

[8] Vedasi a tal proposito l’art. 37 della Legge 11 marzo 1953, n. 87, sulla costituzione e sul

funzionamento della Corte Costituzionale

[9] Corte Cost., ordinanza 27.01.2005, n. 44; Corte Cost., sentenze 221, 228 e 231 del 1975; 49 del 1977

[10] Cfr. Spinelli S., op. cit. pag. 6

[11] Cfr. Scopetta G., Il ricorso ex art. 111, comma 8, Cost. al crocevia tra ordinamenti? Qualche riflessione a partire dall’ordinanza delle Sezioni unite n. 19598 del 2020, in Osservatorio Costituzionale, fasc. 6/2021, 2 novembre 2021, pag. 386

[12] In effetti, la legge 31 marzo 1877, n. 3761 introdusse tale strumento allo scopo di affidare all’autorità giurisdizionale (e non più all’amministrazione) il potere di individuare le controversie di propria competenza, a coronamento del processo avviato con l’abolizione del contenzioso amministrativo. Tale scelta, considerata come il passo necessario alla piena realizzazione dell’indipendenza della magistratura (sul punto, si veda l’intervento dell’On. Mantellini innanzi la Camera dei deputati nella seduta del 26 marzo 1877), venne riconfermata nel 1948 da parte dell’Assemblea costituente.

[13] Per un commento si rimanda a C. Della Giustina, Le concessioni demaniali marittime al vaglio delle Sezioni Unite, in IlQuotidianoLegale, fasc. 3/2023.

[14] La controversia giudiziale era stata nata dal rifiuto di un comune pugliese di concedere il rinnovo della concessione al gestore di uno stabilimento balneare, sul presupposto che la natura stagionale dell’originaria concessione, di cui lo stesso aveva beneficiato, non consentisse una proroga per l’anno 2020. Il provvedimento amministrativo era oggetto di impugnazione innanzi al TAR di Lecce, che però la rigettava. La vicenda, a seguito di impugnazione della pronuncia di primo grado, approdava poi al Consiglio di Stato, che, pur introducendo dei differenti profili di valutazione, finiva per confermare quanto deciso dal primo giudice amministrativo, rigettando le richieste del ricorrente. Secondo il Consiglio di Stato, la concessione di cui aveva beneficiato il ricorrente aveva natura annuale e non di lunga durata e quindi era cessata in data 30/12/2018, ovvero prima dell’entrata in vigore della l. n. 145/2018, che aveva introdotto una proroga delle concessioni ancora in essere, anche per l’anno 2020. Avverso tale seconda pronuncia, veniva proposto ricorso, innanzi alla Corte di Cassazione.

[15] In questo senso è possibile sostenere che le Sezioni Unite alludono a una precedente pronuncia della Corte costituzionale, la n. 6/2018.

[16] Ciò rappresenta un ‘sintomo’ del fatto che la finalità perseguita dal legislatore fosse quella di contemperare il necessario rispetto degli obblighi comunitari in materia di tutela della libera concorrenza, con l’esigenza di consentire, ai titolari di concessioni valide, l’ammortamento dei propri investimenti, in attesa del riordino legislativo della materia.

[17] G.D. Giagnotti, Le Sezioni Unite intervengono sul potere di proroga delle concessioni demaniali marittimeDiritto & Giustizia, fasc.29, 2023, pag. 7.

[18] Consiglio di Stato, sez. VII, 30 novembre 2023, n. 10378. Non si tratta di un principio ‘nuovo’ poiché già affermato, sempre dal Consiglio di Stato, nella sentenza 688/2017.

[19] Nello specifico il Comune di Castiglione della Pescaia, per applicare l’estensione al 2033, aveva deciso di pubblicare sull’albo pretorio le istanze di estensione del periodo di durata delle concessioni, che erano pervenute da 56 titolari. Nel periodo di pubblicazione, durato venti giorni, è pervenuta una sola manifestazione di interesse da parte di una società nei confronti di tre concessioni demaniali: per queste il Comune ha rinviato la definizione del procedimento a una successiva fase di comparazione, mentre per tutte le altre si è potuto procedere con il rilascio diretto dell’estensione fino al 2033. Tra il 2020 e il 2021 l’Autorità garante della concorrenza aveva presentato numerose diffide contro svariate amministrazioni comunali che avevano disposto l’estensione delle concessioni balneari al 2033, ritenendo la norma in contrasto col diritto europeo che vieta i rinnovi automatici agli stessi titolari sulle concessioni di beni pubblici. Una di queste diffide è quella che ha poi portato il Consiglio di Stato, con l’eclatante sentenza di novembre 2021, a invalidare la legge sulla proroga al 2033. Lo stesso non è però accaduto al Comune di Castiglione della Pescaia, che aveva ricevuto la diffida a dicembre 2020.

[20] G. Milizia, Lecita la proroga di una concessione balneare a seguito di una procedura comparativa, in Diritto & Giustizia, fasc. 211/2023, pp. 4 ss.

[21] Tar Lazio, sez. quinta ter 15.12.2023 n. 19051

[22] Il riferimento è, ovviamente, alle sentenze del 9 novembre 2021, n. 17 e 18.

[23] Non si può non richiamare la sentenza del Tar Veneto con la quale era stata plasmata una specie di eccezione al divieto di proroga in tema di concessioni demaniali. Precisamente, venne statuito che “in punto di diritto e dinnanzi all´impossibilità per l´aggiudicatario di esercitare in modo effettivo l´esercizio della concessione, il precedente gestore può proseguire con l´occupazione dello stabilimento balneare. Il termine di decadenza è dato dal termine della stagione estiva”, TAR Veneto, ord. 543/2023 e, per un commento, a C. Della Giustina, L’eccezione al divieto di proroga delle concessioni balneari: l’ordinanza n. 543/2023 Tar Veneto, in Cammino Diritto, 9 giugno 2023.

[24] C. Della Giustina, Concessioni balneari: il Consiglio di Stato si esprime sull’ammortizzazione degli investimenti, in Cammino Diritto, n. 11/2023.

[25] Commissione Europea Bruxelles, 16.11.2023 INFR(2020)4118 C(2023)7231 final parere motivato indirizzato alla Repubblica italiana ai sensi dell’articolo 258 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea in merito al quadro normativo che disciplina le autorizzazioni per l’utilizzo di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali per attività turistiche e ricreative.

[26] Non si può tacere che già nel mese di Aprile 2023, nella causa C- 348/22, la Corte di Giustizia aveva affermato un principio di nevralgica importanza, ossia, che le disposizioni della Direttiva Bolkestein, Direttiva 2006/123/CE, si applicano a tutte le concessioni inerenti l’occupazione del demanio marittimo. Per un’analisi, C. Della Giustina, La Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla proroga delle concessioni demaniali, in Cammino Diritto, 23 aprile 2023.

[27] Queste ricomprendono i beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali per attività turistiche e ricreative.

[28] Si rimanda a A. Carnielli, C. Della Giustina, La proroga delle concessioni demaniali marittime tra Bruxelles e Roma, in QuotidianoLegale.it, fasc. 4/2023.

 

 

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto