13/04/2021 – L’Adunanza plenaria pronuncia sulle azioni esperibili in caso di giudicato civile di rigetto della domanda di risarcimento del danno per l’equivalente del valore di mercato del bene illegittimamente occupato

Espropriazione per pubblica utilità – Occupazione acquisitiva – Risarcimento del danno – Equivalente del valore di mercato del bene illegittimamente occupato – Giudicato civile di rigetto della domanda di risarcimento del danno – Azione (di natura personale e obbligatoria) di risarcimento del danno in forma specifica e azione (di natura reale, petitoria e reipersecutoria) di rivendicazione – Esclusione. 

     In caso di occupazione illegittima, a fronte di un giudicato civile di rigetto della domanda di risarcimento del danno per l’equivalente del valore di mercato del bene illegittimamente occupato dalla pubblica amministrazione, formatosi su una sentenza irrevocabile contenente l’accertamento del perfezionamento della fattispecie della cd. occupazione acquisitiva, alle parti e ai loro eredi o aventi causa è precluso il successivo esercizio, in relazione al medesimo bene, sia dell’azione (di natura personale e obbligatoria) di risarcimento del danno in forma specifica attraverso la restituzione del bene previa rimessione in pristino, sia dell’azione (di natura reale, petitoria e reipersecutoria) di rivendicazione, sia dell’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a.. avverso il silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di provvedere ai sensi dell’art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001; ai fini della produzione di tale effetto preclusivo non è necessario che la sentenza passata in giudicato contenga un’espressa e formale statuizione sul trasferimento del bene in favore dell’amministrazione, essendo sufficiente che, sulla base di un’interpretazione logico-sistematica della parte-motiva in combinazione con la parte-dispositiva della sentenza, nel caso concreto si possa ravvisare un accertamento, anche implicito, del perfezionamento della fattispecie della cd. occupazione acquisitiva e dei relativi effetti sul regime proprietario del bene, purché si tratti di accertamento effettivo e costituente un necessario antecedente logico della statuizione finale di rigetto». (1)

 

(1) La questione era stata rimessa dalla sez. IV, con ord. 26 ottobre 2020, n. 6531

Ha chiarito l’Alto consesso la questione da risolvere è in presenza di quali presupposti il giudicato civile di rigetto, per intervenuta prescrizione del diritto fatto valere in giudizio, di una domanda di risarcimento (per equivalente) dei danni da perdita della proprietà sul suolo per effetto dell’occupazione illegittima e della trasformazione irreversibile del bene da parte della pubblica amministrazione, in applicazione dell’istituto (ormai superato) di creazione giurisprudenziale della cd. occupazione acquisitiva, precluda l’esercizio di un’azione di risarcimento in forma specifica diretta alla restituzione dell’eadem res previa rimessione in pristino. 

Ulteriore tematica da affrontare – ancorché non rilevante ai fini della decisione della presente causa, ma pur sempre da esaminare da questa Adunanza plenaria nell’esercizio della funzione nomofilattica, attesa la stretta connessione con l’oggetto delle questioni deferite con l’ordinanza di rimessione – è se siffatto giudicato civile precluda, o meno, l’esercizio di un’azione reale di rivendicazione del bene, oppure, ancora, l’esercizio di un’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. avverso il silenzio dell’amministrazione sull’istanza di provvedere ai sensi dell’art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001. 

Ha osservato che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa e civile, l’interpretazione del giudicato formatosi su una sentenza civile pronunciata a definizione di un giudizio ordinario di cognizione, va effettuata alla stregua non soltanto del dispositivo della sentenza, ma anche della sua motivazione: infatti, il contenuto decisorio di una sentenza è rappresentato, ai fini della delimitazione dell’estensione del relativo giudicato, non solo dal dispositivo, ma anche dalle affermazioni e dagli accertamenti contenuti nella motivazione, nei limiti in cui essi costituiscano una parte della decisione e risolvano questioni facenti parte del thema decidendum (Cons Stato, sez. III, 16 novembre 2018, n. 6471; Cass. civ., sez. I, 8 giugno 2007, n. 13513; id.., sez. II, 27 ottobre 1994, n. 8865). 

La posizione della giurisprudenza, condivisa da questa Adunanza plenaria per preminenti ragioni di economia processuale e di garanzia della certezza e stabilità dei rapporti giuridici, è, invero, attestata su una concezione estensiva dei limiti oggettivi del giudicato, per cui il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.) – che, in quanto riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c..), fa stato ad ogni effetto fra le parti, i loro eredi o aventi causa, relativamente all’accertamento di merito, positivo o negativo, del diritto controverso – si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti in fatto e in diritto, i quali rappresentino le premesse necessarie e il fondamento logico-giuridico della pronuncia finale, spiegando, quindi, la sua autorità non solo sulla situazione giuridica soggettiva fatta valere con la domanda giudiziale (cd. giudicato esplicito), ma estendendosi agli accertamenti che si ricollegano in modo inscindibile con la decisione e ne formano il presupposto, così da coprire tutto quanto rappresenta il fondamento logico-giuridico della statuizione finale (cd. giudicato implicito). Pertanto, l’accertamento su una questione di fatto o di diritto costituente la premessa necessaria e il motivo portante della decisione divenuta definitiva, quando sia comune ad una causa introdotta posteriormente inter partes, preclude il riesame della questione, anche se il giudizio successivo abbia finalità diverse da quelle del primo (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 9 dicembre 2016, n. 25269; id., sez. 3, 23 ottobre 1995, n. 10999, per cui, «[q]ualora due giudizi tra le stesse parti vertano sul medesimo negozio o rapporto giuridico, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica ovvero la risoluzione di una questione di fatto o di diritto che incida su un punto fondamentale di entrambe le cause ed abbia costituito la logica premessa della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza passata in giudicato, preclude l’esame del punto accertato e risolto anche nel caso in cui l’altro giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo od il petitum del primo»). 

In particolare, il giudicato implicito si estende anche alla questione pregiudiziale di merito rispetto ad altra di carattere dipendente su cui si sia formato il giudicato esplicito, senza che a tal fine sia necessaria la proposizione, in via principale o riconvenzionale, di una domanda di parte volta a trasformare la questione pregiudiziale in causa pregiudiziale ai sensi dell’art. 34 Cod. proc. civ. (v. Cass. civ., Sez. III, 15 maggio 2018, n. 11754), allorché la seconda sia legata alla prima da un nesso di dipendenza così indissolubile da non poter essere decisa senza la preventiva decisione di quella pregiudiziale, avente ad oggetto un antecedente giuridico necessitato in senso logico dalla decisione e potenzialmente idoneo a riprodursi fra le stesse parti in relazione ad ulteriori e distinte controversie. Ciò, a condizione che dalla sentenza emerga che gli aspetti del rapporto su cui verte la questione pregiudiziale abbiano formato oggetto di una valutazione effettiva, il che, ad esempio, è da escludere allorquando la decisione sia stata adottata in applicazione del cd. ‘primato della ragione più liquida’ e la soluzione della causa sia basata su una o più questioni assorbenti, oppure si sia in presenza di un obiter dictum privo di relazione causale con il decisum (Cass. civ., sez. I, n. 5264 del 17 marzo 2015; id., sez. III, 8 ottobre 1997, n. 9775; id. 8 novembre 2006, n. 23871). Quindi l’autorità di cosa giudicata copre l’accertamento, oltre che del singolo effetto dedotto come petitum (mediato), anche del rapporto complesso dedotto come causa petendi, sia esso di natura reale o di natura obbligatoria, dal quale l’effetto trae origine. 

Giova sin d’ora precisare che l’individuazione, in modo più o meno estensivo, dell’oggetto del processo e del giudicato si riflette, oltre che su una serie di altri istituti processuali (quali la litispendenza, la continenza, la competenza, la connessione, il regime delle impugnazioni, ecc.), anche su quello della modificazione della domanda (nelle forme della mutatio e, rispettivamente, della emendatio libelli), nel senso che, quanto più si estendono i limiti oggettivi del giudicato, tanto più ampia dovrà essere concepita la facoltà di modifica delle domande in corso di giudizio, onde evitare che la parte attrice possa vedersi preclusa, in un futuro nuovo processo, la proposizione di domande giudiziali che, ancorché connotate da diversità di causa petendi e/o petitum, nella finalità perseguita potrebbero rilevarsi incompatibili con gli accertamenti assurti ad autorità di cosa giudicata ed essere ricomprese nella sfera del ‘deducibile’ non dedotto nel processo definito con efficacia di giudicato. 

In tale prospettiva, la qui condivisa concezione estensiva dei limiti oggettivi del giudicato su un piano generale appare senz’altro coerente con il principio richiamato nell’ordinanza di rimessione, per il quale – nel caso di occupazione illegittima del terreno da parte dell’amministrazione – si applica sul piano sostanziale l’art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001, con la conseguente possibilità di convertire la domanda nel corso del giudizio e quindi di ritenere ammissibile il rimedio di tutela da esso previsto, sebbene basato sulla diversità della causa petendi e del petitum (riferibili a una posizione di interesse legittimo correlativo al potere di acquisizione) rispetto alle domande di risarcimento o di restituzione (riferibili alla tutela del diritto di proprietà in quanto tale) proposte in origine. Al proposito occorre precisare che l’operatività di tale principio presuppone che la questione sia ancora sub iudice e non si sia formato un giudicato sull’una o l’altra delle domande proposte e sulle eventuali questioni pregiudiziali, per cui lo stesso non ha modo di influire sul presente giudizio, il quale è, appunto, connotato dalla già intervenuta formazione del giudicato civile di rigetto della domanda risarcitoria per equivalente del danno da perdita della proprietà (v. infra). 

Nel caso di specie il giudicato civile si è formato sia sull’inesistenza del diritto al risarcimento dei danni perché estinto per prescrizione, sia sul regime proprietario del bene conseguente all’accertato perfezionamento della cd. occupazione acquisitiva. 

Passando all’esame dell’effetto preclusivo scaturente da tale giudicato sulla domanda risarcitoria in forma specifica proposta nel presente giudizio, occorre premettere, in punto di qualificazione dell’azione restitutoria/riparatoria esercitata, che hanno proposto azione (di natura personale e obbligatoria) di risarcimento dei danni in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 Cod. civ., e non già azione (di natura reale e petitoria) di rivendicazione ex art. 948 Cod. civ.

Trattasi, invero, di azioni diverse per causa petendi e petitum, ancorché dirette al raggiungimento dello stesso risultato pratico di recuperare la disponibilità materiale del bene: infatti, con l’azione di rivendicazione, di carattere reale, petitorio e reipersecutorio/ripristinatorio, l’attore assume di essere proprietario della cosa e di non averne più il possesso, sicché agisce contro chi di fatto la possegga e la detenga, sia al fine di ottenere il riconoscimento del suo diritto di proprietà sia al fine di recuperare l’eadem res previo ripristino dello stato anteriore per rimuovere la divergenza tra situazione di fatto e quella dominicale di diritto rispetto al bene, a prescindere dall’accertamento di un illecito; l’azione di reintegrazione in forma specifica è, invece, un rimedio risarcitorio finalizzato alla rimozione delle conseguenze derivanti dall’evento lesivo tramite la produzione di una situazione materiale e giuridica corrispondente a quella che si sarebbe realizzata se non fosse intervenuto il fatto illecito produttivo del danno, il cui accoglimento è subordinato al ricorrere dei presupposti della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ., cui si aggiungono i limiti della possibilità e della non eccessiva onerosità per l’autore dell’illecito previsti dall’art. 2058 cod. civ. (sulla differenza tra l’azione di risarcimento dei danni in forma specifica e l’azione di rivendicazione, v., ex plurimis, in via generale, Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2004, n. 23086; con specifico riguardo agli oneri di allegazione e di prova incombenti sulla parte attrice in punto di titolarità del diritto di proprietà, v. Cass. civ., sez. II, 27 novembre 2018, n. 30705)

 Sotto un profilo strettamente processuale e procedurale, deve ritenersi che l’azione esercitata nel presente giudizio sia stata proposta ai sensi degli artt. 30, commi 1, 2 e 6, e 34, comma 1, lettera c), c.p.a., nell’ambito della giurisdizione esclusiva attribuita al giudice amministrativo dall’art. 133, comma 1, lettera g), c.p.a., secondo cui spettano alla cognizione del giudice amministrativo tutte le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere da parte delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, quali che siano i diritti (reali o personali) fatti valere nei confronti di quest’ultima, nonché la natura (reipersecutoria/ripristinatoria o risarcitoria) della pretesa avanzata. 

Quanto al rapporto tra l’azione di risarcimento in forma specifica (esercitata nel presente giudizio) e l’azione di risarcimento dei danni per equivalente (respinta con il giudicato civile), si osserva che si tratta di due rimedi in rapporto di concorso alternativo, diretti all’attuazione dell’unico diritto alla reintegrazione della sfera giuridica lesa che trova la sua fonte nella medesima fattispecie di illecito, con la particolarità che l’effetto programmato dalla norma al verificarsi della fattispecie si determina, nel suo specifico contenuto, con riguardo alla scelta compiuta dal titolare circa l’una o l’altra forma di tutela

Per consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, formatasi in sede di giurisdizione esclusiva con specifico riferimento a fattispecie di occupazione illegittima del bene da parte della pubblica amministrazione, i due rimedi costituiscono mezzi concorrenti alternativi a tutela dell’unico diritto al risarcimento dei danni, tant’è che è consentita la scelta in corso di giudizio per una delle due modalità, qualificata come ammissibile emendatio libelli anziché come vietata mutatio (v. Cons. Stato, sez. IV, 22 gennaio 2014, n. 306; id. 1° giugno 2011, n. 3331; per la giurisprudenza civile, v. Cass. civ., Sez. Un., 28 maggio 2014, n. 11912, secondo cui la pretesa risarcitoria, pur nella duplice alternativa attuativa, è unica, potendo la parte, tramite una mera emendatio, convertire l’originaria richiesta nell’altra ed il giudice di merito attribuire d’ufficio al danneggiato il risarcimento per equivalente, anziché in forma specifica; con la precisazione, che la giurisprudenza civile non sembra, invece, consentire la modificazione della domanda di risarcimento per equivalente a domanda di risarcimento in forma specifica, argomentando dalla maggiore onerosità di quest’ultimo rimedio: v. i richiami giurisprudenziali di cui al § 13.1 dell’ordinanza di rimessione).

Quindi, pur completandosi la fattispecie multipla con la proposizione della domanda e con l’opzione esercitata dall’attore a favore dell’una o dell’altra forma di tutela, il diritto rimane unico, come unica rimane la posizione giuridica sostanziale fatta valere in giudizio, con la conseguenza che il giudicato di rigetto della prima domanda (nella specie, quella di risarcimento per equivalente respinta dal Tribunale ordinario di Cagliari con la sentenza n. 22860/2006) preclude una nuova azione sulla seconda (nella specie, quella di risarcimento in forma specifica, proposta nel presente giudizio). Pertanto, sotto tale angolo visuale l’effetto preclusivo si è formato in ragione della circostanza che sull’unico diritto al risarcimento dei danni, scaturente dal medesimo fatto illecito, si è già deciso e si è ormai formato il giudicato di rigetto fondato sul motivo portante, comune ad entrambi i rimedi, dell’estinzione per prescrizione dell’unico diritto al risarcimento dei danni. 

Sotto altro profilo, la domanda di risarcimento in forma specifica è, altresì, preclusa in ragione dell’incompatibilità indiretta con il giudicato formatosi sul regime proprietario del bene richiesto in restituzione, in particolare sull’effetto acquisitivo, nella ‘logica’ dell’istituto dell’occupazione appropriativa, determinatosi in capo all’amministrazione costruttrice dell’opera pubblica, presupponendo invero l’azionabilità del diritto al risarcimento dei danni in forma specifica (tramite domanda di rilascio previa rimessione in pristino) la titolarità della proprietà del bene leso in capo all’attore, incompatibile con il giudicato implicito formatosi sul perfezionamento della fattispecie dell’acquisto della proprietà a titolo originario in capo all’amministrazione.  

 L’esito di accoglimento dell’eccezione di giudicato non muterebbe neppure, qualora gli odierni appellanti avessero proposto azione reale di rivendicazione ex artt. 948 ss. c.c., in quanto:  il carattere di esclusività proprio di ogni diritto il principio logico di non contraddizione non consente la coesistenza di due di diritti dello stesso contenuto relativi ad un identico bene di cui siano titolari attivi esclusivi due soggetti diversi; l’essenza del giudicato sostanziale comporta l’impossibilità di far valere in un secondo processo tra le stesse parti (e/o relativi eredi e/o aventi causa) un diritto direttamente incompatibile con il diritto accertato da un primo giudicato;  pertanto, l’esercizio dell’azione di rivendica da parte del privato nei confronti dell’amministrazione, dopo la formazione del giudicato sull’acquisto della proprietà in capo a quest’ultima, è precluso dal giudicato in ragione della relazione di incompatibilità diretta del diritto di proprietà fatto valere con l’azione di rivendicazione (avente tra l’altro natura petitoria, volta al riconoscimento del diritto di proprietà in capo all’attore, oltre che natura reipersecutoria) rispetto al diritto di proprietà acquisito dall’amministrazione oggetto dell’accertamento passato in giudicato.

Non diversamente, anche l’eventuale azione avverso il silenzio della pubblica amministrazione sull’istanza di provvedere ai sensi dell’art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001, ancorché tale istituto a norma del comma 8 sia applicabile ai fatti anteriori, trova il suo limite nei rapporti esauriti, quali quelli definiti con autorità di cosa giudicato [cfr., con riferimento all’ipotesi di rapporto esaurito per essere intervenuto un giudicato che abbia disposto la restituzione del bene al proprietario, Corte Cost. n. 71 del 1995, § 6.9.1; Ad. plen., n. 2 del 2016, §§ 6.2 e 5.4, lettera f)]. 

​​​​​​​Anche in questo caso, l’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. sarebbe preclusa dal giudicato civile formatosi sul regime proprietario, per l’incompatibilità sussistente tra la situazione giuridica soggettiva azionata, presupponente la persistente titolarità della proprietà del bene in capo alla parte ricorrente, e l’accertamento, con efficacia di giudicato, dell’effetto acquisitivo in favore dell’amministrazione.

Cons. St., A.P., 9 aprile 2021, n. 6 – Pres. Patroni Griffi, Est. Lageder

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