07/10/2020 – La Rgs boccia il nuovo pre-dissesto

Chiesto lo stralcio per carenza di relazione tecnica
La Rgs boccia il nuovo pre-dissesto
di Matteo Barbero
 
Stop della Ragioneria generale dello Stato alla riforma del pre-dissesto. La novella, inserita nella conversione del decreto «Agosto», prevedeva fra l’altro l’approvazione ministeriale dei piani di riequilibrio finanziario pluriennale, depotenziando il ruolo della Corte dei conti. Ma Via XX Settembre ne ha chiesto lo stralcio. Il correttivo era stato inserito nell’art. 42-ter, che riscriveva interamente gli artt. 243-bis e 243-quater del Tuel. La procedura è quella volta a prevenire il default delle amministrazioni che presentano «squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario», i quali possono beneficiare di una sorta di salvagente purché presentino un rigoroso programma di risanamento delle proprie finanze. Finora, tuttavia, molti piani sono stati bloccati dall’esame preliminare cui devono essere sottoposti dalla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti, che si avvale di una commissione ministeriale per l’istruttoria. Il decreto «Agosto» puntava a invertire la rotta, assegnando al Viminale il compito non solo di esaminare, ma anche di approvare il piano, lasciando alla magistratura contabile il compito di vigilare sulla sua attuazione. In base al nuovo testo, quindi, entro dieci giorni dalla deliberazione di avvio della procedura, il piano sarebbe stato da trasmettere al ministero dell’interno, dove sarebbe stato istruito dalla Commissione per la stabilità finanziaria che avrebbe dovuto esprimere un parere sulla congruenza. In caso di esito positivo dell’esame la Commissione avrebbe sottoposto il piano all’approvazione del ministro. In tal caso, come detto, la Corte dei conti avrebbe dovuto vigilare sull’esecuzione dello stesso e sul raggiungimento degli obiettivi in esso indicati nell’ambito degli ordinari controlli previsti per i bilanci ed i rendiconti degli enti locali. In caso di esito negativo dell’istruttoria, invece, sarebbe stato emanato un provvedimento di diniego, prescrivendo all’ente locale di presentare, previa deliberazione consiliare, entro l’ulteriore termine perentorio di 45 giorni decorrenti dalla data di notifica del provvedimento di diniego, un nuovo piano idoneo a rimuovere le cause che non avevano consentito il parere favorevole. Il decreto ministeriale di approvazione o di diniego del piano sarebbe potuto essere impugnabile nei termini e nei modi di legge. Fino alla scadenza del termine per impugnare e, nel caso di presentazione del ricorso, sino alla relativa decisione, le procedure esecutive intraprese nei confronti dell’ente sarebbero rimaste sospese, comunque per non oltre nove mesi decorrenti dalla data di presentazione del medesimo. Qualora, durante la fase di attuazione del piano fosse emerso, in sede di monitoraggio, un grado di raggiungimento degli obiettivi intermedi superiore rispetto a quello previsto, sarebbe stata riconosciuta all’ente la facoltà di proporre una rimodulazione dello stesso, anche in termini di riduzione della durata del piano medesimo. Da notare anche, a seguito della riscrittura, dell’art. 243-bis, il ritorno alla durata massima decennale dei piani, con abbandono del controverso meccanismo che collegava la durata al rapporto tra le passività da ripianare e la spesa corrente, nonché la previsione dell’obbligo di effettuare una verifica straordinaria delle modalità di quantificazione e di finanziamento del fondo crediti di dubbia esigibilità. Come detto, però tutto il meccanismo rischia di saltare: la Rgs, infatti, ha chiesto lo stralcio della norma, evidenziando diverse problematiche applicative, oltre al rischio di ampliamento complessivo della capacità di spesa, con effetti negativi in termini di indebitamento netto. Via XX Settembre ha anche criticato le modifiche introdotte all’art. 54 del dl il quale, consentendo di allungare di un anno la durata dei piani già approvati, potrebbe incappare nelle censure della Corte costituzionale.

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