28/05/2020 – Legalità ed effettività negli spazi e nei tempi del diritto costituzionale dell’emergenza. È proprio vero che ‘nulla potrà più essere come prima’?

di ENRICO GROSSO
Legalità ed effettività negli spazi e nei tempi del diritto costituzionale dell’emergenza. È proprio vero che ‘nulla potrà più essere come prima’?
 
Molti hanno sostenuto in questi mesi che l’emergenza Covid avrebbe modificato irreversibilmente alcuni paradigmi della nostra convivenza, avrebbe mutato per sempre il rapporto tra ciascuno di noi e gli altri, avrebbe insomma alterato la nostra percezione dello stare al mondo e del relazionarci con esso. “Nulla potrà più essere come prima”, è lo slogan più e più volte ripetuto. Questi discorsi, dal vago retrogusto apocalittico e millenarista, si sono variamente intrecciati – soprattutto nella riflessione di alcuni giuristi – con altrettanto catastrofiche considerazioni in merito alla prossima minacciata “fine del diritto costituzionale”, al tracollo dell’età dei diritti, e – via via scendendo nella scala di valore degli allarmi – allo sconvolgimento irreversibile del sistema delle fonti, all’imminente se non già avvenuto fallimento finale del regionalismo, fino a più spicciole (e futili) polemiche sull’abuso del DPCM. Forse, a oltre tre mesi dall’inizio dell’emergenza e superata la sua fase più acuta, è possibile provare a tracciare un primo bilancio di come il diritto costituzionale ha effettivamente risposto all’improvviso (e largamente imprevisto) sconvolgimento delle vite individuali di ciascuno di noi. Ossia di come il diritto costituzionale ha reagito a un improvviso (e imprevisto) fatto costituzionalmente rilevante. Perché una cosa mi pare certa: un fatto oggettivo, un “accadimento esogeno” di forte e rilevante impatto su ogni singolo aspetto della vita individuale e collettiva del paese, e soprattutto privo di qualsiasi originaria e diretta dipendenza dalla responsabilità politica di chi si è trovato ad affrontarlo, è calato come un maglio sulle nostre esistenze. Un accadimento che ha riguardato e coinvolto letteralmente tutti, anche se – ad ennesima riprova, se ce ne fosse bisogno, che l’aspirazione alla piena uguaglianza sostanziale costituisce tuttora una delle tante “promesse non mantenute” – non ha di certo colpito tutti con la stessa violenza: chi era fisicamente, socialmente, economicamente, culturalmente più attrezzato ha potuto resistere con ben maggiore serenità. Un accadimento, per giunta, che nello stesso periodo e più o meno nello stesso modo si è abbattuto sulla maggior parte dei paesi del mondo, e ha costretto i governanti di tutti quei paesi a porsi le stesse domande e a misurarsi con le stesse difficoltà.  È da uno sforzo di contestualizzazione che occorre dunque partire per giudicare la capacità mostrata dal diritto costituzionale di adattarsi a tale inedita situazione emergenziale e di indirizzarne le modalità di gestione politica. I fatti sono testardi. Si fa sovente fatica a ricondurli docilmente alle categorie astratte care ai giuristi. I fatti, in genere, sono più forti, ci sfuggono dalle mani. Alla fine ci presentano sempre il conto e pertanto con essi siamo sempre costretti a fare i conti. Sotto questo profilo, mi sento straordinariamente in sintonia con una recente riflessione di Filippo Patroni Griffi, pubblicata su Federalismi il 13 maggio scorso: «Penso che non occorra inserirsi nella disputa tra neopositivisti e storicisti per richiamare l’esigenza che il diritto serva a fini pratici, cioè per regolare una società nel momento in cui la regola viene applicata … Il diritto positivo va contestualizzato, in tale cornice ineludibile, a certe situazioni di fatto. E tra queste esiste lo stato di emergenza. Non sempre è tipizzato (come avviene per lo stato di guerra) ma da sempre è immanente al sistema. … Se ragioniamo, nella situazione emergenziale, con gli stessi parametri di riferimento, con la stessa “raffinatezza giuridica” che tutti riconosciamo ai giuristi italiani, con il pensiero rivolto al regime ordinario e con il retropensiero che il regime derogatorio ci condurrà dallo stato di emergenza allo Stato di eccezione nell’accezione schmittiana del termine, non andiamo da nessuna parte. Al contrario, ci infiliamo in disquisizioni teoriche, di sicuro pregio, sull’applicazione di un diritto che, per essere decontestualizzato, diventa inutile, cioè non serve» (cfr. Il processo, luogo della tutela dei diritti anche e soprattutto nell’emergenza. Dialogando con il Presidente Patroni Griffi sulla giustizia amministrativa, in Federalismi, n. 14/2020)… (segue)

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