08/03/2019 – Nessun risarcimento del danno da parte del Comune se il cittadino cade per colpa della strada dissestata ma di cui ne conosce bene lo stato

Nessun risarcimento del danno da parte del Comune se il cittadino cade per colpa della strada dissestata ma di cui ne conosce bene lo stato

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista

La Corte di Cassazione, sezione civile, con la sentenza n. 5725, del 27 febbraio 2019, ha rigettato il ricorso di una cittadina nei confronti del suo Comune di residenza; per i giudici di legittimità il Comune non deve corrispondere alcun riconoscimento a titolo di risarcimento del danno perché la signora ricorrente, che si era fatta male cadendo in una buca scendendo dalla propria auto, conosceva bene la strada e sapeva il dissesto in cui era messa e poteva evitare la caduta.

Il contenzioso

La cittadina ricorrente era ricorsa al giudice di pace per chiedere i danni dovuti a seguito di una caduta in una buca della strada comunale; il giudice di pace ha, tuttavia, respinto la richiesta dalla ricorrente.

Anche i giudici di secondo grado non hanno ritenuto giustificabili le richieste della ricorrente finalizzate ad ottenere il risarcimento dei danni ed hanno respinto il ricorso.

Avverso quest’ultima sentenza sfavorevole, la cittadina si è rivolta in Cassazione.

L’analisi della Cassazione

I giudici di legittimità evidenziano che a fronte di un rigetto conforme nei due gradi di merito della domanda proposta per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una caduta avvenuta, all’atto di scendere dalla macchina per attraversare la strada, a causa di un buca presente sull’asfalto nel luogo in cui aveva parcheggiato, la ricorrente propose dinanzi al Tribunale domanda di revocazione della sentenza pronunciata in grado d’appello, deducendo errori di fatto e di percezione: assumeva che il Tribunale non aveva correttamente valutato le circostanze certe e pacifiche sulle quali si fondavano i motivi proposti che, a suo dire, non erano stati compresi; deduceva, altresì, che erano stati introdotti fatti estranei al contraddittorio che avevano portato ad una ricostruzione travisata della vicenda.

Il Tribunale ha rigettato la revocazione, ritenendo che non sussistesse l’errore di percezione contestato ed argomentando in relazione ad entrambi i motivi di revocazione concernenti:

a) la percezione dell’esistenza della buca;

b) il fatto che nello scendere dalla macchina la signora guardava la strada che doveva attraversare e non l’asfalto, nel punto dove stava mettendo i piedi;

ed ha anche affermato che il giudice d’appello, con la pronuncia di cui si chiedeva la revoca, aveva ricostruito la dinamica del fatto confermando quella già accertata dal giudice di pace sulla base delle emergenze processuali, fra le quali assumevano un non trascurabile rilievo le dichiarazioni rese dalla stessa parte attrice in sede di interrogatorio formale.

I giudici di legittimità evidenziano di aver avuto modo di chiarire che “l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., deve consistere in una falsa percezione del giudice di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali. Ne consegue che il vizio con il quale si imputi alla sentenza un’erronea valutazione delle prove raccolte è, di per sé, incompatibile con l’errore di fatto, essendo ascrivibile non già ad un errore di percezione, ma ad un preteso errore di giudizio ( cfr. Cass. civ. n. 8828 del 2017Cass. civ. n. 27750 del 2018 ).

Sulla base del principio testé richiamato, la prima censura proposta, con la quale la ricorrente lamenta che venne “addirittura” attribuito valore confessorio alle dichiarazioni da lei rese in sede di interrogatorio formale, deve ritenersi manifestamente infondata.

Al proposito, risulta chiaro il tenore della disposizione di cui all’art. 228 c.p.c. che prevede che la confessione giudiziale è spontanea “o provocata attraverso l’interrogatorio formale” che costituisce un mezzo di prova finalizzato proprio ad acquisire dichiarazioni sfavorevoli alla parte che le rende ( art. 2730 c.c): la Cassazione, al riguardo, ha chiarito che “la confessione deve avere ad oggetto fatti obiettivi – la cui qualificazione giuridica spetta al giudice del merito – e non già opinioni o giudizi” ( cfr. Cass. civ. n. 21509 del 2011).

A ciò consegue che la valutazione delle dichiarazioni rese dalla parte in sede di interrogatorio formale, ove sostenuta da motivazione congrua e logica non è censurabile in sede di legittimità e risponde, comunque , alla regola che, ove la parte riferisca fatti ( a se sfavorevoli ) le sue dichiarazioni hanno valore confessorio.

Nel caso in esame, la ricostruzione delle modalità della caduta, effettuata dal Tribunale attraverso le dichiarazioni della ricorrente su circostanze fattuali riportate nella sentenza impugnata (” il sinistro è avvenuto in pieno giorno, con visibilità buona” ; “io guardavo la strada” ; ” nessun ostacolo impediva la visione dei luoghi” “via ……. è piena di buche” ) rispetto alle quali la ricorrente ha del tutto omesso di riportare, in termini di autosufficienza, un diverso testo delle dichiarazioni rese in quella sede, consentono da una parte di affermare che il giudice d’appello applicò i principi pronunciati da questa Corte sulla valenza confessoria del mezzo istruttorio esperito e , dall’altra, di confermare che il giudice della revocazione ha correttamente escluso, nella sentenza impugnata, che la ricostruzione effettuata dal giudice del gravame potesse ritenersi viziata da errori di percezione, trattandosi, viceversa, di valutazioni di merito sostenute da un impianto motivazionale congruo, logico ed al di sopra della sufficienza costituzionale.

Per il resto, le censure prospettate riguardanti, fra l’altro, il vizio per omesso esame di una circostanza decisiva per il giudizio consistente nel “fatto che la (……) non potè vedere la buca” risultano inammissibili in quanto, lungi dal prospettare un fatto storico non considerato, sottendono una diversa valutazione delle emergenze istruttorie e mascherano la richiesta di un ulteriore grado di merito, preclusa in Cassazione ( cfr. Cass. civ. n. 8758 del 2017Cass. civ. n. 18721 del 2018).

Con il secondo motivo la ricorrente reitera le medesime critiche proposte nella precedente censura, con riferimento al secondo motivo di revocazione. Deduce, infatti, il difetto assoluto di motivazione, rispetto alla circostanza affermata dal Tribunale in sede di revocazione, secondo cui era emerso che ella “non aveva guardato per terra nello scendere dalla macchina”, rilievo che il Comune non aveva mai introdotto, avendo invece eccepito che nella fretta di scendere dalla propria auto “non aveva visto la buca , pur conoscendo bene lo stato del tratto di strada in questione”.

Per i giudici di legittimità il motivo è inammissibile.

I giudici di legittimità osservano , infatti, che la sentenza ha congruamente motivato anche sul secondo motivo di revocazione prospettato, escludendo che ricorressero i presupposti del mezzo di impugnazione proposto in quanto anche la circostanza secondo cui la (……), “al momento di scendere dall’auto guardava la strada e non per terra , non è stata riportata come fatto storico ma come motivazione fondata sulla ricostruzione delle emergenze processuali ( fra cui le dichiarazioni rese della stessa interessata ) che costituisce il precipuo compito del giudice di merito: anche in relazione a tale censura, pertanto, non risulta apprezzabile l’errore revocatorio dedotto né il mancato esame dei pretesi errori di supposizione commessi dal giudice d’appello in relazione ai quali il ricorso risulta essere totalmente privo di autosufficienza”.

Le conclusioni

I giudici di legittimità ribadiscono , a mero titolo esemplificativo, che ai fini della condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., può costituire abuso del diritto all’impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia, oppure fondato sulla deduzione del vizio.

In tali ipotesi, il ricorso per cassazione integra un ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale, essendo non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma destinato soltanto ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione.

Nel caso in esame, le censure contenute nel ricorso sono in parte inammissibili perché tendenti ad ottenere rivalutazioni di merito della controversia, in parte manifestamente infondate del ricorso, nonché relative ad una sentenza che aveva respinto la ” domanda di revocazione rispetto alla pronuncia d’appello conforme a quella di primo grado (…) , devono ritenersi tanto erronee da non essere compatibili con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla giustizia ed alla tutela dei diritti e, dall’altra, deve tener conto del principio costituzionalizzato della ragionevole durata del processo e della necessità di creare strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie”.

La Cassazione , in sostanza , rigetta interamente il ricorso della signora con condanna al pagamento in favore della controparte (il Comune), in aggiunta alle spese di lite, di una somma equitativamente determinata in euro 1.000,00 pari, all’incirca, in termini di proporzionalità alla metà del massimo dei compensi liquidabili in relazione al valore della causa.

Cass. civ., Ord., 27 febbraio 2019, n. 5725

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