20/08/2019 – L’invasione degli apicali: la Corte Costituzionale riabilita lo spoil system

Giornale Dir. Amm., 2019, 3, 269 (commento alla normativa)

L’invasione degli apicali: la Corte Costituzionale riabilita lo spoil system

di Stefano Battini
 
Nella tormentata storia del principio di separazione fra politica e amministrazione, la Corte costituzionale ha giocato un ruolo importante, nel segno della protezione di tale principio rispetto a leggi e prassi applicative volte a sovvertirlo. La Corte ha posto un argine alla penetrazione della logica fiduciaria nel rapporto fra vertici politici e dirigenti pubblici. Si è trattato di un confine inizialmente incerto, per non avere la Corte identificato un criterio giuridico univoco e preciso per delimitare l’area degli incarichi dirigenziali legittimamente assoggettabili al regime fiduciario. Però una combinazione di criteri era andata affinandosi e precisandosi nella giurisprudenza costituzionale, rendendo così più netta quella linea di confine e più ristretta l’area dell’incertezza interpretativa.
Due recenti sentenze della Corte costituzionale, l’una dichiarando legittimo lo spoils system dei segretari comunali (n. 23 del 2019), l’altra giustificando l’obbligo di pubblicazione di dati reddituali e patrimoniali dei dirigenti generali dello Stato, sul presupposto della pretesa natura fiduciaria della loro relazione con il vertice politico (n. 20 del 2019), paiono ora invertire la tendenza. Torna ad essere più sfocato il criterio della distinzione fra l’area dello spoils systemammesso e quella dello spoils system vietato. La linea di confine conosce nuove oscillazioni. Torna ad ampliarsi, in particolare, la libertà del legislatore di prefigurare assetti di più marcata politicizzazione delle posizioni dirigenziali. Forse che, dopo aver contrastato l’invadenza politica, a protezione dell’art. 97 Cost., ora la Corte si incammini nella direzione opposta, proteggendo l’art. 95 Cost. da una presunta autoreferenzialità amministrativa?
La traiettoria della giurisprudenza costituzionale in tema di rapporti fra politica e amministrazione è nota e oggetto di diverse e accurate ricostruzioni(1). Il principio di separazione funzionale fra indirizzo politico e gestione amministrativa ha dovuto convivere con la sua smentita strutturale, rappresentata dal rapporto di fiducia fra il titolare della funzione di indirizzo e il titolare della funzione di gestione. La contraddizione, determinata sia dalla natura temporanea e rinnovabile degli incarichi dirigenziali, sia da meccanismi di cessazione automatica dei medesimi incarichi in caso di avvicendamenti del vertice politico (c.d. spoils system)(2), non poteva che giungere all’attenzione della Corte Costituzionale. Questa si è però concentrata quasi esclusivamente sullo spoils system. Alla Corte si è domandato e si domanda: è il regime fiduciario fra politica e amministrazione compatibile con la posizione costituzionale di un’amministrazione imparziale e al servizio della Nazione, anziché del governo? La prima risposta fu positiva(3): lo spoils system – disse la Corte – contribuisce al buon andamento dell’azione amministrativa, rafforzando la “coesione” fra l’organo politico e gli organi di vertice dell’apparato burocratico, cioè le posizioni amministrative apicali, tendenzialmente identificabili con tutte quelle di nomina politica. Poi la Corte decise di cambiare idea, ma senza ammetterlo. La strada fu quella di ridefinire in senso restrittivo l’area delle “posizioni apicali”, così circoscrivendo l’ambito di applicazione lecita dello spoils system, senza però sconfessare il proprio precedente. In particolare, con due sentenze gemelle, nel 2007, la Corte escluse dal novero delle posizioni apicali, pur se nominati discrezionalmente dall’autorità politica, sia i dirigenti generali dello Stato, con la sola eccezione di quelli che ricoprono incarichi di capo dipartimento, segretario generale o equivalenti(4), sia i direttori generali di aziende sanitarie locali(5). In quest’ultima pronuncia, la Corte circoscrisse la sfera delle posizioni apicali anche esplicitando un criterio di natura organizzativa: sono apicali le sole figure dirigenziali che hanno un rapporto diretto con l’organo politico, cioè non intermediato da ulteriori livelli organizzativi. Fra questi ultimi però – si badi – rientravano anche gli uffici di diretta collaborazione. Le due sentenze, pur “gemelle” per le ampie e precise argomentazioni con le quali esse dichiararono l’illegittimità costituzionale dello spoils system per gli incarichi non apicali(6), nondimeno presentavano fra loro una dissonanza. Difatti, alla stregua del criterio posto dalla sentenza sui direttori generali di ASL, anche i capi dipartimento e i segretari generali delle amministrazioni centrali, considerati invece apicali dall’altra pronuncia, non sarebbero in realtà tali, perché al di sopra di essi vi sono gli uffici di diretta collaborazione del ministro. Tale dissonanza non si è mai risolta.
Tuttavia, nella successiva giurisprudenza costituzionale, per stabilire la legittimità costituzionale dello spoils system, accanto e in luogo del criterio organizzativo fondato sull’apicalità della posizione, si è affermato un diverso criterio funzionale, basato cioè sulla natura dei compiti attribuiti al titolare della posizione stessa. In estrema sintesi, nella giurisprudenza costituzionale anteriore alle pronunce in commento, si potevano distinguere tre categorie di compiti: a) quelli di collaborazione alla formazione dell’indirizzo politico, propri dei dirigenti degli uffici di diretta collaborazione (peraltro considerati apicali), per i quali lo spoils system era certamente ammesso(7); b) quelli di attuazione dell’indirizzo politico e gestione amministrativa, per i quali lo spoils system doveva ritenersi vietato(8); c) quelli di controllo, attinenti in particolare alla vigilanza sull’osservanza della legge e all’accertamento della regolare tenuta della contabilità, per i quali lo spoils system era certamente e radicalmente escluso, dato che si tratta di funzioni che richiedono un grado ancor più elevato di imparzialità(9).
Se si combinavano i criteri enucleati dalla Corte, ne emergeva una mappa concettuale sufficientemente utile per orientarsi nel pur vasto e variegato panorama delle posizioni dirigenziali disegnato dal legislatore italiano. Residuavano certo aree di incertezza, ma, tutto sommato, queste erano essenzialmente limitate ad alcune posizioni, dette di “snodo”, come quelle dei capi dipartimento, segretari generali o equivalenti. In base al criterio organizzativo, tali posizioni erano infatti apicali nell’ottica della sentenza n. 103 del 2007, ma non apicali secondo il criterio posto dalla pronuncia gemella dello stesso anno. In base al criterio funzionale, in tali posizioni può ritenersi prevalente la collaborazione all’indirizzo politico, o, viceversa, l’attuazione dello stesso mediante attività gestionali. Di là da tale ambiguità, il quadro era per il resto abbastanza chiaro.
Su questo quadro intervengono ora le due pronunce del 2019, anch’esse in certo senso gemelle, su cui ora mette conto soffermarsi. Va premesso, però, che esse non possono essere messe sullo stesso piano. L’una, relativa al segretario comunale, affronta ex professo il tema dello spoils system e della relazione fiduciaria fra politica e amministrazione. L’altra ha invece un diverso oggetto, rappresentato dal bilanciamento fra i valori della privacy e della trasparenza in ordine alla pubblicazione di dati riferibili alla dirigenza pubblica. Ma, come si vedrà, il rapporto fiduciario di quest’ultima con l’organo politico è parte della ratio decidendi della pronuncia, la quale giustifica una maggiore incisione del diritto alla privacy per la dirigenza fiduciaria. Se dunque si mettono insieme la prima sentenza e alcuni passaggi della seconda, si possono cogliere i segni di un ripensamento complessivo, e forse anche di una inversione di tendenza nella giurisprudenza del giudice delle leggi in tema di rapporti fra politica e amministrazione.
La questione decisa dalla Corte con la sentenza n. 23 del 2019, sollevata dal tribunale ordinario di Brescia, si riferisce all’art. 99 del D.Lgs. n. 267 del 2000. Secondo tale disposizione, il segretario comunale o provinciale cessa automaticamente dall’incarico con la cessazione del mandato del sindaco o del presidente della provincia.
Un simile meccanismo di spoils system, secondo il giudice a quo, benché riferibile ad una posizione “apicale”, sarebbe tuttavia costituzionalmente illegittimo in ragione delle funzioni attribuite al segretario e della sua posizione complessiva. Si tratterebbe, infatti, di “funzioni di natura tecnica, professionale, gestionale e consultiva” e di una “posizione di garante del rispetto delle leggi e della regolarità dei procedimenti”(10). Tali funzioni, secondo la giurisprudenza costituzionale, escluderebbero la legittima applicazione di meccanismi automatici di cessazione dall’incarico. All’opposto, secondo l’Avvocatura, sarebbe decisivo l’elemento organizzativo della “apicalità” della posizione del segretario, nonché la circostanza, sul piano funzionale, che i compiti del segretario non si limitano alla garanzia di legittimità e regolarità dell’azione amministrativa dell’ente locale, ma si spingono ben oltre, comprendendo la collaborazione diretta con il vertice politico, il coordinamento delle funzioni dirigenziali, l’eventuale svolgimento delle mansioni del direttore generale(11). Ciò giustificherebbe la carica fiduciaria che a tale figura è impressa dal meccanismo di spoils system contestato.
Giustamente la Corte, per impostare correttamente i termini della questione, ha preso le mosse dall’analisi dell’evoluzione normativa della figura del segretario, mostrando come la disciplina attuale sia il frutto di una stratificazione di regolamentazioni, accumulatesi nel corso di una storia lunga e complessa. Sulla figura del segretario comunale, in effetti, si sono da sempre scaricate le tensioni e le ambiguità sia del rapporto fra politica e amministrazione, sia del rapporto fra Stato e autonomie locali. Giova ripercorrere per sommi capi la vicenda, sintetizzando e integrando l’excursus compiuto dalla Corte.
All’indomani dell’unificazione, lo Stato impose agli enti locali di dotarsi di un segretario, con funzioni di certificazione e controllo. Successivamente, tra fine ‘800 e inizi del secolo scorso, la legge statale prese a garantire la posizione di autonomia del segretario stesso rispetto agli amministratori dell’ente locale, dapprima vietandone il licenziamento prima della scadenza dell’incarico a tempo, poi, con la L. n. 144 del 1902, concedendo al segretario addirittura la stabilità a tempo indeterminato, prima di allora già prevista per i maestri comunali e i medici condotti. Federico Cammeo motivò la scelta del legislatore con parole che, purtroppo, il trascorrere di un secolo non ha reso inattuali: “la legge ha avuto dinanzi il fatto indubbiamente gravissimo che gli impiegati locali, specie quelli comunali, e i più importanti fra loro (maestri, segretari e medici) si trovavano esposti alle mutevoli simpatie dei partiti, delle consorterie locali: che la permanenza del vincolo veniva quindi a dipendere non tanto da considerazioni obbiettive della idoneità morale, intellettuale e fisica degli impiegati stessi, quanto dalle mutevoli simpatie dei vari amministratori degli enti. Ciò allontanava da tali uffici i migliori possibili aspiranti, o minacciava l’indipendenza di coloro che si inducessero ad accettare la nomina, potendo inclinarli ad agire piuttosto coll’intento di soddisfare le aspirazioni momentanee degli amministratori pro tempore, che di provvedere alle esigenze del servizio”(12). In origine, dunque, la disciplina sul segretario comunale esprimeva certo un’esigenza di controllo dello Stato sul sistema delle autonomie locali, ma anche, e in prevalenza, un’esigenza di tutela dell’autonomia dell’amministrazione rispetto alle ingerenze della politica locale(13). Nel periodo fascista, la prima esigenza prese il sopravvento e, nel quadro di un più complessivo percorso di assorbimento nello Stato dell’ente locale, che con l’istituto podestarile giunse a perdere il carattere rappresentativo, il segretario comunale venne trasformato in funzionario statale. Status, quest’ultimo, che il segretario conservò anche quando le autonomie locali riguadagnarono la propria legittimazione elettiva, nel periodo repubblicano, nonostante il riconoscimento del principio autonomistico nella Carta costituzionale mal si conciliasse con tale assetto. Fin qui, tuttavia, il riparto funzionale era relativamente semplice: agli amministratori locali tutti i poteri decisionali; al segretario funzioni di certificazione e di controllo di legalità dell’attività dell’ente locale. Il quadro si complicò quando comparve un nuovo attore sulla scena, cioè la dirigenza amministrativa locale, intestataria di compiti di gestione sottratti all’organo di vertice politico. Comparsa per la prima volta già con l’accordo collettivo recepito nel d.P.R. n. 347 del 1983, la dirigenza locale ha fatto ingresso definitivamente nell’ordinamento italiano con la legge n. 142 del 1990. Tale disciplina, per un verso, ha rappresentato il pieno riconoscimento legislativo dei principi dell’autonomia locale sanciti dalla Carta costituzionale; per altro verso, ha introdotto il principio “per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti”(14). I due principi di tutela dell’autonomia locale, da un lato, e di separazione fra politica e amministrazione, dall’altro, avrebbero potuto agevolmente conciliarsi, riservando i compiti di indirizzo a organi rappresentativi delle comunità locali e affidando le competenze di gestione ad una dirigenza professionale di ruolo, selezionata, disciplinata e gestita sempre dall’ente locale. Non fu però questa la scelta del legislatore italiano, che scelse di mantenere in vita l’ambigua figura di un segretario comunale/funzionario statale e ambiguamente affrontò anche il tema della distribuzione delle competenze di gestione amministrativa fra tale segretario e la dirigenza locale. Si stabilì, difatti, che il regolamento dell’ente locale dovesse definire “le modalità dell’attività di coordinamento” tra i dirigenti e il segretario dell’ente e che quest’ultimo fosse incaricato di “sovraintendere” allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne “coordinasse” l’attività. In questa fase emerse dunque emersa una seconda dimensione delle funzioni del segretario comunale e provinciale. Alla sfera tradizionale delle funzioni di controllo e consultive in ordine alla legittimità delle deliberazioni sottoposte alla giunta e al consiglio, si affiancava una partecipazione alle funzioni di gestione amministrativa, confusamente condivisa con la dirigenza locale. Si trattava difatti di una soluzione ambigua e contraddittoria, perché i compiti di gestione e attuazione dell’indirizzo, così come la correlativa responsabilità, venivano chiaramente intestati ai dirigenti, salvo però stabilire che questi dovessero operare sotto il coordinamento di un funzionario dello Stato. A ciò volle por rimedio la L. n. 127 del 1997, che introdusse però una soluzione forse ancora più complicata. Tale legge, secondo una tendenza alla politicizzazione degli incarichi amministrativi, che in tale periodo si affermò soprattutto in sede locale e in collegamento con il potenziamento della legittimazione del sindaco e del presidente della provincia assicurata dal sistema elettorale maggioritario, rispolverò la vecchia idea, a suo tempo contrastata da Cammeo, secondo la quale l’autentica autonomia locale si può realizzare soltanto concedendo agli amministratori mano libera sugli incarichi amministrativi. La legge difatti consentì agli enti locali di affidare la funzione di attuare gli indirizzi stabiliti dagli organi di governo, e di sovraintendere alla gestione dell’ente locale, ad una figura monocratica legata fiduciariamente al sindaco o al presidente della provincia. A tal fine, ha però previsto due facoltà alternative del sindaco o del presidente della provincia. La prima è la nomina di un direttore generale scelto al di fuori della dotazione organica con incarico a tempo determinato, la cui durata non può eccedere quella del mandato del sindaco o del presidente della provincia(15). La seconda facoltà è quella di conferire queste stesse funzioni al segretario, di cui viene però contestualmente mutato lo status. Si distingue, secondo un modello applicato a livello statale un rapporto di servizio con lo Stato di natura stabile e un rapporto di ufficio con l’ente locale, di natura precaria e fiduciaria, in ragione del meccanismo di spoils system oggetto della sentenza in commento.
Questa complessa stratificazione di discipline, riassunta solo per sommi capi, è confluita nel D.Lgs. n. 267 del 2000(16). Ne emerge una figura di segretario comunale e provinciale, per così dire, a cerchi concentrici, dotato di una sfera di attribuzioni variabile secondo le scelte dell’organo di vertice: da un più ristretto nucleo di funzioni irrinunciabili e caratterizzanti, fino ad un più ampio ventaglio di compiti, alcuni dei quali eventuali e, per così dire, aggiuntivi. Se viene nominato il direttore generale, le funzioni del segretario si riducono al nucleo essenziale e originario di “compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”(17). Se il direttore generale non viene nominato, allora il segretario acquisisce funzioni di gestione amministrativa (“sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l’attività”)(18) e, qualora in particolare gli vengano attribuite le funzioni di direttore generale, diviene il principale responsabile della gestione amministrativa dell’ente(19).
La Corte costituzionale, ricostruita attentamente la disciplina del segretario comunale e provinciale, anche nella sua evoluzione storica, perviene, come anticipato, alla conclusione che essa individui una posizione amministrativa compatibile con l’applicazione della logica fiduciaria e dello spoils system.
La ratio decidendi della Corte non è per verità del tutto agevole da ricostruire. Essa tuttavia poggia su quattro passaggi principali, tutti poco convincenti. Si proverà a illustrarli, esponendo, in relazione a ciascuno di essi, le ragioni di critica.
Primo passaggio
La Corte esordisce liberandosi del peso dei propri precedenti, in ragione dell’asserita peculiarità della figura del segretario comunale. Secondo la Corte, “il complessivo statuto e le diverse funzioni affidate dalla legge al segretario comunale restituiscono l’immagine di un incarico non paragonabile a quelli sui quali questa Corte è finora intervenuta con le pronunce di accoglimento ricordate. Per questo – prosegue ancora la Corte – non è possibile l’applicazione al caso di specie dei principi che la giurisprudenza costituzionale ormai costante ha elaborato in tema di limiti all’applicazione dei meccanismi di spoils system“.
Prima critica. È ovviamente vero che la Corte costituzionale non si era mai prima d’ora pronunciata sul segretario comunale, né su altra posizione amministrativa che presenti esattamente la stessa combinazione di funzioni (anche perché una simile posizione non esiste). Ma dalla giurisprudenza costituzionale possono certamente trarsi princìpi e indicazioni in ordine alla legittima applicabilità dello spoils system a ciascuna delle diverse tipologie di funzioni che concorrono, nel loro insieme, a connotare la posizione del segretario: quelle di controllo, quelle di supporto all’autorità politica, quelle di gestione amministrativa, etc. Dunque, i precedenti della Corte ci sono e non possono essere pretermessi a priori, quasi che il ruolo del segretario comunale si componesse di materiali normativi sconosciuti, provenienti da un mondo amministrativo parallelo. Ma il punto più importante è un altro. La Corte ha assunto un approccio, per così dire, olistico, teso cioè a valutare la legittimità dello spoils system in rapporto all’insieme delle possibili competenze del segretario, senza però distinguere fra quelle tipiche e caratterizzanti e quelle eventuali e aggiuntive. Tale distinzione è invece essenziale, perché ben può accadere – ed è anzi ipotesi fisiologica – che il segretario comunale eserciti le une e non le altre. E, come si chiarirà meglio più oltre, ben avrebbe potuto la Corte affermare, con una pronuncia di accoglimento parziale, che lo spoils system si giustifica in relazione al conferimento delle funzioni (aggiuntive) di direttore generale, ma è costituzionalmente illegittimo in rapporto alle funzioni tipiche del segretario. Insomma, l’approccio della Corte è poco convincente, sia nella parte in cui si sottrae all’autorità dei propri precedenti, con motivazione apodittica, sia nella parte in cui si sottrae al canone del “distingue frequenter“, in particolare cumulando in un’unica valutazione l’applicazione dello spoils system a due figure diverse: quella del segretario che convive con il direttore generale e quella del segretario che ne assume il ruolo.
Secondo passaggio
La Corte afferma, anche in questo caso con tono perentorio, che “il segretario comunale è certamente figura apicale e altrettanto certamente intrattiene con il sindaco rapporti diretti, senza intermediazione di altri dirigenti o strutture amministrative”. Per verità, la Corte ritiene che tale carattere apicale sia un dato importante, ma non decisivo ai fini della legittimità costituzionale dello spoils system applicato al segretario comunale. Pur non essendo chiaro quale sia il peso effettivo di tale argomento nella ratio decidendi della sentenza, vale la pena soffermarsi su di esso, anche perché si tratta di un argomento fatto proprio perfino dal giudice a quo.
Seconda critica. Come già ricordato, secondo una linea argomentativa che risale alla sentenza n. 104 del 2007, la Corte costituzionale ritiene apicale la natura dell’incarico quando non vi siano, nell’assetto organizzativo di riferimento, “livelli intermedi lungo la linea di collegamento che unisce l’organo politico” all’incarico stesso, cioè quando intercorra un “rapporto istituzionale diretto e immediato” con l’organo politico(20). Ebbene, ci si domanda: esiste un “rapporto istituzionale diretto e immediato” fra l’ufficio di segretario comunale e quello di sindaco, tale da rendere apicale la posizione del primo? L’interrogativo è però mal posto nelle ipotesi in cui sia nominato un direttore generale diverso dal segretario. E ciò non tanto perché il direttore generale costituisca un livello intermedio fra il segretario e il sindaco. Fra le due figure, infatti, non vi è relazione di subordinazione, ma, come afferma l’art. 97 T.U.E.L., distinzione e autonomia di ruoli(21). L’interrogativo è mal posto perché, quando è nominato il direttore generale, la “distinzione e autonomia” del ruolo del segretario, che in tal caso ha funzioni di controllo e certificazione, mira a escludere una subordinazione gerarchica che sarebbe incompatibile con la neutralità della funzione assegnata. Ciò vale in rapporto al direttore generale, come giustamente prevede la legge, ma dovrebbe valere in rapporto allo stesso sindaco, come pretenderebbero i precedenti della Corte costituzionale, oggi forse disattesi dalla sentenza n. 23 del 2019. Tra il segretario e il sindaco, in altri termini, non vi è alcun livello intermedio non già perché il primo sia apicale, bensì perché esso deve essere autonomo e indipendente, per garantire l’imparzialità delle funzioni che svolge. Riconoscerne il tratto della “apicalità”, ai fini dell’applicazione dello spoils system, significherebbe ammettere che un tale meccanismo di decadenza automatica possa applicarsi a tutti i titolari di organi di controllo collocati in posizione di indipendenza e autonomia: sarebbe allora “apicale” anche la posizione degli organismi indipendenti di valutazione, o quella dei componenti del collegio sindacale? La Corte aveva, in tal caso, radicalmente escluso la legittimità dello spoils system, a partire dalla già ricordata sentenza n. 390 del 2008, a prescindere dall’elemento dell’apicalità, che appare inconferente. Diversa è invece l’ipotesi del segretario comunale che svolge anche funzioni di coordinamento dell’attività di gestione amministrativa, perché il direttore generale non è nominato o perché le relative funzioni sono conferite al segretario stesso. In tal caso, il criterio dell’apicalità è maggiormente pertinente e la posizione del segretario/direttore generale presenta elementi di analogia con quella dei segretari generali o capi di dipartimento nell’amministrazione statale, che come detto rappresentava la principale area di incertezza nella giurisprudenza costituzionale intervenuta antecedentemente alle sentenze in commento. Si tornerà più avanti su questo aspetto.
Terzo passaggio
Come anticipato, secondo la Corte costituzionale, il carattere apicale della carica non è decisivo, così come non è risolutivo il fatto che la scelta del segretario avvenga intuitu personae o previa valutazione dei curricula. Ciò che più conta, ad avviso della Corte, “è che, nel caso di specie, il carattere fiduciario insito nell’atto di nomina non si esaurisce con esso, come accadrebbe se, dopo la nomina, il segretario si limitasse ad esercitare le sole funzioni di certificazione, di controllo di legalità o di attuazione di indirizzi altrui”. Accanto a tali funzioni, invece, il segretario assicura anche “l’assistenza alle riunioni degli organi collegiali del Comune, con funzioni consultive, referenti e di supporto”; ciò che gli permette “di intervenire, sia nel procedimento di formazione degli atti, sia, se richiesto, nella fase più propriamente decisoria, in relazione a tutti gli aspetti giuridici legati al più efficace raggiungimento del fine pubblico”. Questo “ruolo attivo e propositivo del segretario comunale” si tradurrebbe pertanto in una attività di supporto al sindaco e alla giunta nella fase preliminare della definizione dell’indirizzo politico-amministrativo”, che non potrebbe che risultarne influenzata.
Terza critica. Questo passaggio del ragionamento della Corte contiene un argomento errato e un argomento sostanziale di maggior peso. L’errore consiste nel fatto che la nomina discrezionale, anche se non preceduta da valutazione comparativa di candidature, non necessariamente instaura un rapporto fiduciario fra nominante e nominato, ciò che anzi, di regola, deve escludersi. Il carattere fiduciario, dunque, non è affatto “insito nella nomina”, come vorrebbe la Corte. Né il carattere fiduciario del rapporto, ove pure sussistesse in base alla legge ordinaria, sarebbe idoneo a giustificare sul piano costituzionale, tautologicamente, lo spoils system. Ma anche su ciò si dovrà tornare. Ciò detto, l’argomento sostanziale di maggior peso, su cui poggia il ragionamento della Corte, è un altro: la partecipazione del segretario alle riunioni degli organi collegiali sarebbe infatti attività di collaborazione alla formazione dell’indirizzo politico. Sulla base dei precedenti della Corte, ciò avvicinerebbe la posizione del segretario a quella dei titolari degli uffici di diretta collaborazione, per i quali lo spoils system è sempre stato considerato costituzionalmente legittimo. Anche questo argomento, più sottile, tuttavia non coglie nel segno, per almeno due ragioni: l’una di carattere qualitativo, l’altra di carattere quantitativo. La prima ragione riguarda il tipo di partecipazione del segretario comunale al processo di formazione delle decisioni politiche, che è del tutto diversa da quella degli uffici di diretta collaborazione. Questi ultimi supportano l’organo politico nell’attività di individuazione degli obiettivi da raggiungere, nella formulazione delle policies: è ragionevole consentire che l’organo di indirizzo possa avvalersi a tal fine di persone che ne condividano l’orientamento politico. Ma del tutto diverso è il ruolo del segretario comunale, come del resto riconosce la stessa Corte nella sentenza in esame: egli non interviene – dice giustamente la Corte – per “indicare o sostenere obbiettivi specifici”, ma per “mostrare se quegli obbiettivi possono essere legittimamente inclusi fra i risultati che gli organi di direzione politico-amministrativa intendono raggiungere”. Non si tratta, pertanto, di vera partecipazione e collaborazione all’indirizzo, ma si resta nel campo dell’attività tecnica, di consulenza giuridico-amministrativa, che connota da sempre la figura del segretario comunale e che richiede imparzialità, più che adesione personale agli orientamenti politici dell’organo coadiuvato. La seconda ragione è quantitativa. La Corte costituzionale aveva sempre giustificato lo spoils system per il personale degli uffici di diretta collaborazione, i quali operano stabilmente in posizione di staff rispetto all’organo di indirizzo politico e i cui compiti consistono, in misura esclusiva o comunque prevalente, nella partecipazione alla formazione delle decisioni di indirizzo. Non bastava, invece, per giustificare lo spoils system, che una figura, impegnata in uffici di line e nella gestione amministrativa, avesse anche, in misura non prevalente, compiti di suggerimento o supporto all’indirizzo. Altrimenti avrebbero dovuto essere considerati assoggettabili a spoils systemanche i titolari di uffici dirigenziali generali nelle amministrazioni dello Stato, che, come è noto, ai sensi dell’art. 15del D.Lgs. n. 165 del 2001, “formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro, nelle materie di sua competenza”. Dato che la Corte, non aveva fin qui ritenuto sufficienti queste funzioni per legittimare lo spoils system dei dirigenti generali dello Stato, a maggior ragione, se avesse voluto rispettare i propri precedenti, non avrebbe dovuto rinvenire in analoghe funzioni, per giunta circoscritte a valutazioni tecniche di legittimità e correttezza amministrativa, l’argomento per assoggettare a spoils system il segretario comunale.
Quarto passaggio
Infine, la Corte costituzionale prende in esame un ulteriore fascio di funzioni del segretario comunale, cioè quelle, eventuali, “di carattere eminentemente gestionale”, che competono al segretario solo quando è nominato anche direttore generale (o comunque quando un diverso direttore generale non sia nominato). In tal caso, “considerando in particolare che il direttore generale è revocabile ad nutum … e che la durata del suo incarico … non può comunque eccedere quella del mandato del sindaco”, la Corte ritiene che “non si può trascurare come il doppio incarico contribuisca … ad accrescere il carattere fiduciario della stessa funzione di segretario e comunque a confermarne quella peculiarità, che lo sottrae all’automatica applicazione dei principi elaborati da questa Corte in tema di spoils system“. Ne deriva che, “tenendo conto delle ricordate peculiarità delle funzioni del segretario comunale, la previsione della sua decadenza alla cessazione del mandato del sindaco non raggiunge la soglia oltre la quale vi sarebbe violazione dell’art. 97 Cost.“.
Quarta critica. Anche questo ragionamento conclusivo mostra la corda. Innanzitutto, in linea di principio, l’art. 97 Cost. è violato proprio quando lo spoils system si applica alle funzioni “eminentemente gestionali”, perché ciò precisamente contrasta con il principio generale della separazione fra indirizzo politico e gestione amministrativa. In secondo luogo, il fatto che l’incarico di direttore generale sia a sua volta sottoposto a spoils system non può certo giustificare l’applicazione di tale meccanismo anche all’incarico di segretario comunale: per un verso, nulla esclude che l’applicazione dello spoils system possa essere compatibile con la Costituzione in riferimento ad un incarico, ma non all’altro; per altro verso, anche nel caso di valutazione “cumulativa”, ben avrebbe potuto la Corte dichiarare l’illegittimità costituzionale sia della disposizione censurata (relativa al segretario comunale), sia, in via conseguenziale, dell’art. 108 T.U.E.L., che prevede la decadenza automatica dall’incarico di direttore generale. Infine, come si era anticipato, l’ultima parte del ragionamento, che collega la pronuncia di infondatezza all’asseritamente accresciuto “carattere fiduciario” dell’incarico di segretario, è pura tautologia. Si crede, commettendo un errore purtroppo diffuso nella letteratura e nella giurisprudenza su questo tema, che lo spoils system possa essere considerato costituzionalmente legittimo quando applicato ad una carica che la legge ordinaria configuri come fiduciaria. Se essa è fiduciaria, in base alla legge, allora è ammissibile lo spoils system, previsto sempre dalla legge. Evidente il vizio logico. Lo spoils system produce, non già presuppone, la natura fiduciaria dell’incarico. Esso non è costituzionalmente legittimo se si applica a cariche fiduciarie, ma determina la natura fiduciaria di cariche che, in tal modo, perdono di autonomia e imparzialità, in possibile violazione della Costituzione. Ha poco senso, quindi, far dipendere la valutazione di legittimità costituzionale dello spoils system del segretario comunale dalla circostanza che il conferimento allo stesso di una ulteriore carica, anch’essa sottoposta a spoils system, ne accentuerebbe il carattere fiduciario. Piuttosto è vero il contrario. Più è accentuato il carattere fiduciario, determinato dallo spoils system, maggiore è il vulnus costituzionale che si produce quando le funzioni svolte siano “eminentemente gestionali”.
Se ora si rivolgono in positivo le osservazioni critiche sviluppate a commento della ratio decidendi della sentenza n. 23 del 2019, si può agevolmente ricavare lo schema di una ratio decidendi alternativa, che avrebbe potuto, e forse dovuto, condurre la Corte ad un diverso esito.
Il segretario comunale, per quanto se ne vogliano sottolineare i tratti di peculiarità, svolge essenzialmente due categorie di funzioni – le une tipiche e caratterizzanti, le altre eventuali e aggiuntive – sulle quali i precedenti della Corte esistono e avrebbero potuto essere utilizzati per impostare la nuova questione di legittimità costituzionale.
Quanto al nucleo originario e caratterizzante di funzioni, i precedenti più significativi sono rappresentati dalle pronunce della Corte relative a componenti di organi di controllo, chiamati a compiti di verifica della legittimità e correttezza dell’azione amministrativa. Come già anticipato, la Corte ha affermato che “nei confronti dei titolari di organi con funzioni di controllo, sussistono esigenze di neutralità e imparzialità perfino più marcate di quelle che hanno indotto questa Corte a dichiarare la illegittimità di meccanismi di decadenza automatica riferiti ad incarichi di funzioni dirigenziali (22). La radicale esclusione della legittimità costituzionale dello spoils system per i titolari di funzioni sostanzialmente assimilabili a quelle tipiche del segretario comunale avrebbe dovuto indurre la Corte, come minimo, ad una pronuncia di accoglimento parziale. L’art. 99, comma 2D.Lgs. n. 267 del 2000 è difatti certamente in contrasto con l’art. 97 Cost., alla luce dei precedenti della Corte, nella parte in cui prevede che il segretario comunale cessi automaticamente dall’incarico al termine del mandato del sindaco, anche nell’ipotesi in cui questi abbia nominato un direttore generale diverso dal segretario stesso. In tali ipotesi, del resto, è sufficiente il buon senso per cogliere la natura sproporzionata di un doppio spoils system, che colpisce contestualmente due figure con “distinti e autonomi ruoli”.
Quanto invece al nucleo, aggiuntivo ed eventuale, di funzioni del segretario comunale, che la Corte definisce “eminentemente gestionali”, i precedenti, come si anticipava, sono meno univoci, perché le funzioni del direttore generale di ente locale sono sostanzialmente avvicinabili a quelle dei capi dipartimento e dei segretari generali dei ministeri. Esse consistono, da un lato, in un’attività di collaborazione, a stretto contatto con l’organo politico, alla definizione degli indirizzi(23) e, dall’altro lato, in compiti di coordinamento degli uffici dirigenziali da essi dipendenti(24). Tale collocazione ambivalente è alla radice di maggiori incertezze circa la legittimità costituzionale dell’applicazione dello spoils system. Chi scrive è da tempo convinto che il confine fra spoils system ammesso e spoils system vietato debba necessariamente coincidere con il confine che separa l’attività di indirizzo politico dall’attività di gestione amministrativa. E che se il principio di separazione fra politica e amministrazione è espressione, come la giurisprudenza costituzionale aveva fin qui ritenuto, dell’art. 97 Cost., allora contrasta con tale principio qualsiasi forma di spoils system applicato a figure dirigenziali che non si limitano (o almeno non si dedicano in prevalenza) ad attività di collaborazione all’indirizzo politico, bensì operano sul versante dell’attuazione dell’indirizzo stesso, cioè sul versante della gestione amministrativa(25). Se si sposasse questa tesi, lo svolgimento delle funzioni “eminentemente gestionali” del segretario/direttore sarebbe da considerarsi incompatibile con l’assoggettamento di quella carica a spoils system. Pertanto, in tale prospettiva, la Corte avrebbe dovuto adottare una pronuncia di pieno accoglimento, in riferimento al censurato art. 99 del D.Lgs. n. 267 del 2000, e, per giunta, avrebbe dovuto dichiarare altresì l’illegittimità costituzionale in via conseguenziale, ex art. 27 della L. n. 87 del 1953, dell’art. 108 del medesimo decreto.
Va riconosciuto, però, che, alla tesi appena rappresentata, si contrappone, anche in quella letteratura giuridica che guarda con sfavore alla politicizzazione degli incarichi amministrativi, una ricostruzione alternativa. Secondo quest’ultima, le figure in esame (capi dipartimento e segretari generali di ministeri; direttori generali di enti locali) svolgerebbero compiti di “precisazione dell’indirizzo”, le quali precedono la gestione amministrativa, senza confondersi con essa. Si tratterebbe di posizioni dirigenziali di “snodo” fra la sfera della politica e quella dell’amministrazione, per le quali lo spoils system sarebbe costituzionalmente legittimo(26). Tali tesi sembravano trovare conforto anche in diversi passaggi della giurisprudenza costituzionale, già prima dell’ultimo revirement qui in discussione(27).
Ebbene, se la Corte avesse voluto aderire a queste tesi, avrebbe dovuto limitarsi alla pronuncia di accoglimento parziale in precedenza indicata, dichiarando invece l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, comma 2D.Lgs. n. 267 del 2000, nella parte in cui si applica all’incarico di segretario comunale che sia stato nominato anche direttore generale. Ma, a tale conclusione, sarebbe dovuta pervenire sulla base di una motivazione diversa, e in certo senso opposta, rispetto a quella enunciata. L’applicazione dello spoils system al segretario comunale nominato direttore generale potrebbe considerarsi costituzionalmente legittima non già perché questi svolga funzioni “eminentemente gestionali”, ma, al contrario, perché non le svolge, limitandosi a funzioni di precisazione dell’indirizzo politico e di snodo fra politica e amministrazione.
La seconda sentenza della Corte, che qui si commenta(28), non riguarda direttamente, come si è anticipato, il tema dello spoils system. Essa affronta il complesso tema del corretto equilibrio fra il “diritto dei cittadini al libero accesso ai dati ed alle informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni”, da un lato, e, dall’altro, il diritto dei medesimi cittadini a “controllare la circolazione delle informazioni riferite alla propria persona”. Tuttavia, i dati e le informazioni oggetto di contestazione riguardano il reddito e il patrimonio dei dirigenti pubblici; e il bilanciamento fra privacy e trasparenza viene in tal caso a dipendere dal modo in cui la Corte qualifica la posizione dei dirigenti stessi e il loro rapporto con il vertice politico. La pronuncia, di conseguenza, incide anche su un altro equilibrio, che è, ancora una volta, quello, tormentatissimo, del rapporto fra politica e amministrazione.
La questione, sollevata dal T.A.R. del Lazio(29), riguarda l’art. 14, comma 1 bisD.Lgs. n. 33 del 2013, nella parte in cui tale disposizione, per effetto delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 97 del 2016, estende a tutti i titolari di incarichi dirigenziali un obbligo di pubblicazione di dati reddituali e patrimoniali che, in precedenza, si riferiva soltanto i titolari di incarichi politici(30). Ad avviso del giudice rimettente, l’estensione di tale obbligo di pubblicazione si porrebbe in contrasto, innanzitutto, con i principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei dati personali, che connotano il diritto europeo della privacy e, per tramite dell’art. 117 Cost., assurgono a parametri del giudizio di legittimità costituzionale. La quantità di dati da pubblicare e l’impossibilità, sancita dalla normativa, di limitarne l’indicizzazione da parte dei motori di ricerca, renderebbero sproporzionato, secondo il T.A.R., il sacrificio del diritto alla privacy dei dirigenti pubblici rispetto al perseguimento delle finalità di trasparenza. In secondo luogo, l’eccessiva ampiezza dell’obbligo di pubblicazione in questione violerebbe il principio di eguaglianza: sia perché si assoggettano allo stesso regime tutti i dirigenti pubblici, senza distinguere le diverse funzioni, responsabilità, poteri che caratterizzano le varie categorie dirigenziali; sia perché si assimilano i titolari di incarichi dirigenziali ai titolari di incarichi politici, che, tra l’altro, sono sottoposti all’obbligo di pubblicazione per un periodo di tempo determinato e non, come accade per i dirigenti, per tutta la durata del rapporto di lavoro, cioè come “condizione della vita”.
Va detto che, all’indomani dell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, l’Autorità nazionale anticorruzione, con atto di segnalazione al governo e al parlamento(31), aveva suggerito una soluzione ragionevole, sia sul piano dell’equilibrio fra trasparenza e privacy, sia sul piano, che qui maggiormente rileva, dei criteri di distinzione fra tipologie di incarichi dirigenziali.
Difatti l’ANAC, che pure è per missione istituzionale alfiere della trasparenza amministrativa, aveva da tempo giustamente manifestato una posizione critica rispetto alla eccessiva dilatazione degli obblighi di pubblicazione dei dati reddituali e patrimoniali riferiti, senza alcuna differenziazione, all’intero insieme dei dirigenti pubblici(32). A fronte dei dubbi di legittimità costituzionale affacciati dal giudice amministrativo, l’Autorità aveva coerentemente sottolineato, con riguardo ai titolari di incarichi dirigenziali, “la necessità di prevedere misure di trasparenza che, a differenza di quelle previste per i titolari di organi politici e di indirizzo, tengano conto di una graduazione degli obblighi di pubblicazione in relazione al ruolo, alle responsabilità e alla carica ricoperta dai dirigenti, fermo restando l’obbligo, per tutti, di pubblicare gli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica”. Non solo l’ANAC, sensatamente, suggeriva di raggiungere un più corretto equilibrio fra trasparenza e privacy, differenziando i regimi in ragione della natura politica o dirigenziale dell’incarico e della natura delle funzioni e delle responsabilità delle diverse posizioni dirigenziali. Soprattutto, tale autorità immaginava un criterio di discriminazione delle posizioni dirigenziali che si sovrapponeva con quello fino ad allora utilizzato dalla Corte costituzionale per distinguere gli incarichi dirigenziali fiduciari da quelli che invece richiedono separazione fra amministrazione e politica. Si proponeva, infatti, “di prevedere un regime di trasparenza più incisivo per i soggetti titolari di incarichi dirigenziali di vertice di cui all’articolo 19, comma 3D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e posizioni equiparate, tra cui i Segretari e i direttori generali di Comuni, Province e Regioni e per i soggetti titolari di incarichi di responsabilità degli uffici di diretta collaborazione […]”. Al contrario, si suggeriva “la comunicazione e la pubblicazione solo in forma aggregata” di tali dati, “per gli incarichi dirigenziali di livello generale e non generale(33).
Senza qui entrare nel merito della soluzione relativa alla pubblicazione in forma aggregata dei dati in questione per i dirigenti non apicali, qui rileva che il criterio di distinzione proposto da ANAC sarebbe stato coerente con il quadro dei precedenti costituzionali sullo spoils system. Il regime di trasparenza più incisivo sarebbe stato riservato ai dirigenti apicali, per i quali i precedenti della Corte costituzionale ammettevano lo spoils system: segretari generali, capi di dipartimento, direttori generali di enti locali, responsabili degli uffici di diretta collaborazione. Un regime di trasparenza meno incisivo sarebbe stato invece applicato ai dirigenti non apicali, per i quali la precedente giurisprudenza costituzionale vietava lo spoils system: titolari di uffici dirigenziali, di livello generale e non generale. La corrispondenza avrebbe avuto senso: il regime di trasparenza più pervasivo, originariamente previsto per i soli incarichi politici, sarebbe stato ragionevolmente esteso a incarichi dirigenziali riconducibili anch’essi all’area dell’indirizzo politico, ma non agli altri incarichi dirigenziali.
Purtroppo, la Corte costituzionale non ha seguito l’ANAC e, così facendo, ha sconfessato sé stessa.
La Corte ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal T.A.R., in riferimento all’obbligo di pubblicazione dei dati reddituali e patrimoniali della totalità dei dirigenti pubblici(34). Ha ritenuto, in primo luogo, condividendo gli argomenti del giudice rimettente, che una tale estensione dell’obbligo di pubblicazione non superi il test di proporzionalità, condotto dalla Corte stessa alla stregua dei principi del diritto europeo. Ciò sia sotto il profilo della idoneità della misura al perseguimento del fine(35), sia sotto il profilo della scelta della misura meno restrittiva fra quelle disponibili per conseguire lo scopo(36). In secondo luogo, la Corte ha altresì ritenuto, sempre accogliendo la prospettazione del giudice rimettente, che la disposizione censurata si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui essa applica lo stesso regime di trasparenza a tutti i dirigenti, senza operare le necessarie “graduazioni” dell’obbligo di pubblicazione, “in relazione al ruolo, alle responsabilità e alla carica ricoperta dai dirigenti”, come del resto suggerito dall’atto di segnalazione ANAC, che la Corte richiama espressamente (salvo poi, come detto, discostarsene).
La Corte, per verità, avrebbe potuto fermarsi qui, adottando una “caducatoria secca” della disposizione censurata e lasciando al legislatore, secondo criteri che non sono costituzionalmente obbligati, il compito di definire un diverso, più proporzionato e meglio graduato equilibrio fra le esigenze di trasparenza e quelle di riservatezza in ordine alla pubblicità dei dati reddituali e patrimoniali delle varie categorie di dirigenti pubblici.
Così però non è stato, perché la Corte ha considerato che una simile pronuncia, escludendo tout court l’obbligo di pubblicazione dei dati in questione per i dirigenti pubblici, “lascerebbe del tutto privi di considerazione principi costituzionali meritevoli di tutela”. La Corte ha pertanto optato per una peculiare pronuncia di accoglimento parziale, che ha l’effetto di circoscrivere provvisoriamente l’ambito di applicazione dell’obbligo di pubblicazione censurato ad un nucleo minimo di posizioni dirigenziali, in attesa di un futuro intervento complessivo del legislatore.
Ciò che ai fini di questo commento rileva è però sia il risultato cui la Corte è pervenuta, cioè l’area delle posizioni dirigenziali assoggettabili ad un regime di trasparenza più pervasivo, sia, soprattutto, il ragionamento seguito per giungere a tale delimitazione.
Sotto il primo profilo, vi è un paradosso: la Corte ritiene necessario, e rispettoso del test di proporzionalità, un regime di trasparenza più pervasivo di quello auspicato dalla stessa autorità della trasparenza. Se l’ANAC proponeva di limitare l’obbligo di pubblicazione ai capi dipartimento, segretari generali, e figure equivalenti, la Corte, invece, ammette una compressione più estesa delle esigenze di tutela della riservatezza dei dirigenti pubblici. Essa ritiene che, al fine di salvaguardare provvisoriamente “esigenze di trasparenza e pubblicità che appai[o]no, prima facie, indispensabili”, la sfera degli incarichi dirigenziali per i quali è giustificato l’obbligo di pubblicazione include tanto “quelli di Segretario generale di ministeri e di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali” (art. 19, comma 3D.Lgs. n. 165 del 2001), quanto “quelli di funzione dirigenziale di livello generale” (art. 19, comma 4D.Lgs. n. 165 del 2001). Per tutti questi incarichi, l’obbligo di pubblicazione permane, così come previsto dalla disciplina contestata, almeno in attesa di un intervento futuro del legislatore, cui spetterà “sia prevedere eventualmente, per gli stessi titolari degli incarichi dirigenziali indicati dall’art. 19, commi 3 e 4, modalità meno pervasive di pubblicazione, rispetto a quelle attualmente contemplate […], sia soddisfare analoghe esigenze di trasparenza in relazione ad altre tipologie di incarico dirigenziale, in relazione a tutte le pubbliche amministrazioni, anche non statali”. Si noti che la Corte parrebbe escludere (o comunque non prende in considerazione l’ipotesi) che il legislatore possa semplicemente sopprimere l’obbligo di pubblicazione in questione per i dirigenti generali dello Stato, quasi che tale obbligo fosse una misura di trasparenza costituzionalmente imposta. Inoltre, implicitamente, il livello e la tipologia delle funzioni gestionali che competono ai dirigenti generali dello Stato dovrebbe fungere, per il futuro legislatore, da criterio e parametro al fine della identificazione delle posizioni dirigenziali assoggettabili all’obbligo di pubblicazione dei dati reddituali e patrimoniali in esame.
Quel che però maggiormente importa, rispetto alle finalità di questo contributo, è soprattutto il ragionamento attraverso il quale la Corte perviene alla delimitazione dell’area delle posizioni dirigenziali assoggettabili all’obbligo di pubblicazione. Si tratta, infatti, di un ragionamento nel quale la presenza di un “rapporto fiduciario” con il vertice politico assume un rilievo determinante. Tale espressione ricorre più volte nella motivazione e ne identifica la ratio decidendi: non può essere derubricato a obiter dictum. La Corte, muovendo dalla constatazione che gli obblighi di pubblicazione censurati, originariamente, gravavano solo sugli incarichi politici, rinviene in quella disciplina originaria la funzione stessa di tali obblighi. Questi, secondo la Corte, “trovano la loro giustificazione ultima nel consenso popolare”, e, quindi, pur non risultando “in diretta connessione con l’espletamento dell’incarico affidato”, rispondono alla “necessità o [al]l’opportunità di rendere conto ai cittadini di ogni aspetto della propria condizione economica e sociale, allo scopo di mantenere saldo, durante l’espletamento del mandato, il rapporto di fiducia che alimenta il consenso popolare”. Da ciò la Corte evidentemente trae il criterio in base al quale ritagliare la platea degli incarichi dirigenziali, per i quali si giustifica l’applicazione degli obblighi di pubblicazione, cioè tutti gli incarichi dirigenziali che possono essere a loro volta attratti nell’orbita della fiducia politica, nel circuito del consenso popolare. Si tratta, nelle parole della Corte, degli incarichi dirigenziali le cui competenze “rendono manifesto lo svolgimento, da parte loro, di attività di collegamento con gli organi di decisione politica, con i quali il legislatore presuppone l’esistenza di un rapporto fiduciario, tanto da disporre che i suddetti incarichi siano conferiti su proposta del ministro competente“. Di conseguenza, “l’attribuzione a tali dirigenti di compiti – propositivi, organizzativi, di gestione (di risorse umane e strumentali) e di spesa – di elevatissimo rilievo rende non irragionevole, allo stato, il mantenimento in capo ad essi proprio degli obblighi di trasparenza di cui si discute”.
La pronuncia, come si anticipava, incide non solo sul rapporto fra trasparenza e riservatezza, ma anche sulla relazione fra politica e amministrazione. Da tale punto di vista, con essa la Corte esprime una posizione perfino più significativa di quella manifestata con la sentenza sul segretario comunale. Ha natura fiduciaria non solo l’incarico del capo dipartimento o del segretario generale, ma anche quello del dirigente generale dello Stato. Questa figura, e tutte quelle – numerosissime – che gli assomigliano nelle amministrazioni non statali, viene quindi almeno potenzialmente attratta nella sfera degli incarichi “apicali”, per i quali si giustifica lo spoils system, nonostante lo svolgimento di compiti di gestione amministrativa.
Vi è un collegamento stretto fra le due pronunce oggetto di commento. Nella nomina da parte dell’autorità politica è “insito il carattere fiduciario” (sent. n. 23 del 2019 e sent. n. 20 del 2019). A sua volta, il carattere fiduciario della carica giustifica sia l’applicazione dello spoils system (sent. n. 23 del 2019), sia l’applicazione di un regime di trasparenza che maggiormente comprime la tutela della riservatezza (sent. n. 20 del 2019). Infine, hanno carattere fiduciario, e vanno ricompresi fra le posizioni dirigenziali apicali, i titolari di funzioni di controllo e verifica di legittimità, come quelle dei segretari comunali non direttori (sent. n. 23 del 2019); di funzioni “eminentemente gestionali”, come quelle dei segretari comunali direttori (sent. n. 23 del 2019); di compiti di “gestione di risorse umane e strumentali”, come quelle dei dirigenti generali dei ministeri ed equivalenti (sent. n. 20 del 2019). Vanno aggiunte ovviamente le posizioni dirigenziali presso gli uffici di diretta collaborazione. Rimane forse qualcuno che non sia apicale? Queste pronunce della Corte ricordano i baccelli del film di fantascienza diretto da Don Siegel nel 1956: quelli producevano extraterrestri che si sostituivano agli umani; queste producono dirigenti apicali che si sostituiscono ai dirigenti normali. L’invasione degli ultracorpi è più pericolosa dell’invasione degli apicali, ma anche quest’ultima può produrre effetti di conformismo politico che andrebbero evitati.

(1) Da ultimo, una messa a fuoco in A. Marra, L’amministrazione imparziale, Torino, 2018, specie 59 ss.; C. Celone, La responsabilità dirigenziale fra Stato ed enti locali, Napoli, 2018, specie 183 ss. e 304 ss.
(2) Non è mai superfluo precisare, peraltro, che la copia italiana dello spoils system, diversamente dalla versione originale, attiene all’incarico, cioè alla preposizione all’ufficio, non anche al rapporto di lavoro sottostante, che viceversa è stabile, salvo i casi di incarichi conferiti a esterni, cioè al di fuori del ruolo dirigenziale.
(3) V. Corte cost., n. 233 del 2006.
(4) V. Corte cost. n. 103 del 2007.
(5) V. Corte cost. n. 104 del 2007. Vedi anche Corte cost. n. 27 del 2014; n. 152 del 2013; n. 228 del 2011.
(6) Sia consentito, per una analisi, il rinvio a S. Battini, Il principio di separazione fra politica e amministrazione in Italia: un bilancio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2012, spec. 61 ss. Si veda anche, per la rilevanza del criterio funzionale, F. Saitta, Burocrazia e indirizzo politico: il modello della Corte costituzionalein Il diritto amministrativo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Annuario Aipda 2007, Atti del Convegno annuale, Napoli, 2008.
(7) V. Corte cost. n. 304 del 2010, secondo cui lo spoils system per il personale degli uffici di diretta collaborazione “si giustifica in ragione del rapporto strettamente fiduciario che deve sussistere tra l’organo di governo e tutto il personale di cui esso si avvale per svolgere l’attività di indirizzo politico-amministrativo”.
(8) V. Corte cost. n. 304 del 2010, secondo cui lo spoils system è illegittimo quando riferito a dirigenti che “non collaborano direttamente al processo di formazione dell’indirizzo politico, ma ne devono garantire l’attuazione”, senza che sia per tali funzioni necessaria, da parte del funzionario, “la condivisione degli orientamenti politici della persona fisica che riveste la carica politica”. Nello stesso senso anche Corte cost. n. 124 del 2011.
(9) V. Corte cost. n. 390/2008, che, in riferimento ai componenti dei collegi sindacali delle aziende sanitarie locali, cui sono assegnate funzioni di controllo relative, in particolare, alla verifica dell’amministrazione dell’azienda sotto il profilo economico, alla vigilanza sull’osservanza della legge e all’accertamento della regolare tenuta della contabilità, afferma la sussistenza di “esigenze di neutralità e imparzialità perfino più marcate di quelle che hanno indotto questa Corte a dichiarare la illegittimità di meccanismi di decadenza automatica riferiti ad incarichi di funzioni dirigenziali”.
(10) Corte cost. n. 23 del 2019, par. 3 del Ritenuto in fatto.
(11) Corte cost. n. 23 del 2019, par. 5 del Ritenuto in fatto.
(12) F. Cammeo, Il licenziamento per fine periodo di prova degli impiegati comunali stabili, in Giur. it., 1912, III, 360. Si noti che la protezione del segretario, così come quella degli altri impiegati locali, si affermava insieme alla progressiva attrazione del loro status nell’orbita del diritto pubblico e della tutela giurisdizionale assicurata dalla Giunta provinciale amministrativa e, in secondo grado, della IV sezione del Consiglio di Stato. Tali organi erano peraltro in grado di offrire ai dipendenti degli enti locali una tutela più intensa, potendo decidere anche nel merito, ad esempio annullando l’atto di licenziamento adottato senza giusti motivi, in tal modo assicurando anche una tutela reale della stabilità, sconosciuta allora agli impiegati governativi.
(13) Appare pertanto solo parzialmente condivisibile l’affermazione della Corte in esito all’analisi dell’evoluzione normativa dell’istituto, secondo cui “se in tale complessa evoluzione una linea di continuità è rintracciabile, essa consiste nella incessante ricerca di punti di equilibrio fra due esigenze non facilmente conciliabili: il riconoscimento dell’autonomia degli enti locali, da una parte, e la necessità, dall’altra, di garantire adeguati strumenti di controllo della loro attività”. Fin dall’origine, infatti, la disciplina del segretario comunale esprimeva anche e soprattutto la ricerca di un punto di equilibrio fra le esigenze del controllo politico e quelle dell’imparzialità dell’amministrazione locale.
(15) In questo caso, al segretario è sottratta la funzione di coordinamento dell’attività degli altri dirigenti.
(16) Per una analisi della disciplina, cfr. G. Nicosia, L’alta dirigenza locale: il rapporto di lavoro del segretario comunale e provinciale, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, a cura di F. Carinci – L. Zoppoli, vol. V, tomo I, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da F. Carinci, Torino, 2004.
(17) Art. 97, comma 2D.Lgs. n. 267 del 2000. In particolare, il segretario, ai sensi del comma 4 del medesimo art. 97, partecipa con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e ne cura la verbalizzazione, esprime sulle proposte di deliberazione sottoposte alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo il prescritto parere di regolarità tecnica e contabile, nel caso in cui l’ente non abbia responsabili dei servizi; roga, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali l’ente è parte e autentica scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente.
(19) Il segretario in tal caso “provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente”; egli “sovrintende alla gestione dell’ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza”; a lui “rispondono, nell’esercizio delle funzioni loro assegnate, i dirigenti dell’ente”. Inoltre, il segretario, nominato direttore, assume anche importanti funzioni di programmazione e definizione degli obiettivi dell’ente, provvedendo in particolare alla predisposizione e alla proposta del piano esecutivo di gestione (PEG), deliberato dalla Giunta.
(20) Nonostante le espressioni non sempre precise adoperate dalla Corte, questa ovviamente si riferisce al rapporto fra uffici, in base al disegno organizzativo definito dalle norme, non già alla più assai più fluida prassi delle relazioni di lavoro che effettivamente si stabiliscono all’interno dell’organizzazione, le quali vedono di norma il titolare dell’organo politico “intrattenere” rapporti diretti con diverse persone della struttura amministrativa. Insomma, nella Francia del Re Sole, Madame de Montespan non sarebbe stata probabilmente una figura apicale.
(21) Ai sensi dell’art. 108 del c.d. T.U.E.L., “al direttore generale rispondono, nell’esercizio delle funzioni loro assegnate, i dirigenti dell’ente, ad eccezione del segretario del comune e della provincia”; e secondo l’art. 97 del medesimo T.U.E.L., spetta al sindaco (o al presidente della provincia) disciplinare i rapporti tra il segretario ed il direttore generale “nel rispetto dei loro distinti ed autonomi ruoli”.
(22) Cfr. Corte cost. n. 390 del 2008: “[L’] esigenza di distinzione e autonomia deve, a maggior ragione, riconoscersi in relazione all’organo di controllo amministrativo e contabile della stessa azienda, i cui componenti, a differenza del direttore generale, non sono chiamati ad attuare programmi e a realizzare obiettivi definiti dall’organo politico regionale, ma svolgono, in posizione di neutralità, funzioni attinenti al controllo del rispetto della legge e della regolare tenuta della contabilità. In nessun caso, quindi, per i componenti di simili organi sono ravvisabili quelle particolari esigenze di “coesione” con l’organo politico, le quali … possono giustificare, per le sole posizioni dirigenziali apicali di diretta collaborazione, un rapporto fondato sull’intuitus personae …. Tanto più gravi, pertanto, appaiono, con riferimento ai componenti di questi organi, la previsione di un meccanismo automatico di decadenza e la conseguente violazione del principio del giusto procedimento”.
(23) Si pensi, in particolare, alla funzione del direttore generale di proposta del piano esecutivo di gestione (PEG), che è deliberato dalla giunta e che “individua gli obiettivi della gestione e affida gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi”. Analogamente, nell’amministrazione centrale dello Stato, il segretario generale del ministero “provvede alla istruttoria per l’elaborazione degli indirizzi e dei programmi di competenza del ministro” (Art. 6 del D.Lgs. n. 300 del 1999), mentre il capo del dipartimento “è sentito dal ministro per l’esercizio delle attribuzioni” di indirizzo” (Art. 5, comma 5, lett. h)D.Lgs. n. 300 del 1999).
(24) In particolare, il direttore generale dell’ente locale, e il segretario comunale che ne assuma il ruolo, “provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia, e […] sovrintende alla gestione dell’ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza” (art. 108 del D.Lgs. 267 del 2000). Analogamente, nell’amministrazione centrale dello Stato, il capo del dipartimento “svolge compiti di coordinamento, direzione e controllo degli uffici di livello dirigenziale generale” ed “è responsabile dei risultati complessivamente raggiunti dagli uffici da esso dipendenti, in attuazione degli indirizzi del ministro” (Art. 5, comma 3D.Lgs. n. 300 del 1999), mentre il segretario generale “coordina gli uffici e le attività del ministero” e “vigila sulla loro efficienza e rendimento” (Art. 6 del D.Lgs. n. 300 del 1999).
(25) S. Battini, Il principio di separazione fra politica e amministrazione in Italia: un bilancio, cit. In prospettiva simile, B. Ponti, Indipendenza del dirigente e funzione amministrativa, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2012.
(26) F. Merloni, Spoils system: il timore dell’overruling impedisce alla Corte di fare chiarezza, in Le Regioni, 2010, 1136-1145. Secondo l’A., in particolare, “il direttore generale di un ente locale è figura apicale priva di competenze gestionali”, essendo allo stesso affidati “compiti di coordinamento e di precisazione dell’indirizzo degli organi politici” e avendo egli un ruolo ‘di snodo tra indirizzo politico e gestione'”. Il direttore generale, in questa prospettiva, concorrerebbe “alla fissazione di atti di indirizzo adeguati rispetto alle capacità di gestione degli organi amministrativi” e ad “indirizzare, pur senza intromettersi nelle decisioni, l’azione della dirigenza amministrativa”. Più decisamente favorevole alla relazione fiduciaria fra politica e amministrazione, soprattutto a livello locale, G. Gardini, La dirigenza locale in bilico tra uniformità e specialità, in Il lavoro nelle p.a., 2016, 156 ss.
(27) Si veda in proposito A. Marra, L’amministrazione imparziale, cit., 78. L’A. osserva come la Corte sia solita affermare l’illegittimità costituzionale di meccanismi di decadenza automatica dalla carica salvo che non siano riferiti “al personale addetto ad uffici di diretta collaborazione, oppure a figure apicali” (Corte cost., n. 269 del 2016, ma anche n. 20 del 2016 e n. 52 del 2017). Secondo Marra, “la Corte sembrerebbe comprendere nell’ambito dello spoils system legittimo due diverse categorie ossia, appunto, i titolari degli uffici di diretta collaborazione e le figure apicali”. Si escluderebbe, in altri termini, che le c.d. figure apicali, per i quali lo spoils system è consentito, siano proprio i titolari degli uffici di diretta collaborazione. Con ciò, non resterebbe che identificare le posizioni apicali in questione proprio con le figure di snodo qui in discussione, come la Corte avrebbe del resto esplicitato anche di recente: “I predetti meccanismi di decadenza automatica sono stati da questa Corte ritenuti compatibili con l’art. 97 Cost., esclusivamente ove riferiti ad addetti ad uffici di diretta collaborazione con l’organo di governo o a figure apicali, quali quelle contemplate dall’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001“.
(28) Corte cost. n. 20 del 2019.
(29) T.A.R. Lazio, Sez. I quater, 19 settembre 2017, n. 9828, ord.
(30) In particolare, si tratta delle dichiarazioni e attestazioni di cui agli artt. 23 e 4 della L. 5 luglio 1982, n. 441, cioè la dichiarazione dei redditi soggetti all’imposta sui redditi delle persone fisiche e quella concernente i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri, le azioni di società, le quote di partecipazione a società, anche in relazione al coniuge non separato ed ai parenti entro il secondo grado, ove essi vi acconsentano, dovendosi in ogni caso dare evidenza al mancato consenso.
(31) Autorità Nazionale Anticorruzione, Atto di segnalazione n. 6 del 20 dicembre 2017, Concernente la disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, contenuta nel D.Lgs. n. 33/2013, come modificato dal D.Lgs. n. 97/2016.
(32) Cfr. Atto di segnalazione n. 1 del 2 marzo 2016 con cui ANAC affermava che l’obbligo di rendere le dichiarazioni sulla situazione patrimoniale e reddituale da parte del dirigente, del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado avrebbe reso “più gravosi gli adempimenti in capo alle amministrazioni a fronte di un risultato, in termini di maggiore trasparenza, certamente trascurabile…”.
(33) L’obbligo di pubblicazione avrebbe dovuto essere del tutto escluso, invece, secondo il parere dell’ANAC, per i dirigenti non titolari di incarico cui siano attribuite solo funzioni di consulenza, studio e ricerca, ad esclusione di quelle ispettive. Inoltre, si suggeriva, per tutti i dirigenti di prevedere l’esclusione della indicizzazione dei dati da parte dei motori di ricerca.
(34) Inammissibile e infondata sono state invece rispettivamente dichiarate le altre due questioni di legittimità costituzionale sollevate dal T.A.R., riferite l’una all’art. 14, comma 1 terD.Lgs. n. 33 del 2013 (nella parte in cui prevede che l’amministrazione pubblichi sul proprio sito istituzionale l’ammontare complessivo degli emolumenti percepiti da ciascun dirigente a carico della finanza pubblica) e l’altra all’art. 14, comma 1 bis, del medesimo decreto (nella parte in cui estende a tutti i dirigenti gli obblighi di pubblicazione dei compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica, gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici).
(35) L’obbligo di pubblicazione in esame è, secondo la Corte, “sproporzionato rispetto alla finalità principale perseguita, quella di contrasto alla corruzione nell’ambito della pubblica amministrazione”. Infatti, “la pubblicazione di quantità così massicce di dati… non agevola affatto la ricerca di quelli più significativi a determinati fini (nel nostro caso particolare, ai fini di informazione veritiera, anche a scopi anticorruttivi) se non siano utilizzati efficaci strumenti di elaborazione, che non è ragionevole supporre siano a disposizione dei singoli cittadini”. Vi è il rischio, anzi “di generare opacità per confusione, proprio per l’irragionevole mancata selezione, a monte, delle informazioni più idonee al perseguimento dei legittimi obiettivi perseguiti”. In definitiva, secondo la Corte, “alla compressione – indiscutibile – del diritto alla protezione dei dati personali non corrisponde, prima facie, un paragonabile incremento né della tutela del contrapposto diritto dei cittadini ad essere correttamente informati, né dell’interesse pubblico alla prevenzione e alla repressione dei fenomeni di corruzione”.
(36) La Corte osserva che “esistono senz’altro soluzioni alternative” rispetto a quella prescelta dal legislatore, in grado di bilanciare più efficacemente (cioè con minor sacrificio della tutela della privacy) le “contrapposte esigenze di riservatezza e trasparenza”, come, ad esempio, “la predefinizione di soglie reddituali il cui superamento sia condizione necessaria per far scattare l’obbligo di pubblicazione; la diffusione di dati coperti dall’anonimato; la pubblicazione in forma nominativa di informazioni secondo scaglioni; il semplice deposito delle dichiarazioni personali presso l’autorità di controllo competente”.

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