31/01/2019 – Truffa aggravata per il dipendente pubblico anche se il danno è lieve

Truffa aggravata per il dipendente pubblico anche se il danno è lieve

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista

La Corte di Cassazione, seconda sezione penale, ha accolto il ricorso del Procuratore della Repubblica che ha impugnato la sentenza del Tribunale che aveva revocato la misura interdittiva della sospensione nei confronti di un dipendente pubblico; per i giudici di legittimità configura il reato di truffa aggravata per il dipendente che attesti la sua presenza in ufficio e che si è allontanato senza autorizzazione, indipendentemente dal fatto che sia di scarsa entità il danno economico provato con tale atteggiamento.

Il contenzioso

Il Tribunale ordinario con una propria ordinanza ha revocato la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un dipendente pubblico per la durata di mesi due; il Tribunale ha escluso la configurabilità della contestata truffa osservando che il raggiro accertato, pur se quasi quotidiano, avrebbe prodotto nel complesso assenze di pochi minuti nell’arco delle singole giornate lavorative considerate, e che il calcolo delle ore lavorative nel complesso evase supererebbe, in termini retributivi, di poco la cifra irrisoria di euro 50, concretizzando per la pubblica amministrazione di appartenenza un danno non apprezzabile.

Contro questo provvedimento, ricorre il Sostituto Procuratore presso il Tribunale, lamentando plurimi vizi di motivazione quanto alla ritenuta esclusione della configurabilità dell’elemento oggettivo della truffa contestata.

L’analisi della Corte di Cassazione

Per i giudici di legittimità il ricorso del Sostituto Procuratore è fondato.

Come osservato dal P.M. ricorrente, il Tribunale ha erroneamente escluso la configurabilità della contestata truffa, valorizzando elementi atti ad evidenziarne la non particolare gravità, ma che non ne impedivano la configurabilità.

I giudici di legittimità osservano che la Cassazione (sentenza n. 8426 del 17 dicembre 2013) ha già osservato che la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi ultimi siano economicamente apprezzabili, osservando che anche una indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica.

L’affermazione può essere condivisa, ma con la precisazione che la speciale tenuità del danno arrecato alla pubblica amministrazione potrebbe al più legittimare il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p. (tenuto anche conto dell’entità del profitto percepito), non certo impedire la configurabilità del reato.

Osserva la Cassazione che, con un precedente orientamento (sentenza n. 30177 del 4 giugno 2013) ha già chiarito che, anche ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata (fattispecie relativa ad una truffa commessa in danno di società attraverso l’utilizzo abusivo dei cartellini di ingresso e la conseguente alterazione dei dati sulle presenze in ufficio, in cui è stata esclusa l’attenuante, richiamando la grave lesione del rapporto fiduciario determinata dalla condotta delittuosa).

La Cassazione osserva, in proposito, che assume all’occorrenza rilievo anche l’incidenza dell’accertata condotta delittuosa sull’organizzazione dell’ente interessato, che ben potrebbe aver subito pregiudizio rilevante per effetto delle pur minime assenze del dipendente, poiché esse (ed il danno che ne consegue a carico della pubblica amministrazione interessata) vanno valutate non soltanto sotto “un profilo quantitativo, in riferimento al quantum di retribuzione in ipotesi indebitamente percepito dal deceptor, ma anche in quanto mettano in pericolo l’efficienza degli uffici: le singole assenze incidono, infatti, sull’organizzazione dell’ufficio, alterando la preordinata dislocazione delle risorse umane, nella quale il singolo funzionario non può ingerirsi, modificando arbitrariamente le prestabilite modalità di prestazione della propria opera quanto agli specifici orari di presenza”.

La dislocazione degli impiegati nei singoli uffici è, infatti, predisposta dai dirigenti a ciò preposti curando l’utile e razionale impiego delle risorse disponibili, al fine di assicurare la proficuità (anche in favore dell’utenza) dello svolgimento della quotidiana attività amministrativa, certamente messa a repentaglio dalle personali iniziative di quei dipendenti che mutino a proprio piacimento i prestabiliti orari di presenza in ufficio.

La normativa in materia di false attestazioni o certificazioni: irrilevante il danno erariale

L’art. 69, comma 1, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, ha inserito nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, l’art. 55-quinquies, rubricato «False attestazioni o certificazioni», nel quale è dettata una specifica disciplina, anche penalistica, per la falsa attestazione della propria presenza in servizio da parte del lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione. In particolare, l’art. 55-quinquies, comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001, come introdotto dall’art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 150 del 2009, recita: «Fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altra modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante un certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.”.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 52207, del 20 novembre 2018, ha affermato che costituisce principio più volte affermato in giurisprudenza quello secondo cui, in materia di falso, per poter qualificare come certificato amministrativo un atto proveniente da un pubblico ufficiale, devono concorrere due condizioni:

a) che l’atto non attesti i risultati di un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate;

b) che l’atto, pur quando riproduca informazioni desunte da altri atti già documentati, non abbia una propria distinta e autonoma efficacia giuridica, ma si limiti a riprodurre anche gli effetti dell’atto preesistente.

La Cassazione, nel caso in esame, aveva rilevato che in precedenza la giurisprudenza (cfr. sentenza n. 46273 del 2011), ha escluso la configurabilità del reato di falso ideologico in atto pubblico con riferimento alla falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo e nei fogli di presenza, ovvero nell’ambito di dichiarazioni relative a «missioni fuori sede», ha pronunciato sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, senza procedere ad alcuna riqualificazione giuridica del fatto in contestazione.

In effetti, secondo un principio assolutamente consolidato in giurisprudenza, in tema di truffa aggravata in danno dello Stato, nel caso in cui la condotta consista in ripetute assenze ingiustificate dell’impiegato pubblico dal luogo di lavoro, occorre che queste determinino un danno economicamente apprezzabile, sicché è onere del giudice di merito considerare a tal fine anche l’eventuale ricorrenza di decurtazioni stipendiali conseguenti proprio alla mancata realizzazione della prestazione.

Nel caso in esame, tuttavia, la condotta contestata, non era stata valutata, come sarebbe stato doveroso, con specifico riferimento ai profili della falsa attestazione dell’indagato in ordine alla propria presenza in ufficio, pur puntualmente riferita nell’imputazione provvisoria alla fattispecie di cui all’art. 55-quinquies, comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001.

Si è osservato che sia l’ordinanza impugnata, sia, più ampiamente, quella del G.I.P. avevano dato conto della falsa attestazione, da parte dell’indagato, della propria presenza in ufficio, precisandosi che il mendacio è avvenuto «nella fattispecie mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento, ovvero mediante altre attività fraudolente funzionali a giustificare l’assenza».

Tali condotte, risultano corrispondere esattamente ad alcune di quelle descritte dall’art. 55-quinquies, comma 1, D.Lgs. n. 165 del 2001. Per la Corte di Cassazione, per il perfezionamento della figura di reato appena indicata è irrilevante l’accertamento del danno erariale, posto che la disposizione normativa non fa alcun riferimento a tale profilo, ed in questo senso è stata letta dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, in particolare, ha ritenuto ammissibile il concorso tra il reato di cui all’art. 640, comma 2, n. 1, c.p., e quello di cui all’art. 55-quinquies, proprio osservando come “la predetta fattispecie, a differenza della truffa, si consuma con la mera falsa attestazione della presenza in servizio attraverso un’alterazione dei sistemi di rilevamento delle presenze”.

Le conclusioni

Per la Corte di Cassazione il provvedimento impugnato va, pertanto, annullato, con rinvio per nuovo esame al Tribunale che valuterà nuovamente gli elementi acquisiti, uniformandosi al seguente principio di diritto: “la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, che rilevano di per sé – anche a prescindere dal danno economico cagionato all’ente truffato fornendo una prestazione nel complesso inferiore a quella dovuta – in quanto incidono sull’organizzazione dell’ente stesso, modificando arbitrariamente gli orari prestabiliti di presenza in ufficio, e ledono gravemente il rapporto fiduciario che deve legare il singolo impiegato all’ente; di tali ultimi elementi è necessario tenere conto anche ai fini della valutazione della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p.”.

Cass. pen., Sez. II, 23 gennaio 2019, n. 3262

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