31/01/2016 – A proposito delle statue velate. E il politico lasciò il funzionario col cerino in mano

A proposito delle statue velate

E il politico lasciò il funzionario col cerino in mano

di Salvatore Sfrecola

 

L’espressione “restare con il cerino in mano”, si legge nello “Scioglilingua”, la rubrica del Corriere della Sera a cura di Giorgio De Rienzi e Vittoria Haziel, significa “rimanere nella situazione di potere essere biasimato e incolpato da tutti per qualcosa che è successo”. È la prova della colpevolezza. Ma a volte col cerino in mano resta, incolpevole, chi viene destinato ad assumersi una responsabilità di altri che non vuole o non può apparire. Di solito un politico. La storia ci ricorda che più volte, specialmente ai tempi di Giolitti o di Mussolini, prefetti e questori sono stati rimossi per aver eseguito disposizioni poi rinnegate dal Presidente del Consiglio o dal Ministro dell’interno, quando le reazioni dell’opinione pubblica o delle opposizioni parlamentari erano diventate difficili da gestire.

È quel che si vorrebbe oggi dopo la brutta figura delle statue romane e greche, nudi femminili di straordinaria bellezza, esempio di un’arte eccelsa, “velate” in occasione della visita a Roma del Presidente iraniano Rouhani, per non offendere la sensibilità dell’ospite islamico, come si è detto e scritto. Forse esagerando, considerato che l’ospite è persona di cultura che certamente conosce e apprezza l’arte greco-romana e occidentale in genere. E siccome la vicenda ha destato ilarità planetarie e reazioni indignate tra chi ha visto violate identità culturale e dignità, oltre che il buon senso, si è andati – italico more – alla ricerca del colpevole che si è ritenuto di dover individuare nel responsabile del Cerimoniale di Palazzo Chigi, la dottoressa Ilva Sapora. Ne ha scritto, in particolare, il Corriere della Sera del 27 gennaio con un articolo a firma di Marco Galluzzo, un bravo giornalista che si è fatto prendere dal gusto del gossip, senza pensare alle conseguenze che certe sue considerazioni avrebbero determinato sulla persona e sull’Istituzione. Un articolo che mi ha disturbato per la faciloneria, di cui non credevo capace Galluzzo, con la quale tratta un tema delicato che è quello della professionalità e competenza di un alto dirigente dello Stato, in un articolo che chiude, come vedremo, sul livello di conoscenza dell’inglese e del francese della dottoressa Sapora.

In sintonia con gli inquilini di Palazzo Chigi negli ultimi anni, sempre accanto al Presidente del Consiglio che la televisione ci ha mostrato introdurre con garbo nei luoghi e con le persone, sempre sorridente, un abbigliamento sobrio, secondo le circostanze, Ilva Sapora dirige il Cerimoniale di Palazzo Chigi dal 2013. In precedenza ne era il vicario, sempre mantenendo la direzione dell’Ufficio onorificenze ed araldica, un settore estremamente delicato che ha informatizzato e gestisce con grande rigore. In passato, infatti, più di qualcuno aveva mormorato sui “meriti” di chi era stato insignito delle decorazioni dell’Ordine al Merito della Repubblica, spesso segnalati da politici di tutti gli schieramenti desiderosi di un “riconoscimento” alla fedeltà di amici e clientes non sempre muniti di adeguati curricula.

Ed ecco “l’incidente” dei nudi occultati agli occhi del Presidente iraniano che rischiano di oscurare, verso la fine della carriera, l’immagine di un funzionario di elevata professionalità ovunque riconosciuta. Dunque “è difficile che possa avere preso la decisione di coprire i nudi del Campidoglio in totale autonomia”, scrive Galluzzo che trascura l’ipotesi, più semplice, che se a decidere fosse stata la dirigente, forse avrebbe immaginato un diverso percorso museale con esposizione di altre opere d’arte.

Ilva Sapora ha garbatamente rifiutato, attraverso la sua segreteria, una telefonata del Corriere per “ragioni di etica professionale”. E così al giornalista non è restato altro che andare a scrutare nel curriculum pubblicato sul sito della Presidenza del Consiglio dove il dirigente ammette una scarsa conoscenza delle lingue straniere: un inglese a livello elementare, un francese a livello intermedio. Come, o forse più dei suoi predecessori. Ma tant’è. E così Galluzzo si chiede in chiusura “se il capo dell’ufficio del Cerimoniale di un Paese come l’Italia possa permettersi di avere un dirigente che dichiara di non saper parlare l’inglese, almeno ad un livello decente. Ma questa è un’altra storia. Forse”. Lo stesso avrebbe potuto dire del Presidente del Consiglio, spavaldo oratore in inglese e francese che Twitter e Face Book hanno fatto conoscere al mondo intero, mentre gli astanti sorridono ironici e imbarazzati.

Diciamo che Galluzzo non è stato garbato con una signora “raffinata ed elegante, che indubbiamente spicca, nella delegazione del governo, non solo per meriti estetici”. Dunque una che fa bene il suo difficile lavoro. Punto.

30 gennaio 2016

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