29/09/2018 – Garanzie di effettività della tutela del paesaggio

Garanzie di effettività della tutela del paesaggio

di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics

Con la sentenza in esame, intervenuto in tema di abusivismo edilizio, il Consiglio di Stato ha modo di soffermarsi, tra l’altro, sull’esatta perimetrazione del concetto di “paesaggio”. Tanto fa richiamando l’insegnamento della giurisprudenza penale secondo cui non appare dubbio, invero, che alla luce dell’individuazione dei beni paesaggistici contenuta negli artt. 136 ss., D.Lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) «con il termine paesaggio il legislatore abbia inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell’uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediatamente visibile dell’area vincolata, così che ogni modificazione dell’assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio della prescritta autorizzazione» (Cass. Pen., Sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128).

Tale ampia nozione di paesaggio coincide, peraltro, con la definizione contenuta nella Convenzione Europea sul paesaggio, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata con la L. 9 gennaio 2006, n. 14, secondo la quale il termine paesaggio «designa una determinata parte del territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» (v. T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, 19 febbraio 2014 n. 171).

Osserva, ancora, sul punto la giurisprudenza: «Ne consegue che anche la creazione di una recinzione interna ad un cortile soggetto a vincolo e destinata a separare le proprietà dell’area, ha rilievo paesistico e richiede, per la sua realizzazione, idonea autorizzazione paesistica» (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 3 dicembre 2014, n. 2893).

Rilevano ancora, in tale contesto, da un lato, l’art. 181D.Lgs. n. 42 del 2004 che vieta, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, l’esecuzione di lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici (v.: Cass. pen., Sez. III, 11 luglio 2018, n. 31441), e, dall’altro, l’art. 167, comma 4, del medesimo Codice che «preclude il rilascio di autorizzazioni in sanatoria, quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura (anche ‘interrati’): il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce infatti a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno. Tale preclusione, all’evidenza, vale tanto più laddove, come nella fattispecie in esame, i nuovi volumi siano del tutto esterni» (Cons. di Stato, Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4079).

Peraltro:

– «l’ art. 167, comma 4, D.Lgs. n. 42 del 2004 prevede il possibile accertamento postumo della compatibilità paesaggistica solo nei seguenti tassativi casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. L’intervenuto aumento di volumetria in seguito all’innalzamento della copertura non consente, quindi, il rilascio di un provvedimento positivo. La norma in esame, infatti, ritiene sufficiente a rendere inaccoglibile l’istanza di conformità l’aumento di volumetria, riferendosi la necessità dell’utilità alle sole superfici (“superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati) e non alla volumetria» (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 2 agosto 2018, n. 1923);

– «Nel sistema edificatorio vigente gli artt. 167 comma 4 e 181, comma 1-ter, D.Lgs. n. 42 del 2004 consentono l’accertamento della compatibilità paesaggistica in sanatoria degli interventi in ambiti soggetti a vincolo paesaggistico in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, soltanto per i lavori che non abbiano determinato creazioni di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati» (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 18 giugno 2018, n. 497; v. anche T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, 6 marzo 2018, n. 281).

In altra parte della sentenza l’adito Collegio di Palazzo Spada si sofferma sul rapporto tra istanza di condono edilizio e potere repressivo degli abusi edilizi da parte della P.A..

In merito: «come ripetutamente osservato in giurisprudenza (cfr., per tutte, la sentenza della Sezione del 14 febbraio 2014 n. 1037), “la presentazione di un’istanza di condono edilizio comporta “la paralisi del potere repressivo complessivamente inteso””, poiché le norme che impongono la sospensione dei procedimenti sanzionatori sino alla definizione dell’istanza di condono (artt. 3843 e 44L. 28 febbraio 1985, n. 47, richiamati dalla L. n. 724 del 1994) hanno una diretta incidenza sui procedimenti in corso e precludono l’adozione di qualsiasi ulteriore misura sanzionatoria prima dell’espressa determinazione sull’istanza del privato (contrariamente al caso di istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36D.P.R. n. 380 del 2001, da cui deriva unicamente un temporaneo arresto nell’esecuzione della sanzione: cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 26 settembre 2013, n. 4818).

Pertanto, l’Amministrazione ha il dovere di procedere prioritariamente all’esame della domanda di condono, che comporta comunque l’esigenza di una nuova valutazione e determinazione sugli illeciti edilizi ed il superamento degli originari provvedimenti repressivi posto che, in caso di accoglimento, l’abuso compiuto viene sanato, mentre in caso di diniego l’Autorità amministrativa (…) è tenuta a reiterare l’ingiunzione di demolizione fissando un nuovo termine per l’ottemperanza da parte dell’interessato (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 23 giugno 2014, n. 3143)» (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 25 gennaio 2017, n. 545).

Ed allora, si argomenta nella sentenza in esame, una volta che la P.A. a conclusione del procedimento abbia provveduto nel senso del diniego di condono edilizio, la stessa deve adottare un nuovo atto repressivo-sanzionatorio ingiungendo la demolizione delle opere abusive.

Diventa così circostanza ininfluente, quanto alla legittimità del nuovo atto adottato, che tale doppia decisione (cioè a dire: diniego di condono più disposta demolizione) sia materialmente contenuta in un solo atto dal momento che l’interessato può comunque impugnare, in sede giurisdizionale, tale atto “complesso” facendo valere i motivi di illegittimità che ritiene rilevanti.

Altresì si precisa in sentenza che i provvedimenti di diniego del condono edilizio non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, perché i procedimenti finalizzati alla sanatoria degli abusi edilizi sono avviati su istanza di parte (Cons. di Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2010, n. 209T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 10 dicembre 2009, n. 8608) restando così esclusa la possibilità di apporti partecipativi da parte dei soggetti interessati.

Ancora il Consiglio di Stato richiama e fa suo l’insegnamento dell’Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9 secondo cui: «il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino».

Cons. di Stato, Sez. VI, 19 settembre 2018, n. 5466

Art. 136D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (G.U. 24 febbraio 2004, n. 45, S.O.)

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto