28/05/2016 – I furbetti del cartellino: “Sì” della Cassazione al licenziamento per giusta causa

CORTE DI CASSAZIONE

I furbetti del cartellino: “Sì” della Cassazione al licenziamento per giusta causa

I principi sanciti dalla Sezione Lavoro nella sentenza n. 10842 del 25.5.2016.
Oggi si parla tanto di furbetti del cartellino, pratica ormai consolidata da tempo che non ha mancato di impegnare anche la Corte di Cassazione, da ultimo con lasentenza del 25.5.2016 n. 10842.
 
La vicenda esaminata dalla Corte riguarda il licenziamento per giusta causa intimato nel 2008 da Poste Italiane ad un suo dipendente per aver autorizzato un proprio collega a timbrare il suo badge identificativo al fine di far risultare l’entrata in ufficio alle ore 11.35 ed essersi, invece, effettivamente presentato in ufficio alle ore 12.25.
 
Quell’oretta “trafugata” per la Corte di Appello è stata sufficiente per affermare che il dipendente ha leso irrimediabilmente e gravemente il vincolo fiduciario sussistente nei confronti del datore di lavoro ed è costata cara al dipendente che ha visto rigettare il suo ricorso anche dalla Suprema Corte di Cassazione.
 
La Suprema Corte ha evidenziato come la Corte d’Appello si sia mossa dal presupposto secondo cui per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento (che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario) occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. E ciò anche nell’ipotesi in cui la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento quale giusta causa di licenziamento, in quanto l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza”di cui all’art. 1455 c.c. 
 
Tale assunto si basa su una consolidata ricostruzione giurisprudenziale dellanozione di giusta causa nell’ambito del licenziamento disciplinare, in base alla quale, trattandosi dell’applicazione di un concetto indeterminato, l’accertamento deve essere svolto in base agli specifici elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie concreta, quali tipo di mansioni affidate al lavoratore, il carattere doloso o colposo dell’infrazione, le circostanze di luogo e di tempo, le probabilità di reiterazione dell’illecito, il disvalore ambientale della condotta quale modello diseducativo per gli altri dipendenti. 
 
In particolare, con riguardo all’alterazione del cartellino marcatempo, i Giudici di Palazzaccio hanno richiamato i precedenti giurisprudenziali per i quali la falsa timbratura del cartellino può rappresentare una condotta grave che lede irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro e può giustificare il licenziamento (vedi Cass. n. 24796/2010 e Cass. n. 26239/2008). 

Secondo la Suprema Corte la qualificazione giuridica dei fatti e, nella specie, il giudizio di sussunzione dei fatti contestali nell’ambito della clausola generale della giusta causa è stato, dunque, effettuato dalla Corte territoriale in sintonia con i principi elaborati dalla Corte di Cassazione.

Si legge nella parte finale della sentenza che “la Corte d’appello è pervenuta, quindi, alla decisione di conferma della legittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro – dandone atto, con congrua motivazione – attraverso un’attenta valutazione da un lato della gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro della proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, rilevando che la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro è stata in concreto tale da giustificare la massima sanzione disciplinare, in conformità con il costante orientamento di questa Corte in materia di cui costituisce coronario il principio dell’autonomia della valutazione di un fatto in sede disciplinare e delle prove ivi accolte, rispetto a quella effettuata in sede processuale“.

Fonte: Corte di Cassazione Civile Sezione Lavoro n. 10842 pubblicata il 25.5.2016
 
Enrico Michetti

La Direzione

(26 maggio 2016)

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