27/08/2020 – Beni ambientali. Autorizzazione paesaggistica ed inosservanza del temine di cui all’art. 146, comma 8 dlv 422004

Beni ambientali. Autorizzazione paesaggistica ed inosservanza del temine di cui all’art. 146, comma 8 dlv 422004
Pubblicato: 26 Agosto 2020
TAR Lazio (RM) Sez.II-quater n.8104 del 15 luglio 2020

L’inosservanza del termine perentorio di 45 giorni per esprimere il parere vincolante sull’autorizzazione paesaggistica, previsto dal comma 8 dell’art. 146 d.lgs. 42/04 non ne determina l’illegittimità, ma lo degrada a parere non vincolante, di cui l’amministrazione regionale deve tener conto nella propria autonoma valutazione circa il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica

Pubblicato il 15/07/2020

N. 08104/2020 REG.PROV.COLL.

N. 07750/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7750 del 2019, proposto da

Nikal Servizi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Matteo Di Raimondo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Teresa Chieppa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in , ;

per l’annullamento

PER L’ANNULLAMENTO

. della Determinazione n. 406899 del 22.05.2019 (All. 1), adottata dalla REGIONE LAZIO – Direzione Politiche Abitative e la Pianificazione Territoriale Paesistica e Urbanistica – Area Autorizzazione Paesaggistica e Valutazione Ambientale Strategica, con cui veniva negato, ai sensi dell’art. 146 del D.lgs. 42/02, il rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica richiesta dalla Società ricorrente (prot. 482496 del 03.08.2018, di seguito “Istanza”, sub All. 2) per l’esecuzione delle opere relative al completamento di una vasca natatoria collegata al circolo sportivo Acqua Santa in Via Appia Nuova 716/A sul terreno distinto al NCEU del Comune di Roma al Foglio 921, Part. 51, sull’erroneo presupposto dell’adozione, da parte della Soprintendenza Parco Archeologico Appai Antica, del parere vincolante negativo dell’11.03.2019, prot. MIBAC PA-APPIA 501-P (All. 3);

• di ogni altro atto e/o provvedimento – anche se non conosciuto – presupposto, connesso e/o conseguente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Lazio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2020 il dott. Marco Bignami

Visto ‘l’art. 4 del dl 28/20 convertito dalla legge 70/20

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Con ricorso notificato il 10 giugno 2019 e depositato il successivo 18 giugno, la ricorrente ha impugnato il diniego di autorizzazione paesaggistica, oppostole dalla Regione Lazio, in relazione ad un progetto di “completamento di una vasca ad uso natatorio”, chiedendone l’annullamento.

L’atto impugnato è stato adottato dalla Regione sulla base del parere, ritenuto vincolante, della soprintendenza del parco archeologico Appia antica, nel quale si colloca l’opera. Tale parere è stato impugnato in separato giudizio.

Posto che l’atto qui impugnato è da attribuirsi alla sola Regione Lazio, quale autorità competente a pronunciarsi sull’autorizzazione paesaggistica (art. 146 d.lgs. 42/04), è infondata l’eccezione di inammissibilità del presente ricorso, per non essere stato notificato al parco archeologico, avanzata dalla parte resistente.

2. Anzitutto, è necessario ricostruire i fatti.

Nel 2006 la Veneto Cleaners srl, alla quale è poi subentrata la Nikal Servizi srl (avente il medesimo amministratore delegato), ha ottenuto dalla Regione Lazio autorizzazione ad eseguire uno specchio d’acqua in cemento armato, al fine di prevenire la frana di una collina circostante al circolo sportivo di proprietà societaria.

Nel 2008, un’ispezione in loco ha dato atto della sussistenza, in luogo di quella struttura, di tre vasche preordinate a piscina ricreativa. Una prima costituente il serbatoio dell’acqua di sfioro; la seconda adibita a vasca natatoria; la terza a vano tecnico al servizio della piscina.

Roma Capitale ha di conseguenza ingiunto la demolizione dell’opera abusiva, con atto impugnato davanti a questo Tribunale.

Con sentenza n. 7651 del 2013, il Tar del Lazio ha rigettato il ricorso avverso l’ordine di demolizione, dando atto che l’opera aveva acquisito i tratti, abusivi, di una piscina non assentita in zona vincolata.

L’area, infatti, è inclusa nel parco archeologico e nel parco regionale dell’Appia antica, cosicché ogni opera va autorizzata dal primo, nell’esercizio dei poteri attribuiti alla soprintendenza dall’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004, e dal secondo, in quanto autorità preposta alla attuazione del piano del parco.

La ricorrente si è perciò attivata per conseguire la sanatoria postuma dell’opera abusiva, ottenendola sia per il profilo paesaggistico ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/04, sia per il profilo urbanistico edilizio, in forza dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001.

In conseguenza di ciò, l’ordine di demolizione è stato revocato.

Ciò ha determinato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso proposto avverso la pronuncia del Tar Lazio sopra citata, che il Consiglio di Stato ha dichiarato con sentenza n. 7303 del 2018, pur precisando che lo stato dei luoghi era stato adeguatamente descritto dal primo giudice.

È da notare che, invece, per l’opera in questione non si era richiesto il nulla osta preventivo dell’ente parco, né un eventuale nulla osta postumo, ove ritenuto ammissibile.

Nella consapevolezza di ciò, la ricorrente, al fine non di sanare quanto già eseguito, ma di completarlo, ha domandato il nulla osta, che le è stato negato dall’ente parco nel 2011.

Contro tale provvedimento è stato radicata una nuova impugnativa avanti a questo Tribunale, che la ha rigettata, osservando che il nulla osta non avrebbe potuto essere concesso prima dell’approvazione del piano di assetto dell’ente parco, data di cessazione delle misure di salvaguardia (sentenza n. 7557 del 2013).

La ricorrente ha pertanto agito per superare l’inerzia del parco nell’adozione del piano di assetto, e, dopo una pronuncia di questo Tribunale, ha ottenuto che tale piano fosse approvato dal commissario ad acta, e ha domandato nuovamente il nulla osta nel 2018.

Esso gli è stato negato, con atto impugnato davanti a questo Tribunale, che in data odierna ha rigettato il ricorso.

Nel frattempo, la ricorrente, che nel 2010 aveva conseguito l’autorizzazione paesaggistica (ormai scaduta) al completamento della struttura ispezionata nel 2008, ma non aveva potuto procedere a causa della mancanza del nulla osta del parco, ne ha domandato il rinnovo, che le è stata negato, previo parere vincolante del parco archeologico, dalla Regione Lazio nel 2019.

Si tratta dell’atto qui impugnato, rispetto alla cui legittimità è estranea la questione concernente il diniego del nulla osta dell’ente parco, ovvero di un atto autonomo dall’autorizzazione paesaggistica, e ugualmente necessario ai fini di legittimare il completamento delle opere.

3. Sotto il profilo paesaggistico, l’intervento richiesto è disciplinato dagli artt. 7 e 15 della normativa di piano, e dall’art. 60, lett. c) del PTP 15/12, a sua volta incorporato nella normativa di piano in forza dell’art. 7, comma 4, di quest’ultima, che vi opera un rinvio materiale.

L’art. 60 distingue gli impianti sportivi già in loco e legittimamente edificati, che ovviamente sono fatti salvi, dalla realizzazione di “nuovi impianti sportivi”. Quest’ultima è consentita solo se prevista dalle prescrizioni di sottozona.

Nella sottozona TPa.33, oltre all’adeguamento funzionale degli impianti già legittimamente presenti, “in continuità con la sottozona TPa.32, possono essere realizzati impianti sportivi collegati agli impianti sportivi esistenti”.

Il riferimento alla “continuità” con gli impianti sportivi che, in base alle previsioni di sottozona TPa.32, possono realizzarsi in aree dedicate potrebbe avere un significato esplicativo, ovvero prescrittivo.

Vale a dire che potrebbe letteralmente intendersi come la giustificazione del fatto che anche nella sottozona TPa.33 possano sorgere impianti sportivi (in quanto tale possibilità è già prevista per la sottozona TPa.32); ovvero, come la previsione che tali impianti sono ammessi nella sottozona TPa.33, esclusivamente se in contiguità ambientale con la sottozona TPa.32.

L’ultima soluzione è la sola compatibile con il rilievo per cui le previsioni di piano non recano motivazione (quale sarebbe invece l’inciso, se avesse valore esplicativo), caratteristica alla quale non si sottraggono le altre misure indicate per ciascuna sottozona. Se, quindi, il pianificatore avesse voluto solo consentire l’edificazione di impianti sportivi nella sottozona TPa.33, lo avrebbe detto, senza avere alcuna necessità o utilità dal richiamo alla “continuità” con la sottozona TPa.32.

In altri termini: è consentito l’allargamento di un preesistente circolo sportivo, legittimamente edificato, attraverso la realizzazione di nuovi impianti che ne vengano a far parte insieme con gli altri, ma alla condizione che non via sia soluzione di continuità ambientale rispetto alla sottozona TPa.32, dove, invece, tali impianti non incontrano ulteriori limiti.

4. Si può ora valutare come tale regole debbano applicarsi alla piscina per cui è causa, per poi declinarle con specifico riguardo ai motivi di ricorso.

Anzitutto, è evidente che quest’ultima non possa ritenersi impianto sportivo legittimamente edificato alla data di entrata in vigore del piano di assetto (2018). Difatti, l’opera risale perlomeno al 2008 (data di ispezione dei luoghi) e non è stata assentita, come sarebbe stato necessario, dall’ente parco per mezzo del nulla osta preventivo.

La circostanza che sia stata ottenuta dalla ricorrente sia l’autorizzazione paesaggistica postuma, sia la sanatoria a fini edilizi-urbanistici non serve a superare la persistente abusività connotata dalla mancanza di tale nulla osta, che la ricorrente ha domandato solo in seguito, per completare un’opera nata abusiva.

Non può perciò essere utile l’art. 60, lett. c), primo periodo.

Tuttavia, non vi è nemmeno dubbio, in linea astratta, che la piscina possa essere costruita quale “nuovo” impianto sportivo collegato al circolo sportivo gestito dalla ricorrente, che sorge in loco ed è stato legittimamente edificato.

A tal fine, tuttavia, essa dovrebbe sorgere in continuità con la sottozona TPa.32, mentre la planimetria allegata agli atti di causa mostra che essa andrebbe a collocarsi nella parte della sottozona TPa.33 più lontana dalla sottozona precedente, sicché andrebbe valutato se il luogo ove sorgerebbe la piscina possa reputarsi “in continuità” con l’assetto impresso alla sottozona TPa.32

4 bis. Tutto ciò premesso, possono essere affrontate le censure, a partire, in ordine logico, dal terzo motivo (eccesso di potere), anche se verrà trattato in seguito il rilievo con cui la ricorrente contesta alla Regione di essersi contraddetta rispetto alla positiva valutazione che aveva espresso, prima di trasmettere la pratica all’ente parco, ai sensi dell’art. 146 d.lgs. n. 42/04.

La ricorrente reputa che l’art. 60, lett. c) delle NTA del PTP 15/12 legittimi la piscina, quale impianto sportivo da annettere al circolo sportivo tennis Acquasanta, che già sorge legittimamente in loco.

Come si è visto innanzi, va anzitutto escluso che ciò possa accadere in virtù del fatto che la piscina sia già stata parzialmente realizzata, poiché l’assenza del nulla osta preventivo dell’ente parco la rende abusiva, e perciò estranea alla disciplina recata dall’art. 60 con riferimento alle opere già edificate legittimamente.

Si tratta, perciò, di considerare l’applicabilità delle prescrizioni della sottozona TPa.33, alle quali rinvia l’art. 60 per le ipotesi di adeguamento funzionale degli impianti preesistenti, e per la realizzazione di nuovi impianti, collegati a circoli sportivi già in essere.

Come si è visto, lo scavo di cui si chiede il completamento in sé è abusivo per difetto del preventivo nulla osta dell’ente parco, e dunque non può costituire “un adeguamento funzionale” di un impianto già legittimamente esistente.

L’adeguamento funzionale presuppone: a) che la struttura sia già stata eseguita, e vada ripristinata; b) che essa non sia abusiva. Nessuna di tali condizioni ricorre nel caso di specie. Inoltre, non è sostenibile che qualunque nuovo impianto sportivo collegato al circolo sia, in sé, un adeguamento funzionale delle strutture già esistenti, sia perché un conto è adeguare, altro conto edificare; sia perché è proprio la prescrizione della sottozona TPa.33 a chiarire che la legittimità del nuovo impianto sportivo consiste nel suo collegamento al circolo, ciò che non sarebbe necessario se ogni nuovo impianto fosse un mero adeguamento funzionale del secondo, come sostiene la ricorrente.

5. Non resta perciò che agganciarsi alla novità dell’impianto piscina, ai fini del collegamento con il circolo sportivo.

Sotto tale profilo, in linea di principio la realizzazione della piscina sarebbe assentibile, ma a tal fine è anche necessario verificare in concreto che l’area, all’interno della sottozona TPa.32, ove essa sorgerebbe sia “in continuità con la sottozona TPa.32”.

L’atto impugnato, a tale riguardo, motiva nel senso che tale area, viceversa, “non rappresenta segni di continuità evidenti con la sottozona TPa.32”, ma piuttosto con le caratteristiche ambientali e morfologiche delle sottozone TOb.33, TPa.31, TOb.32.

Siffatta affermazione non è contestata in fatto dalla ricorrente (che, piuttosto, la ritiene inconferente in diritto), ed è semmai avvalorata dalla planimetria allegata agli atti di causa già richiamata.

Ne segue che tale motivo ostativo al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, frutto di una valutazione discrezionale sull’effettivo stato dei luoghi che è tipico esercizio del potere proprio della soprintendenza, vale di per sé a sostenere autonomamente la legittimità dell’atto impugnato.

Non è perciò necessario esaminare la legittimità degli ulteriori motivi ostativi indicati dall’atto impugnato, e contestati dalla ricorrente (tra cui la violazione della fascia di rispetto del fiume Almone), mentre l’atto non motiva con riguardo alla compatibilità dell’opera con l’art. 15 della normativa di piano, che vieta la costruzione di nuovi impianti sportivi: tale ultimo profilo non va perciò qui affrontato.

La censura è pertanto da rigettare, per la parte qui esaminata.

6. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 146 d.lgs. 42/04 e dell’art. 17 bis l. 241/90, mentre con il secondo è eccepito il difetto di motivazione.

La ricorrente espone che il 9/11/18 la Regione Lazio ha trasmesso al parco archeologico la relazione per l’accertamento di conformità, con proposta di accoglimento, e che la soprintendenza ha provveduto con preavviso di parere negativo solo 80 giorni dopo, ovvero il 28/1/19.

Perciò, il parere negativo sarebbe illegittimo, anzitutto perché sopraggiunto rispetto al silenzio assenso previsto dall’art. 17 bis l. 241/90.

Tuttavia, posto che il comma 3 di tale disposizione assegna alle autorità preposte alla tutela ambientale 90 giorni per provvedere, la censura è infondata, a prescindere dal problema della applicabilità di tale norma ai fatti di causa.

Inoltre, la illegittimità deriverebbe dall’inosservanza del termine perentorio di 45 giorni per esprimere il parere vincolante sull’autorizzazione paesaggistica, previsto dal comma 8 dell’art. 146 d.lgs. 42/04.

Per tale verso, la censura è fondata, nei limiti che seguono.

Anche se il dies a quo del termine di 45 giorni decorresse non dal 9/11/18, ma, come sostiene parte resistente, dal 5/12/18, ovvero da quando gli atti (inizialmente inviati per errore alla direzione generale archeologia del MIBACT) furono girati al parco archeologico, in ogni caso tale termine sarebbe decorso prima del 28 gennaio 2019, quando fu rilasciato il parere negativo.

Ciò, per pacifica giurisprudenza, non ne determina l’illegittimità, ma lo degrada a parere non vincolante, di cui l’amministrazione regionale deve tener conto nella propria autonoma valutazione circa il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (da ultimo, Tar Napoli, n. 5317/18).

Nel caso di specie, invece, la Regione Lazio si è limitata a recepire il parere della soprintendenza, sulla base dell’erroneo presupposto che esso fosse vincolante, senza valutare con autonomia la fattispecie, anche alla luce del precedente parere favorevole che tale ente aveva espresso sul progetto.

Tale circostanza rende fondato il secondo motivo di ricorso (difetto di motivazione) ed il terzo, nella parte in cui si è lamentata una contraddittorietà, non superata da idonea motivazione, circa l’atto impugnato e la proposta che lo aveva preceduto.

7. L’atto impugnato va perciò annullato.

La Regione provvederà a riesaminare la fattispecie, tenendo conto del parere della soprintendenza e adottando un autonomo atto di autorizzazione, o di diniego.

In particolare, la Regione potrà concedere l’autorizzazione paesaggistica, ove non concordi con quanto apprezzato dal parco archeologico in relazione alla continuità tra sottozona TPa.32 e opera da realizzare, alla luce della morfologia ambientale.

Le spese restano compensate, alla luce della complessità della fattispecie.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

accoglie il ricorso.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2020 con l’intervento dei magistrati:

Donatella Scala, Presidente

Marco Bignami, Consigliere, Estensore

Roberta Mazzulla, Referendario

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