25/06/2017 – Il ‘nuovo’ accesso civico ‘generalizzato’

DI ANNA PORPORATO

 Il ‘nuovo’ accesso civico ‘generalizzato’

 

Nel percorso normativo della trasparenza è possibile individuare diverse tappe evolutive, ciascuna delle quali caratterizzata dal diverso rapporto tra la trasparenza e la forma di realizzazione della medesima: accesso a dati, documenti ed informazioni oppure pubblicità di dati, documenti ed informazioni. La prima tappa è rappresentata dall’approvazione della l. 7 agosto 1990, n. 241, la quale sceglie quale mezzo per realizzare la trasparenza il diritto di accesso ai documenti amministrativi. Tale diritto si caratterizza come strumento di tutela individuale di situazioni soggettive e non come strumento di controllo sociale dell’operato della pubblica amministrazione. La seconda tappa del cammino della trasparenza coincide con le modifiche alla l. 241 del 1990 apportate dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, la quale modifica in senso restrittivo la disposizione dell’art. 22, comma 1, della l. 241 del 1990. In base alla novellata disposizione dell’art. 22, comma 1, lett. b) sono considerati “interessati” «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è chiesto l’accesso». L’approvazione della l. 4 marzo 2009, n. 15 segna l’inizio della terza tappa del cammino normativo della trasparenza. Con tale legge il Parlamento aveva delegato il Governo ad adottare misure di riforma del lavoro pubblico, indicando, tra l’altro, quali obiettivi da raggiungere, la garanzia della trasparenza dell’organizzazione del lavoro e l’introduzione di sistemi di valutazione del personale e delle strutture, idonei a consentire anche agli organi politici di vertice l’accesso diretto alle informazioni relative alla valutazione del personale dipendente. Il Governo con il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (c.d. “riforma Brunetta”) ha dato attuazione alla delega legislativa, scegliendo la trasparenza quale strumento per valutare e misurare la performance ed i risultati dell’amministrazione, realizzando «forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità» (art. 11, comma 1, del d.lgs. 150 del 2009). Con il decreto Brunetta mutano sia l’oggetto della trasparenza che gli strumenti necessari alla sua realizzazione. Oggetto della trasparenza non sono più il procedimento, il provvedimento ed i documenti amministrativi, ma le “informazioni” relative all’organizzazione, alla gestione e all’utilizzo delle risorse finanziarie, strumentali ed umane. Con riguardo alle modalità di accesso alle informazioni, non si fa ricorso al diritto di accesso ma alla previsione di obblighi di pubblicazione nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni di tutte le informazioni concernenti l’attività, l’organizzazione e l’impiego delle risorse. Il mutamento della finalità della trasparenza che, da mezzo per garantire la tutela delle situazioni giuridiche soggettive diviene strumento per consentire l’esercizio di un controllo diffuso dell’operato dell’amministrazione pubblica, spiega il mutamento sia dell’oggetto della trasparenza che degli strumenti per la sua realizzazione: non più i documenti ma le informazioni, non più l’accesso ma la pubblicazione delle informazioni. La quarta tappa dell’evoluzione normativa della trasparenza si compie con l’attuazione, ad opera della l. 6 novembre 2012, n. 190 che reca “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, dell’art. 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione e con la contestuale e coerente attuazione nel nostro paese di politiche pubbliche di controllo e di prevenzione della corruzione. Tali politiche fanno ricorso, in larga misura, a forme di pubblicità delle informazioni riguardanti l’attività amministrativa in generale ed alcuni settori specifici della stessa in particolare. La l. 190 del 2012 ha previsto all’art. 1, commi 35 e 36, una delega legislativa per il riordino degli obblighi di pubblicità, di trasparenza e di diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. In attuazione di tale delega è stato emanato dal Governo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, c.d. Codice della trasparenza. Tale decreto, proprio attraverso una serie ampia di obblighi di pubblicità, ha inteso realizzare forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche (art. 1 del d.lgs. 33 del 2013). L’art. 3, comma 1, del d.lgs. 33 del 2013, nella formulazione originaria antecedente le modifiche apportate dalla l. 7 agosto 2015, n. 124, attuativa della riforma Madia, stabiliva che «tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente» dovevano essere considerati «pubblici» e precisava che doveva essere riconosciuto a chiunque il diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’art 7 del medesimo decreto. La trasparenza veniva realizzata attraverso la pubblicità con l’abbandono dello strumento dell’accesso e diveniva strumento cardine per la realizzazione dell’open government. Accanto ad una forma di pubblicità obbligatoria (art. 3 del d.lgs. 33 del 2013), il Codice della trasparenza prevedeva una forma di pubblicità facoltativa. In tal senso, l’art. 4 del citato Codice, articolo abrogato dal d.lgs. 97 del 2016, stabiliva che le amministrazioni potessero disporre la pubblicazione di documenti, atti o informazioni in ordine ai quali non sussistesse un obbligo di pubblicazione. Non poteva, quindi, realizzarsi, alla luce della disciplina introdotta dal d.lgs. 33 del 2013, una trasparenza come accessibilità totale oltre l’ambito dell’obbligo di pubblicazione, ma soltanto la possibilità di accesso consentita dalla l. 241 del 1990… (segue)

 

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