23/09/2017 – Scioglimento consiglio comunale per mafia: il CdS sui presupposti applicativi

Scioglimento consiglio comunale per mafia: il CdS sui presupposti applicativi

 

di Redazione

Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 3170 del 28 giugno 2017, si è pronunciato sui presupposti applicativi individuati dal decreto del prefetto che ha dichiarato lo scioglimento di un consiglio comunale.

I giudici di Palazzo Spada, confermando le statuizioni della sentenza del giudice di prime cure, si sono espressi in questi termini: “Dal complesso degli elementi sin qui esaminati, conclusivamente, non può che trarsi la legittima, e doverosa, conclusione che lo scioglimento del Consiglio comunale di -OMISSIS- sia conforme al paradigma legislativo di cui all’art. 143, comma 1, del d. lgs. n. 267 del 2000, nel testo novellato dall’art. 2, comma 30, della l. n. 94 del 2009, laddove richiede che detta situazione sia resa significativa da elementi «concreti, univoci e rilevanti», che assumano valenza tale da determinare «un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali», aspetto, quest’ultimo, che riveste carattere essenziale per l’adozione della misura di scioglimento dell’organo rappresentativo della comunità locale”.

Inoltre, secondo il Collegio, gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono caratterizzarsi per concretezza ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per univocità, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per rilevanza, che si connota per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale.

E’ stato chiarito che “le vicende che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un Consiglio comunale, devono essere però considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso“.

Infine, “assumono rilievo anche situazioni non traducibili in episodici addebiti personali, ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione o di una pericolosa contiguità degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 28 settembre 2015, n. 4529)”.

Si riporta di seguito il testo della sentenza.

***

Pubblicato il 28/06/2017

N. 03170/2017 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6434 del 2016, proposto da:

-OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato Federico Tedeschini e dall’Avvocato Lorenzo Gatto, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, n. 7;

contro

Presidenza della Repubblica, in persona del Presidente della Repubblica pro tempore, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria, in persona del Prefetto pro tempore, tutti rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

-OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Gaetano Callipo, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Alessandro Fusco in Roma, via Crescenzio, n. 58;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sez. I, n. 6520 del 7 giugno 2016, resa tra le parti, concernente lo scioglimento del Consiglio comunale di -OMISSIS- per la durata di 18 mesi con la conseguente nomina di una commissione straordinaria per la gestione provvisoria dell’ente

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di Ministero dell’Interno, dell’U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria e del -OMISSIS-;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per gli odierni appellanti l’Avvocato Daniele Granara su delega dichiarata dell’Avvocato Federico Tedeschini, per il -OMISSIS- l’Avvocato Gaetano Callipo e per le Amministrazioni appellate l’Avvocato dello Stato Attilio Barbieri;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Gli odierni appellanti, -OMISSIS-, quale sindaco del -OMISSIS- (RC) eletto nel maggio 2011, e -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, nelle rispettive qualità di consiglieri e/o assessori comunali, hanno impugnato avanti al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, il decreto del Presidente della Repubblica del 14 aprile 2015, con il quale è stato sciolto, ai sensi dell’art. 143 del d. lgs. n. 267 del 2000, il Consiglio comunale e la gestione dell’ente locale è stata affidata per un periodo di diciotto mesi ad una Commissione straordinaria, in ragione della ritenuta sussistenza di forme di ingerenza della criminalità organizzata, tali da determinare una situazione di grave inquinamento e deterioramento, con la compromissione del buon andamento e dell’imparzialità dell’Amministrazione.

1.1. I ricorrenti, deducendo la violazione dell’art. 143 del d. lgs. n. 267 del 2000 e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria sotto molteplici profili, hanno chiesto l’annullamento del decreto impugnato, in una con tutti gli atti, prodromici, della complessa istruttoria svolta per accertare il condizionamento mafioso nel -OMISSIS-.

1.2. Nel primo grado del giudizio si sono costituite la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, l’U.T.G. – Prefettura di Catanzaro e il -OMISSIS- per resistere al ricorso.

2. Il T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, dopo aver disposto incombenti istruttori, con la sentenza n. 6520 del 7 giugno 2016, ha respinto il ricorso e ha condannato i ricorrenti a rifondere le spese di lite nei confronti delle Amministrazioni statali e di quella comunale, separatamente costituitesi.

2.1. Avverso tale sentenza hanno proposto appello i ricorrenti di prime cure, articolando due distinti motivi che qui di seguito saranno esaminati, e ne hanno chiesto, previa sospensione, la integrale riforma, con il conseguente accoglimento del ricorso proposto in primo grado.

2.2. Si sono costituite le Amministrazioni statali e il -OMISSIS- con distinti atti e memorie per resistere al gravame, di cui hanno chiesto la reiezione.

2.3. Nella camera di consiglio del 29 settembre 2016, fissata per l’esame della domanda sospensiva formulata dagli appellanti, il Collegio, sull’accordo delle parti, ha rinviato la causa all’udienza pubblica per il sollecito esame del merito.

2.4. Infine, nell’udienza pubblica del 25 maggio 2017, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

3. L’appello di -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- è infondato e deve essere respinto.

3.1. Il provvedimento che ha sciolto il Consiglio comunale di -OMISSIS- (RC) trae origine, anzitutto, dalle risultanze dell’indagine Arca e, soprattutto, da quella Xenopolis, che da ultimo ha messo in luce i consolidati rapporti, anche di cointeresse economico, tra il sindaco, eletto nel maggio 2011, e -OMISSIS-, imprenditore edile, ritenuto elemento di spicco della cosca -OMISSIS-, di cui farebbe parte a pieno titolo.

3.2. Dalle vaste e complesse risultanze dell’inchiesta ha preso le mosse anche l’istruttoria avviata dalla Prefettura di Reggio Calabria che, sulla base degli accertamenti svolti dalla Commissione d’accesso, che hanno a loro volta disvelato un complesso intreccio di parentele, conoscenze e cointeressenze tra amministratori locali e soggetti – in particolar modo imprenditori – legati al mondo affaristico della criminalità organizzata, è pervenuta infine alla proposta di scioglimento del Consigliocomunale per infiltrazione mafiosa, fatta propria dalla stessa Prefettura, dal Ministero dell’Interno e, infine, approvata dal Consiglio dei Ministri e recepita nel decreto del Presidente della Repubblica impugnato in primo grado.

3.3. La stessa Commissione d’indagine non ha mancato di rilevare, all’inizio della propria analisi, che il territorio di -OMISSIS- sia fortemente condizionato dalla presenza, sul versante tirrenico, delle cosche mafiose e, in particolar modo, dalla consorteria degli -OMISSIS- che, con una fittizia alleanza con le tradizionali famiglie del posto (in particolare i -OMISSIS-), avrebbe imposto la propria egemonia criminale e ha rilevato, altresì, che nel Comune negli ultimi anni si sono verificati numerosi attentati incendiari, danneggiamenti mediante esplosione di colpi di arma da fuoco, rapine, episodi tutti che hanno destato un elevato allarme sociale nella piccola comunità cittadina (v. p. 9 e ss. della relazione della Commissione d’indagine).

3.3. In questo contesto il primo giudice ha ritenuto, a conclusione della propria sintetica disamina degli elementi istruttori raccolti dalla stessa Commissione d’indagine e dalla Prefettura di Reggio Calabria, di potere affermare che il quadro indiziario complessivamente emerso dagli accertamenti istruttori dimostrerebbe «in modo obiettivo l’esistenza di un condizionamento di tipo ambientale derivante dall’accertata presenza di pericolose cosche mafiose, in grado di compromettere la libera determinazione degli organi elettivi» (p. 9 della sentenza impugnata).

3.4. Tale conclusione, censurata come apodittica e immotivata, è sottoposta a serrata critica dagli appellanti con i due motivi, che ora il Collegio passa ad esaminare.

4. Con il primo motivo (pp. 7-14 del ricorso) gli odierni appellanti lamentano che il T.A.R. per il Lazio, con argomentazioni generiche e superficiali che non si sono mai addentrate nella disamina delle singole particolareggiate questioni sollevate dagli appellanti, abbia affermato la continua ingerenza della criminalità organizzata nel -OMISSIS- e il condizionamento dei suoi organi elettivi nonché il cattivo funzionamento dei sui servizi ad opera della ‘ndrangheta in base, sostanzialmente, ad un semplice teorema privo di riscontri fattuali e sfornito di elementi indiziari che comprovino, con certezza, una fitta trama di relazioni e di frequentazioni equivoche nonché una gestione politico-amministrativa poco trasparente dell’ente.

4.1. Il primo giudice, più in particolare, avrebbe poi trascurato due elementi fondamentali, dedotti in primo grado, e di per sé bastevoli a spazzar via il teorema proposto dall’Amministrazione e recepito, in modo asseritamente acritico e immotivato, dalla sentenza qui impugnata e cioè:

a) la sentenza n. 1155 del 25 luglio 2016 del Tribunale di Palmi, sez. pen., che ha assolto -OMISSIS- da ogni capo di imputazione e, quindi, anche dal contestato delitto di associazione delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.), facendo venire meno l’architrave motivazionale dell’intero provvedimento – i rapporti tra il sindaco e il medesimo -OMISSIS-, ritenuto soggetto “intraneo” alla cosca -OMISSIS- – e con esso anche l’unico e pur remoto elemento di collegamento dell’amministrazione comunale con il mondo della criminalità organizzata;

b) l’ordinanza del 27 aprile 2016 del Tribunale di Reggio Calabria, I sez. civ., che gli appellanti assumono essere passata in giudicato, la quale ha respinto la domanda di incandidabilità degli odierni appellanti, proposta dal Ministero dell’Interno ai sensi dell’art. 143, comma 11, del d. lgs. n. 267 del 2000, e ha quindi escluso che gli atti e i fatti, posti a base del qui contestato scioglimento del Consiglio comunale, potessero ascriversi ad una ipotesi di infiltrazione o, comunque, di contiguità mafiosa.

4.2. Entrambi i rilievi non meritano accoglimento.

4.3. Sia la relazione della Commissione d’indagine che quella prefettizia si fondano su un compendio di elementi, atti e fatti ben più vasto dei fatti e degli atti esaminati nel giudizio penale, peraltro successivo all’emissione del provvedimento qui contestato, e definito, allo stato, da una sentenza di assoluzione che non risulta – né è stato debitamente provato dagli appellanti a fronte del puntuale rilievo dell’Avvocatura Generale dello Stato (p. 20 della memoria difensiva) – essere divenuta irrevocabile e, quindi, nemmeno valutabile come accertamento giudiziale insuperabilmente ostativo e in grado di contraddire, con l’efficacia del giudicato, le risultanze investigative, plurime e complesse, raccolte nell’inchiesta Xenopolis e ampiamente valorizzate dall’autorità amministrativa.

4.4. L’esito successivo e ancor non definitivo del giudizio penale, inerente a fatti che – come ha evidenziato correttamente il T.A.R. per il Lazio – non intersecano sostanzialmente e non influenzano quelli valorizzati dal Prefetto se non in via indiretta (per quanto attiene, cioè, al presupposto, che sta sullo sfondo, della presunta “mafiosità” di -OMISSIS-), non può dunque costituire ragione sufficiente per inficiare, peraltro ex post, il grave quadro indiziario posto a base del disposto scioglimento.

4.5. Tale quadro emerge nitidamente, come si dirà, dalla relazione della Commissione d’accesso, lunga ben 345 pagine, che riporta una serie di fatti, elementi, valutazioni e anche ampi stralci di intercettazioni telefoniche, dai quali emergono chiaramente i contatti, ripetuti e intensi, degli amministratori comunali – a cominciare dal sindaco – con soggetti “controindicati”.

4.6. Un analogo ragionamento deve svolgersi per l’esito, comunque sopravvenuto agli atti qui impugnati, del giudizio civile relativo alla incandidabilità degli odierni appellanti, ininfluente ai fini del decidere per la ragione che, anche ammettendo – con il Tribunale di Catanzaro – che questi siano ritenuti candidabili per essere insussistenti le responsabilità loro ascritte, non per questo verrebbe meno automaticamente, anche in questo caso ex post, la gravità del quadro indiziario posto a base del provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale che, come in questo caso, si fondi su una pluralità differenziata e circostanziata di elementi indiziari anche diversi da quelli esaminati nel giudizio di cui all’art. 143, comma 11, del d. lgs. n. 267 del 2000.

4.6. Le valutazioni successive del giudice civile in tale giudizio, dunque, non possono incidere in modo determinante, nemmeno ex post, sul diverso accertamento al quale il giudice amministrativo è chiamato in ordine alla legittimità dello scioglimento del Consiglio comunale.

4.7. E ciò senza dire, comunque, che, come ha puntualmente eccepito l’Avvocatura Generale dello Stato (p. 22 della memoria difensiva), che non risulta che il provvedimento in questione sia passato in giudicato, diversamente da quanto affermano gli appellanti che, nel produrlo, non hanno affatto provato tale circostanza.

4.8. Il motivo, anche per le ragioni qui esposte, deve essere pertanto disatteso.

5. Con il secondo motivo (pp. 14-28 del ricorso) gli appellanti, sviluppando un thema decidendum già contenuto in nuce nel primo motivo, ripropongono le censure sollevate in ordine agli specifici elementi posti a base dei provvedimenti impugnati in primo grado, che essi lamentano non essere state esaminate in concreto e singulatim dal T.A.R. per il Lazio, censure che, per chiarezza e completezza di analisi, il Collegio passa ora ad esaminare una per una, con valutazione, però, necessariamente improntata all’obbligo di sintesi prescritto dal codice di rito (art. 3, comma 2, c.p.a.).

1) Sulla insufficiente motivazione della sentenza impugnata (pp. 14-15 del ricorso).

5.1.1. Gli odierni appellanti contestano, anzitutto e infatti, la carenza motivazionale della sentenza impugnata, che non avrebbe affatto scrutinato tutte le circostanze addotte e tutti i rilievi mossi dai ricorrenti in prime cure, limitandosi ad affermare, laconicamente, la legittimità dei provvedimenti impugnati.

5.1.2. La censura, anche se astrattamente condivisibile nella misura in cui stigmatizza che la sentenza impugnata non ha svolto una compiuta disamina dei singoli elementi contestati dai ricorrenti, in concreto non approda tuttavia ad un esito diverso da quello tratteggiato dal primo giudice che, seppure con valutazione eccessivamente sintetica, è infine pervenuto, come meglio si dirà esaminando gli specifici profili che seguiranno, alla pur condivisibile conclusione, fondata sulla relazione stilata dalla Commissione d’indagine, che l’influenza della criminalità di stampo mafioso fosse sussistente.

5.1.3. Occorre però, per suffragare tale conclusione alla quale il T.A.R. è pervenuto in via sintetica senza la doverosa previa analisi dei singoli elementi analizzati dalla Commissione, muovere proprio dalla disamina di questi elementi, che qui di seguito il Collegio effettuerà seguendo proprio l’ordine delle questioni esposto dagli appellanti.

2) Sul contesto territoriale sotto il profilo dell’ordine pubblico e della sicurezza (p. 15 del ricorso).

5.2.1. Gli appellanti contestano poi, in secondo luogo, che, a prescindere dall’elencazione di quelli che sono stati gli atti di danneggiamento subiti in primis dal sindaco, -OMISSIS-, e secondariamente dagli altri assessori e dipendenti comunali, nulla la relazione della Commissione d’indagine e quella prefettizia avrebbero chiarito in ordine alla presunta costa operante in -OMISSIS-.

5.2.2. La relazione della Commissione, alla quale si è già fatto cenno, offrirebbe in altri termini un quadro suggestivo, ma inconcludente delle infiltrazioni mafiose della zona, con un vago e non circostanziato riferimento alle cosche -OMISSIS-, e avrebbe occultato il dato, certamente importante, relativo al fatto che l’operazione denominata Xenopolis, che ha coinvolto -OMISSIS-, è successiva agli incontri avvenuti con -OMISSIS-, «quasi si volesse rimproverare all’odierno appellante di non essere munito della dote della preveggenza» (p. 35 del ricorso), quando lo stesso -OMISSIS-, sino alla data del suo arresto, era scevro da precedenti penali afferenti al suo presunto coinvolgimento in organizzazioni di stampo mafioso.

5.2.3. Anche il riferimento alla cosca -OMISSIS- di Sinopoli sarebbe del tutto inconcludente, perché non viene indicato alcuna commessa pubblica concessa anche indirettamente, o per interposta persona, agli -OMISSIS-.

5.2.4. La censura è priva di fondamento.

5.2.5. La relazione prefettizia, sulla base della copiosa documentazione raccolta dalla Commissione d’indagine (la cui relazione, giova di nuovo ricordarlo, è lunga ben 345 pagine), ha evidenziato un contesto di profonda e capillare infiltrazione mafiosa nel territorio di -OMISSIS- e, in particolare, ha sottolineato come l’intera zona abbia subito la colonizzazione della criminalità sinopolese, come è emerso dalle operazioni di polizia giudiziaria Arca e Xenopolis.

5.2.6. L’operazione Arca, in particolare, ha posto in luce come la cosca degli -OMISSIS- avesse preso il sopravvento nella zona di -OMISSIS- attraverso la fittizia alleanza con le cosche dei -OMISSIS- e, di conseguenza, con le altre famiglie del luogo, -OMISSIS-, in realtà imponendo il proprio predominio sull’intera zona.

5.2.7. Il rilievo della relazione non ha un sapore meramente cronachistico o impressionistico, ma prelude alla ben più rilevante constatazione che l’operazione Xenopolis, nel 2013, ha ulteriormente posto in luce l’alleanza tra la famiglia -OMISSIS- e -OMISSIS-, nato a -OMISSIS-, imprenditore edile e ritenuto essere sulla base delle acquisizioni investigative, al momento in cui sono stati adottati i provvedimenti qui contestati, soggetto intraneo alla stessa cosca -OMISSIS-, con forti interessi anche in -OMISSIS-.

5.2.8. La relazione prefettizia, sulla scorta di quella stilata dalla Commissione d’indagine, elenca poi una lunga e impressionate sequela di attentati incendiari ai danni di autovetture, rapine, danneggiamenti medianti esplosione di colpi di arma da fuoco, furti in abitazione, i quali corroborano, laddove ve ne fosse bisogno, le risultanze delle investigazioni penali, conducenti alla sicura conclusione di una forte, invasiva e minacciosa presenza delle cosche criminali a -OMISSIS-.

5.2.9. Questo quadro, nitido e univoco, non è affatto scalfito dalle contestazioni sollevate dagli appellanti, del tutto generiche e, comunque, ininfluenti, attesa la considerazione che, se anche diversi amministratori locali abbiano subito danneggiamenti, ciò non significa che il Comune, per diverse ragioni, dovesse necessariamente subire anch’esso la pressione e l’influenza delle organizzazioni mafiose ben radicate nel territorio.

5.2.10. Quanto ai rapporti tra il sindaco e -OMISSIS-, poi, la censura secondo cui quest’ultimo fosse in apparenza immune da qualsivoglia sospetto di infiltrazione mafiosa fino al momento dell’arresto è del tutto sterile e formalistica, perché, se è vero che il sindaco non aveva la dote della preveggenza, nemmeno però, per la sua profonda conoscenza delle dinamiche locali e i suoi rapporti con -OMISSIS-, può ragionevolmente invocare il beneficio dell’ignoranza rispetto a contesti, situazioni e persone a lui ben note, anche prescindendo dalla formale incensuratezza del -OMISSIS- o dalla conclamata assenza della sua “mafiosità” fino all’arresto.

5.2.11. La relazione della Commissione d’indagine, del resto, contiene ampi stralci delle conversazioni tra -OMISSIS- e il sindaco (v., per esempio, pp. 249-286), le quali rivelano un rapporto di consolidata conoscenza, di radicata collaborazione fondata su una comunanza di interessi economici nel territorio di -OMISSIS-.

5.2.12. Nemmeno risulta decisivo, infine, il rilievo che gli -OMISSIS- non si siano aggiudicati alcun appalto nel Comune: infatti, come ora si dirà, le cosche mafiose del luogo potevano ed hanno potuto ottenere diversi e significativi vantaggi dall’amministrazione comunale per mezzo di uomini ed imprese a loro contigui o legati.

3) Sugli organi comunali e sull’apparato burocratico (pp. 15-20 del ricorso).

5.3.1. Gli appellanti, con una serie di specifici rilievi, contestano singolarmente le valutazioni effettuate dalla relazione prefettizia in ordine alle posizioni del sindaco, -OMISSIS-, e del consigliere comunale, -OMISSIS-, e degli assessori -OMISSIS- e -OMISSIS-, stigmatizzando singole imprecisioni, inesattezze, approssimazioni ed errori del corposo documento posto a base dell’atto impugnato.

5.3.2. Anche tale censura, pure nella sua minuziosa analiticità, non merita accoglimento.

5.3.3. Quanto al sindaco, anzitutto, la relazione prefettizia, con un rilievo che è rimasto incontestato dagli stessi appellanti, ha evidenziato come, sulla base degli elementi investigativi raccolti nell’operazione Xenopolis, questi rappresentasse un sicuro punto di riferimento all’interno del Comune per -OMISSIS-, il quale, come si è appena ricordato, interloquiva con lo stesso -OMISSIS- per tutte le problematiche connesse alla sua attività lavorativa nel territorio -OMISSIS-.

5.3.4. Ancora dalle intercettazioni disposte nel corso dell’operazione Xenopolis è emerso come gli interessi di -OMISSIS- fossero estremamente diversificati sul territorio e come questi, per il territorio di -OMISSIS-, si avvalesse dell’apporto collaborativo di -OMISSIS-, al tempo assessore alle attività produttive e politiche giovanili del Comune.

5.3.5. Si tratta di legami stretti e consolidati, innegabili nel loro significato oggettivo e laddove unitariamente letti e interpretati, anche al di là di eventuali imprecisioni, contenute nella relazione, circa la esatta natura dei singoli rapporti intercorsi di collaborazione economica intercorsi tra le parti.

5.3.6. Egualmente è a dirsi con riferimento alla posizione del consigliere comunale, -OMISSIS-: si tratta del figlio di -OMISSIS-, detto “-OMISSIS-”, ritenuto vicino a soggetti legati a cosche mafiose, e di -OMISSIS-, socia della -OMISSIS-, società che, prima del suo inserimento, era amministrata da -OMISSIS-, elemento di spicco della cosca “-OMISSIS-” di -OMISSIS-.

5.3.7. Quest’ultimo elemento, di sicuro rilievo (v. p. 10, nt. 18 della relazione prefettizia), non è stato affatto considerato dagli odierni appellanti, che ne hanno così taciuto il pregnante significato indiziario.

5.3.9. Anche l’assessore -OMISSIS- viene menzionato nella relazione prefettizia quale elemento ritenuto di spicco della criminalità -OMISSIS-, in quanto addirittura presunto aderente alla cosca -OMISSIS-, nonché gravato da numerosi precedenti di polizia anche per favoreggiamento personale.

5.3.10. La relazione cita poi le posizioni di -OMISSIS-, consigliere di maggioranza, che annovera frequentazioni con soggetti legati alla malavita; di -OMISSIS-, anch’egli consigliere di maggioranza, indagato per il delitto di cui all’art. 314 c.p. e tratto in arresto insieme con il comandante dei vigili, -OMISSIS-, con l’accusa di avere posto in essere atti volti ad ottenere indebitamente dal Comune la somma di € 17.000,00; -OMISSIS-, consigliere di maggioranza nonché assessore ai Lavori pubblici, controllato con soggetti indagati per svariati reati (rissa, abuso d’ufficio, malversazione ai danni dello Stato, etc.); di diversi dipendenti comunali, tra i quali -OMISSIS-, il cui marito è stato tratto in arresto per l’accusa, tra l’altro, di associazione di stampo mafioso, e -OMISSIS-, indagato per omissione in atti d’ufficio ed abuso d’ufficio, e coniugato con -OMISSIS-, sorella di -OMISSIS-, arrestato nell’ambito dell’operazione Minotauro in quanto indagato per associazione di stampo mafioso, e nipote di -OMISSIS-, detto anche “-OMISSIS-”, elemento di spicco della cosca -OMISSIS-.

4) Sulla gestione del servizio per la raccolta dei rifiuti solidi urbani (pp. 20-21 del ricorso).

5.4.1. Gli appellanti contestano fermamente come la Commissione d’indagine sia pervenuta a conclusioni affrettate in ordine all’affidamento della gestione del servizio per la raccolta dei rifiuti solidi urbani a -OMISSIS-, in seguito alla dichiarazione, da parte del titolare della -OMISSIS-, di non poter proseguire nell’appalto, ed osservano che il servizio, attualmente, è gestito da altra società, -OMISSIS-

5.4.2. Il motivo è destituito di fondamento.

5.4.3. La Commissione d’indagine ha anzitutto osservato, nella sua relazione (p. 78), che «il servizio raccolta dei rifiuti viene ulteriormente parcellizzato, a seconda che si tratti di raccolta rifiuti porta a porta – all’interno della quale per esempio si trovano diverse ditte incaricate ora della semplice «raccolta differenziata» ora della «raccolta differenziata porta a porta» – e di raccolta indifferenziata, anche in questo caso con l’intervento di diverse ditte che si accavallano nell’espletamento dei medesimi servizi».

5.4.4. Di tale anomala e ingiustificata parcellizzazione del servizio si è giovata -OMISSIS-, anche per effetto dell’insistito e indebito ricorso alla proroga da parte del Comune, risultando -OMISSIS- società a forte rischio di infiltrazione mafiosa e, in quanto tale, colpita da informazione antimafia ad effetto interdittivo, confermata, da ultimo, proprio da questo Consiglio di Stato con la sentenza di questa sez. III, 10 ottobre 2016, n. 3566, sotto l’influenza dominante di -OMISSIS-, già condannato per omicidio e ritenuto fiancheggiatore della cosca dei -OMISSIS- di Palmi e della cosca -OMISSIS- di Seminara.

5.4.5. La relazione prefettizia ha inoltre evidenziato come, proprio dall’analisi effettuata dalla Commissione d’indagine in ordine alla gestione del servizio per la raccolta dei rifiuti, emerga la preoccupante coincidenza degli episodi intimidatori anche gravi, che hanno riguardato due imprese impegnate per la raccolta dei rifiuti, e in particolare nei confronti di -OMISSIS-, alla quale sono stati incendiati gli autocompattatori, in quanto verosimilmente “rea”, quale ditta esterna, di essersi intromessa nel redditizio settore degli appalti comunali (v. p. 17 della relazione prefettizia e, ivi, nt. 46 nonché le pp. 111-112 della relazione della Commissione d’indagine).

5.4.6. I rilievi svolti dagli appellanti, a fronte del complesso di tali elementi in sintesi appena ricordato, non sono idonei a scalfire il quadro di grave alterazione delle funzioni amministrative, per la verosimile influenza delle cosce mafiose interessate a tale lucroso nevralgico settore, e proprio emblematicamente rappresentato dalla anomala gestione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani da parte del Comune.

5) Sui lavori svolti da -OMISSIS- (pp. 21-22 del ricorso).

5.5.1. Gli appellanti contestano, ancora, che possa assurgere ad indizio di compromissione mafiosa per l’ente comunalel’affidamento dei lavori da parte dell’amministrazione comunale ad -OMISSIS-, munita di certificazione antimafia e addirittura iscritta nella c.d. white list della Prefettura di Reggio Calabria.

5.5.2. Anche in questo caso, tuttavia, gli appellanti trascurano il dato sostanziale, che essi non possono ignorare quali amministratori locali, che -OMISSIS-, affidataria di numerosissimi lavori (manutenzione ordinaria della rete fognaria comunale, pavimentazione di alcune strade interne, lavori di pulizia delle condotte fognarie del centro abitato e delle frazioni del territorio comunale), non è aliena da logiche malavitose perché sarebbe, di fatto, controllata dal più volte menzionato -OMISSIS-, elemento di vertice della cosca -OMISSIS- proprio operante in -OMISSIS- e detto “-OMISSIS-”.

5.5.3. L’aggiudicazione di numerose commesse da parte di tale società, per quanto al momento indenne da informative antimafia a carattere interdittivo, appare circostanza di sicuro rilievo indiziario, che gli organismi comunali, ben consapevoli delle dinamiche locali, non potevano né possono fingere di ignorare a cagione della documentazione liberatoria di cui si avvale la società.

6) Sui pagamenti effettuati in favore di -OMISSIS- (pp. 22-23 del ricorso).

5.6.1. Gli appellanti, in riferimento ai lavori svolti da -OMISSIS-, lamentano che la Commissione d’indagine avrebbe loro imputato una attività di cui non sono responsabili, in quanto la determinazione n. 308 del 14 settembre 2010 è stata adottata dalla precedente amministrazione comunale e rilevano che, evidentemente, al momento della gara la certificazione antimafia non era presente e la successiva amministrazione non avrebbe avuto l’onere di richiedere la produzione di tale certificazione, evidentemente già prodotta alla precedente amministrazione.

5.6.2. Il motivo è già intrinsecamente contraddittorio nella sua formulazione perché, se gli stessi appellanti affermano che la documentazione antimafia non era presente al momento della gara e della stipula del contratto (che essi infatti producono a comprova di ciò), non è dato capire come essi possano affermare, invece, che tale documentazione era stata evidentemente già prodotta alla precedente amministrazione.

5.6.3. Non rinvenendo tale documentazione, obbligatoria per legge, l’amministrazione comunale subentrante avrebbe avuto, anzitutto, il dovere di richiederla, come invece non ha fatto supponendo erroneamente che essa fosse stata acquisita.

5.6.4. Il Comune si è invece affrettato ad eseguire i pagamenti delle somme nei confronti di una società colpita da informativa antimafia fin dal 23 maggio 2011, peraltro con provvedimenti affetti da irregolarità contabili molto gravi, ancor prima, in particolare, che la determina n. 146 del 16 maggio 2011 – la quale aveva approvato una perizia di variante essa stessa di dubbia legittimità (non essendo i motivi giustificativi di questa tra quelli previsti dall’art. 132 del d. lgs. n. 163 del 2006) – fosse munita del visto di regolarità contabile e fosse divenuta esecutiva e ancor prima, addirittura, che fosse redatto lo stato finale dei lavori, effettuato solo il 13 giugno 2001 (v. pp. 150-151 e p. 156 della relazione della Commissione d’indagine).

5.6.5. Si tratta di condotte assai gravi, soprattutto se si considera che di esse ha beneficiato un’impresa colpita da informativa antimafia che l’amministrazione comunale subentrante non si è premurata nemmeno di acquisire.

7) Sui pagamenti effettuati in favore della ditta -OMISSIS- (pp. 23-26 del ricorso).

5.7.1. Gli appellanti, anche in relazione alla vicenda del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani affidato alla ditta -OMISSIS-, contestano l’esistenza delle gravi irregolarità, che assumono a torto essere state loro imputate dalla Commissione d’indagine, e ne giustificano l’affidamento alla luce della grave emergenza dei rifiuti, acclarata, peraltro, con la deliberazione n. 218 del 31 dicembre 2012.

5.7.2. Essi negano recisamente che le fatture emesse dalla ditta -OMISSIS-, in mancanza delle ore di lavoro svolte richieste dal tariffario regionale, possano essere imputate, mediante uno stratagemma contabile, al corrispettivo per l’utilizzo di un terreno adibito, in base ad un contratto di comodato d’uso gratuito, al deposito momentaneo della parte secca dei rifiuti ed ingombranti.

5.7.3. La Commissione d’indagine avrebbe desunto erroneamente da una mera dimenticanza – la mancata indicazione delle ore in fattura – la conclusione che il pagamento delle fatture non rispondesse ad un lavoro realmente effettuato, ma dissimulasse, invece, il pagamento per la concessione di un suolo dato in comodato d’uso gratuito dalla stessa -OMISSIS-, per il parcheggio dei cassoni utilizzati per la raccolta dei rifiuti solidi urbani allorché la Provincia di Reggio Calabria «andò in tilt» (p. 24 del ricorso) per la raccolta in questione a causa della chiusura delle discariche non solo provinciali, ma finanche regionali, dimenticando che la stipula del contratto di comodato è successiva alla raccolta dei rifiuti, cristallizzatasi al 31 dicembre 2012, allorché, quindi, le fatture avrebbero tutte già trovato una loro giustificazione fattuale nella raccolta già espletata.

5.7.4. Gli appellanti poi contestano, nella parte conclusiva del motivo in esame (pp. 25-26 del ricorso), alcuni elementi di sospetto indicati dalla relazione della Commissione d’indagine e poi dalla relazione prefettizia in ordine alla posizione del consigliere -OMISSIS-, censurando, punto per punto, la fumosità e, per taluni aspetti, anche la calunniosità di taluni accostamenti effettuati dalle relazioni.

5.7.5. Il motivo va respinto.

5.7.6. La Commissione d’indagine ha rilevato, esaminando le determine emesse in favore della ditta -OMISSIS-, moglie del già citato -OMISSIS-, detto “’-OMISSIS-”, e madre del consigliere comunale -OMISSIS-, che molti dei lavori sono stati affidati direttamente, senza alcuna indizione di gara, ad esclusione dell’ultima, alla quale non ha preso parte alcuna impresa tant’è che fu interpellata direttamente -OMISSIS-.

5.7.7. La Commissione d’indagine e il Prefetto hanno poi concentrato la loro attenzione sulle determine n. 58 del 5 dicembre 2013 e n. 60 del 10 dicembre 2013 e, oltre a rilevare che l’affidamento del servizio – in questo come, in generale, in altri casi – non è stato preceduto da alcuna gara, hanno rilevato che la fattura emessa dalla -OMISSIS- non contiene le ore di utilizzazione del bene al quale parametrare l’importo e che la sua emissione è contemporanea allo stesso diretto affidamento del servizio, con un’anomalia difficilmente giustificabile e non certo giustificata dalla ragione asseritamente comprensibile anche dal “profano”, come vorrebbero gli appellanti, che si tratterebbe di modesto importo per lavori di poco conto.

5.7.8. La Commissione d’indagine ha ritenuto fortemente sospetta tale circostanza anche perché ha rilevato che il 3 settembre 2013 la medesima -OMISSIS- aveva ceduto in comodato d’uso gratuito il terreno, per il deposito temporaneo dei rifiuti, ed ha avanzato dei dubbi, adombrando l’ipotesi che la cifra fatturata fosse una sorta di corrispettivo, a dispetto della gratuità del contratto, per l’utilizzazione del terreno.

5.7.9. Si tratta di ipotesi niente affatto inverosimile, a differenza di quanto assumono gli appellanti, ma anche ammettendo che essa sia frutto di una congettura non confermabile rimane il dato dell’anomalia dell’intera vicenda nel contesto, più generale, di ripetuti affidamenti diretti di lavori alla ditta -OMISSIS- in spregio di ogni regola di evidenza pubblica.

5.7.10. La Commissione d’indagine ha contestualizzato poi i suoi rilievi, con specifico riferimento alla famiglia -OMISSIS-, e ha evidenziato da ultimo che -OMISSIS- e la di lui moglie, -OMISSIS-, sono indagati nell’ambito del procedimento penale n. 4508/06, nell’operazione c.d. “Cosa mia”, perché sospettati di essere contigui alla cosca -OMISSIS- di Sinopoli.

5.7.11. Ora, se anche non fosse vero che i predetti siano coinvolti in tale inchiesta sfociata in un processo penale attualmente pendente in appello, resta il dato che -OMISSIS-, come emerge dalla lettura dell’ampia relazione depositata dalla Commissione d’indagine e dagli stralci di intercettazioni ivi riportati (v. pp. 133-138 e pp. 146-149 della relazione della Commissione d’indagine), fosse in costante contatto, per i cospicui interessi imprenditoriali nella -OMISSIS-, con -OMISSIS- e -OMISSIS-, ritenuti contigui a logiche ed interessi delle cosche mafiose.

5.7.12. Di qui, anche se, per ipotesi, alcuni dei rilievi degli appellanti fossero fondati, non uscirebbe alterato il quadro complessivo di una loro contiguità ad un mondo affaristico non alieno dai interessi mafiosi, con la conseguente reiezione del motivo, nel suo complesso, alla luce del detto quadro fattuale, quale sistematicamente emergente dall’insieme degli elementi raccolti nella relazione depositata dalla Commissione d’indagine e condivisi dal Prefetto.

8) Sui lavori affidati alla ditta individuale di -OMISSIS- (p. 26 del ricorso).

5.8.1. Gli appellanti si soffermano, pur brevemente, anche sull’unico lavoro affidato, per un “misero” importo di € 2.500,00, alla ditta individuale di -OMISSIS-, e passati al setaccio dalla Commissione d’indagine, rilevandone l’esiguità di tale commessa, che farebbe del -OMISSIS- un «boss di cartone» (p. 26 del ricorso).

5.8.2. Ma in senso contrario, e ostativo all’accoglimento della censura, valga qui osservare che -OMISSIS- è tutt’altro che un “boss di cartone”, in quanto considerato – v. p. 26 della relazione prefettizia e pp. 175-176 della relazione della Commissione d’indagine – un elemento di spicco della criminalità -OMISSIS- e, in particolare, affiliato alla cosca -OMISSIS-.

5.8.3. Lungi dall’essere episodico e isolato, l’affidamento dei lavori alla ditta individuale del -OMISSIS- è frequente e ripetuto nel tempo, da parte del Comune, sempre diretto e mai preceduto da previa indizione di gara (v. pp. 177-178 della relazione della Commissione d’indagine, ove sono menzionati anche lavori per importi di € 5.180,18 e di € 5.180,18, tutt’altro che esigui per un Comune di piccole dimensioni).

9) Sui lavori di riqualificazione del centro urbano (pp. 26-27 del ricorso).

5.9.1. Anche in riferimento a tali lavori, affidati all’impresa -OMISSIS-colpita da informativa antimafia, gli appellanti contestano le irregolarità loro addebitate dalla Commissione d’indagine e dal Prefetto ed osservano che la determina, avente ad oggetto l’aggiudicazione in via definitiva dei lavori, enunciava la constatazione, da parte dell’Ufficio appalti e contratti, di non procedere alla verifica dei requisiti, di cui all’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, con riferimento alla ditta in questione, perché già verificata in sede di gara.

5.9.2. Anche questa censura va respinta perché a tacer d’altro (e al di là delle presunte altre irregolarità in sede di gara contestate nella relazione), come ha osservato la Commissione d’indagine in modo puntuale (pp. 188-190 della relazione), molte delle imprese partecipanti – tra le quali quella del -OMISSIS- – non avevano presentato la dichiarazione, di cui all’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, circa la pendenza di presenza di pregiudizi penali né la circostanza che la determina appena citata avesse dato atto, erroneamente, di tale verifica, esonera da responsabilità il r.u.p. e il sindaco, che ben seguiva l’andamento dei lavori intervenendo sulla loro esecuzione (v. pp. 191-192 della relazione della Commissione), tanto più che – attesi gli stretti rapporti di conoscenza tra il sindaco e -OMISSIS- – l’impresa di quest’ultimo è, poi, risultata essere interdetta dai pubblici appalti per effetto dell’informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Ancona a cagione, tra l’altro, dei gravissimi precedenti penali che aveva omesso di menzionare nella dichiarazione.

10) Sui lavori di costruzione dei loculi nel cimitero urbano (p. 27 del ricorso).

5.10.1. Analoghe considerazioni il Collegio deve svolgere anche con riferimento ai lavori di costruzione dei loculi nel cimitero urbano, pure affidati all’impresa -OMISSIS-, per i quali gli appellanti anche contestano le anomalie e le illegittimità loro attribuite dalla Commissione d’indagine in riferimento all’osservanza dell’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006.

5.10.2. Anche in questo caso infatti, al di là di ogni considerazione sulla contestata regolarità delle operazioni di gara, si deve constatare, condividendo i rilievi svolti della Commissione d’indagine (p. 199 della relazione) e dal Prefetto di Reggio Calabria (p. 29 della relazione), il dato inoppugnabile che molte imprese partecipanti – tra le quali quella del -OMISSIS- – non avevano presentato la dichiarazione di cui all’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, omissione, questa, di assoluta gravità, nemmeno verificata dal Comune, che avrebbe dovuto immediatamente decretarne l’esclusione dalla gara.

5.10.3. Né giova agli appellanti replicare che nessuna responsabilità potrebbe essere loro ascritta, al riguardo, competendo il controllo sulle dichiarazioni al responsabile del procedimento, in quanto si è trattato, in questo come in altri casi, di una sistematica inescusabile violazione delle più elementari regole di gara pubblica, in favore, peraltro, di impresa colpita da informativa antimafia.

11) Sui lavori di ristrutturazione dell’asilo nido (pp. 27-28 del ricorso).

5.11.1. Eguali considerazioni, ancora e infine, si devono svolgere per l’affidamento dei lavori di ristrutturazione di un edificio da destinarsi ad asilo nido, la cui procedura di gara pare affetta dalle stesse gravi illegittimità, a cominciare dalla violazione dell’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006 quanto alle prescritte dichiarazioni sulla moralità dei partecipanti.

5.11.1. Non giova nemmeno in questo caso agli appellanti trincerarsi dietro la formale separazione tra responsabilità politico-amministrativa e quella gestionale, considerata la gravità delle violazioni commesse in seno alle tre procedure di gara, con caratteristiche comuni e ancora più evidenti, come evidenziato dalla Commissione d’indagine, nel caso di specie, ove il -OMISSIS-, che anche in tale procedura non aveva presentato la dichiarazione di cui all’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, aveva addirittura presentato una autocertificazione circa la mancanza di controindicazioni ai sensi dell’art. 10 del d. lgs. n. 252 del 1998 (v. p. 30 della relazione prefettizia e p. 207 della relazione della Commissione d’indagine).

12) Sulla gestione dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata (p. 28 del ricorso).

5.12.1. Infine gli appellanti contestano l’addebito, loro mosso dalla Commissione d’indagine e dal Prefetto, di non avere dato corso all’affidamento dei beni confiscati alla mafia per finalità sociali, non solo perché la consegna dei beni immobili è avvenuta nel 2009, quando l’amministrazione non era entrata in carica, ma anche perché il Consiglio comunale, con la delibera del 30 aprile 2014, ha approvato il regolamento per l’utilizzo dei beni confiscati.

5.12.2. Anche tale ultima censura va respinta perché, come ha ben evidenziato la relazione prefettizia (p. 30), si è contestato all’amministrazione comunale, e a ragione, di essere rimasta inerte quanto al riscontro circa l’uso sociale dei cespiti sequestrati, con destinazione a finalità di aggregazione giovanile, e anzi, secondo quanto riferiscono le forze dell’ordine intervenute in loco (p. 344 della relazione della Commissione d’indagine), si tratterebbe di immobili in totale stato d’abbandono.

5.12.3. E tale deprecabile stato, a dispetto di quanto affermano gli appellanti, non è certo ascrivibile a responsabilità della precedente amministrazione. Anzi, ritiene il Collegio che i comportamenti dell’Amministrazione disciolta, volti da lasciare in preda al degrado immobili confiscati alla mafia, evidenzi almeno in modo sintomatico il disprezzo o quantomeno il rifiuto verso un obiettivo – di legge – alto e nobile, come l’utilizzo a fini sociali degli immobili che la mafia possedeva ed usava per l’estrema possibile antisocialità, rappresentata dal sodalizio criminoso.

6. Dal complesso degli elementi sin qui esaminati, conclusivamente, non può che trarsi la legittima, e doverosa, conclusione che lo scioglimento del Consiglio comunale di -OMISSIS- sia conforme al paradigma legislativo di cui all’art. 143, comma 1, del d. lgs. n. 267 del 2000, nel testo novellato dall’art. 2, comma 30, della l. n. 94 del 2009, laddove richiede che detta situazione sia resa significativa da elementi «concreti, univoci e rilevanti», che assumano valenza tale da determinare «un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali», aspetto, quest’ultimo, che riveste carattere essenziale per l’adozione della misura di scioglimento dell’organo rappresentativo della comunità locale.

6.1. Gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono, per la costante giurisprudenza di questo Consiglio, caratterizzarsi per concretezza ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per univocità, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per rilevanza, che si connota per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale.

6.2. La definizione di questi precisi parametri costituisce un vincolo con il quale il legislatore della l. n. 9 del 2009 non ha voluto elidere quella discrezionalità, ma controbilanciarla, ancorandola a fatti concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del fenomeno mafioso con i più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi livelli di governo garantita dalla Costituzione (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 19 ottobre 2015, n. 4792; Cons. St., sez. III, 20 gennaio 2016, n. 197).

6.3. Le vicende, che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un Consiglio comunale, devono essere però considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso.

6.4. Assumono rilievo a tali fini anche situazioni non traducibili in episodici addebiti personali, ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione o di una pericolosa contiguità degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 28 settembre 2015, n. 4529).

6.5. Ebbene, proprio alla luce di tali principî consolidati ormai nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, sulla base delle verifiche effettuate e dai dati acquisiti dalla Commissione d’indagine e degli elementi emersi nel corso delle operazione di polizia giudiziaria Arca e Xenopolis non può negarsi, nel caso di specie, che tale pericolosa contiguità degli amministratori locali alla locale cosca mafiosa sussista, ad ogni livello dell’apparato burocratico e politico-amministrativo del -OMISSIS-, e che essa si sia riflessa, nel concreto esercizio delle funzioni da parte dell’ente in ogni settore della vita pubblica, anche indipendentemente dalle contestazioni addebitabili (o già addebitate) ai singoli amministratori e, in primo luogo, al sindaco e dagli esiti del successivo giudizio, di cui all’art. 143, comma 11, del d. lgs. n. 267 del 2000, sulla loro incandidabilità, e sia sfociata in una grave distorsione del suo funzionamento e in una vistosa alterazione della sua imparzialità.

6.6. Tanto si è rispecchiato e riscontrato ad esempio, come visto, nel ripetuto diretto affidamento di beni, servizi o lavori a soggetti e imprese contigui ad un mondo affaristico legato alle cosce, nelle gravi irregolarità nella conduzione delle procedure di gara, nell’anomala gestione della raccolta dei rifiuti, ma anche in versanti “più minuti” e “quotidiani” della gestione della cosa pubblica – aspetti, questi, nemmeno toccati dalle censure esaminate – quali le riparazioni degli automezzi comunali o le pratiche di condono edilizio (v., rispettivamente, pp. 179-183 e pp. 318-323 della relazione della Commissione d’indagine).

Si è verificato, cioè, il caso emblematico in cui la mafia, tramite suoi esecutori seduti nei luoghi di maggiori responsabilità, governa il Comune contro, e non secondo, i canoni della legalità, trasparenza e buon andamento, e dunque contro l’interesse generale, certamente incompatibile con gli ordini della cosche.

7. Non può che discenderne, quindi, la correttezza della sentenza impugnata, seppure per le più specifiche e precise ragioni sin qui evidenziate, e, con essa, la legittimità dei provvedimenti e degli atti tutti impugnati in primo grado con l’originario ricorso.

8. In conclusione quindi l’appello, infondato in entrambi i motivi sopra esaminati, deve essere respinto, con la conseguente conferma, anche per le analitiche ragioni sin qui esposte, della sentenza impugnata.

9. Le spese del presente grado del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza degli odierni appellanti.

9.1. Rimane definitivamente a loro carico anche il contributo unificato corrisposto per la proposizione dell’appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto da -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, lo respinge e per l’effetto conferma, per le ragioni di cui in parte motiva, la sentenza impugnata.

Condanna in solido -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- a rifondere in favore delle Amministrazioni statali appellate e del -OMISSIS- le spese del presente grado di giudizio, che liquida nell’importo di € 5.000,00 per ciascuna di due dette parti, oltre gli accessori come per legge.

Pone definitivamente a carico di -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d. lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2017, con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini, Presidente

Francesco Bellomo, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore

Pierfrancesco Ungari, Consigliere

     
     
L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE
Massimiliano Noccelli   Franco Frattini
     
     
     
     
     

IL SEGRETARIO

 

22 settembre 2017

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