21/10/2022 – Considerazioni sulle deliberazioni interinali della giunta comunale

Roberto Trovato

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Considerazioni sulle deliberazioni interinali della giunta comunale

 

Di ROBERTO TROVATO 

 

  1. il quadro normativo.

L’articolo 175 del decreto legislativo 267/2000 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) al comma 4 prevede che le variazioni di bilancio degli enti locali, ordinariamente di competenza dei Consigli comunali, possono essere adottate in via d’urgenza opportunamente motivatadalle Giunte comunali, salvo ratifica, a pena di decadenza, da parte dell’organo consiliare entro i sessanta giorni seguenti e comunque entro il 31 dicembre dell’anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine[1].

Il successivo comma 5 del citato articolo 175 regola le conseguenze nel caso in cui non si provveda alla ratifica nei termini stabiliti.

Pare opportuno precisare che la mancata ratifica può avvenire in tre modi.

  1. Con la mancata sottoposizione dell’atto al consiglio entro i 60 giorni.
  2. Con la mancata ratifica da parte del consiglio per inerzia nonostante la relativa proposta gli sia stata sottoposta entro i 60 giorni.
  • Con l’espressa negata ratifica.

La conseguenza della mancata ratifica è la decadenza ex tunc della deliberazione della Giunta comunale, fatti salvi i provvedimenti ritenuti necessari nei riguardi dei rapporti eventualmente sorti sulla base della deliberazione non ratificata[2] che l’organo consiliare è tenuto ad adottare nei successivi trenta giorni.

Riassumendo.

La deliberazione perde validità con effetto retroattivo, ab origine.

Tuttavia, il Consiglio comunale è tenuto ad adottare i provvedimenti ritenuti necessari al fine di non vanificare eventuali obbligazioni perfezionate prima che la delibera fosse decaduta.

Il Consiglio, quindi, sì è obbligato a provvedere con proprio provvedimento ma il contenuto è subordinato alle proprie valutazioni, lasciandogli, di fatto, discreti margini d’azione.

Il termine dei trenta giorni entro i quali deve provvedere, mancando qualunque sanzione, è da ritenersi meramente ordinatorio, resta il termine invalicabile del 31 dicembre dell’anno in corso per via della necessità imprescindibile di chiudere l’esercizio finanziario.

Sta alla Giunta predisporre la proposta in base allo stato del procedimento. Infatti, solo la Giunta e l’apparato burocratico conoscono gli atti che hanno fatto seguito alla delibera di variazione del bilancio.

 

  1. i presupposti che legittimano la giunta comunale a variare il bilancio in luogo del consiglio comunale.

Il presupposto unico è rappresentato dall’urgenza opportunamente motivata, salvo ratifica, a pena di decadenza (cfr. comma 4 dell’articolo 175 citato).

Ne consegue che le ragioni d’urgenza opportunamente motivate rivestono il carattere di presupposto indefettibile.

Arbitro unico della valutazione circa l’effettiva presenza del requisito dell’urgenza è il Consiglio, ovviamente anch’esso deve motivare, seppure in maniera meno approfondita, la propria decisione laddove non condivida le ragioni addotte dalla Giunta.

Facciamo un caso concreto.

Un certo comune riceve il decreto di finanziamento di un’opera pubblica da parte del Ministero della Cultura. Per i principi dell’unità e dell’universalità del bilancio secondo i quali tutte le entrate e tutte le spese devono essere iscritte nell’unico bilancio, bisogna provvedere ad inserire il finanziamento nello strumento contabile mediante variazione del medesimo.     

Se la Giunta comunale provvede alla variazione in via d’urgenza a distanza di due mesi da quando ha conosciuto il provvedimento, difficilmente si potranno invocare e, tantomeno motivare, legittimamente ragioni d’urgenza!

 

  1. le ragioni che legittimano il consiglio comunale a negare la ratifica.

Il sol fatto che la norma che consente le variazioni di bilancio da parte della Giunta, seppure interinalmente, preveda le conseguenze in caso di mancata ratifica come vicenda fisiologica dovrebbe chiudere ogni questione.

Tuttavia, sovvengono altre ragioni.

La valutazione da parte del Consiglio dei motivi d’urgenza addotti dalla Giunta è libera.

L’esercizio delle proprie attribuzioni da parte del Consiglio in materia di indirizzo, di programmazione, di relazioni previsionali e programmatiche, di programmi triennali e annuali dei lavori pubblici è piena in ogni momento e non può essergli sottratta surrettiziamente da altri organi. Ne consegue che il massimo organo rappresentativo, se non condivide le scelte programmatiche adottate dall’organo esecutivo in sua vece, possa legittimamente bocciarle.

Diversamente ragionando si dovrebbe giungere alla conclusione che la Giunta potrebbe operare per un intero esercizio variazioni di bilancio costanti, fino ad arrivare al 31 dicembre di ciascun anno con un bilancio fatto a propria immagine e somiglianza. Con il risultato paradossale di sottrarre al Consiglio la sua funzione principale. Al Consiglio non resterebbe altro che ratificarlo senza potervi incidere minimamente. Con una sostanziale sottrazione da parte della Giunta delle funzioni proprie del Consiglio.

 

  1. la riproposizione/reitera di atti decaduti.

Riguardo alle delibere di variazione di bilancio adottate dalle Giunte non si dovrebbe considerare la possibilità di una riproposizione, per quanto si dirà nel successivo paragrafo.

Ciò nonostante, consideriamo, per mera ipotesi di scuola, la possibilità che vengano riproposte nonostante la bocciatura o la mancata ratifica.

Per far questo ci serviamo di una finzione: quella di equipararle genericamente a qualunque altra delibera.

In linea di principio non ci sono elementi ostativi invalicabili, fatto salvo il trascorrere di un lasso di tempo minimo tra la bocciatura e la riproposizione.

Così, per esempio, prevedono gran parte dei regolamenti per il funzionamento dei consigli comunali che inibiscono la riproposizione delle deliberazioni precedentemente bocciate se non siano trascorsi mediamente sei mesi. La materia è di esclusiva competenza regolamentare per via della delegificazione operata a suo tempo.

Dello stesso tenore il regolamento del Senato della Repubblica che all’art. 76 prevede che Non possono essere assegnati alle competenti Commissioni disegni di legge che riproducano sostanzialmente il contenuto di disegni di legge precedentemente respinti, se non siano trascorsi sei mesi dalla data della reiezione.

Analoga disposizione prevede il regolamento della Camera dei Deputati che all’art. 72 prevede che Non possono essere assegnati alle Commissioni progetti di legge che riproducano sostanzialmente il contenuto di progetti precedentemente respinti, se non siano trascorsi sei mesi dalla data della reiezione.

 

  1. l’eventuale riproposizione/reitera di una variazione di bilancio decaduta.

Si ritiene improcedibile una eventuale riproposizione di una deliberazione decaduta.

La ragione che milita in favore di questa tesi è evidente: non si può far rivivere un atto che è stato espunto dal mondo giuridico con effetto ex tunc.

Ma prima ancora sovviene un’altra considerazione, il procedimento complesso che porta alla variazione di bilancio si compone di due fasi inscindibili e conseguenziali:

  1. quella relativa all’adozione della deliberazione da parte della Giunta previa valutazione dell’urgenza;
  2. quella relativa alla ratifica, nei successivi sessanta giorni, da parte del Consiglio.

La seconda fase ha due e solo due possibili sbocchi:

  1. la ratifica;
  2. la non ratifica.

In caso di ratifica il procedimento può dirsi concluso.

In caso di non ratifica ci sono ulteriori due sbocchi possibili:

  1. la conclusione perché all’atto giuntale non sono seguiti provvedimenti che abbiano fatto sorgere rapporti con terzi;
  2. la prosecuzione con l’adozione, a cui il Consiglio è tenuto, dei provvedimenti ritenuti necessari nei riguardi dei rapporti eventualmente sorti sulla base della deliberazione non ratificata.

Durante queste fasi che costituiscono un unico procedimento complesso non è possibile incuneare altri procedimenti quali la reitera dell’atto originario non ratificato. In altri termini, la sequenza procedimentale è predeterminata e vincolata.

Si badi bene che non siamo in presenza di un atto a contenuto libero di competenza del Consiglio che esplica i propri effetti dopo che è stato approvato. Al contrario siamo in presenza di un atto di altro organo, la Giunta, il cui contenuto è sostanzialmente vincolato e che ha già prodotto effetti. In altre parole, al Consiglio non residuano margini d’azione: o ratifica o non ratifica la variazione, di guisa che una volta operata la propria scelta non possa essere richiesto di ritornare sui propri passi.

Nel caso il Consiglio comunale si fosse espresso con una mancata ratifica esplicita (id est: bocciatura) non sarebbe, per altra ragione, in alcun modo ipotizzabile la reitera poiché in ipotesi ci si potrebbe trovare con due atti, entrambi vigenti, di contenuto opposto e in contrasto l’uno con l’altro.

Quindi, sia pure per mera ipotesi di scuola, in considerazione dei difficilmente superabili rilievi di cui prima, se si volesse riportare in vita una delibera giuntale di variazione di bilancio non ratificata si dovrebbe per prima cosa revocare la delibera consiliare che l’ha bocciata e solo dopo il Consiglio comunale potrebbe ratificarla. Ovviamente la revoca dovrebbe essere opportunamente motivata.

Facciamo un caso concreto.

Un certo comune attraverso la Giunta varia il bilancio. Il consiglio fa decadere la delibera ma nel frattempo, incuranti della decadenza gli uffici proseguono come se fosse stata ratificata. Mettiamo il caso che danno seguito ad una gara d’appalto e magari provvedono all’aggiudicazione. Bene, si tratterebbe di un fatto illecito avvenuto in totale carenza di ogni presupposto legittimante l’ufficio, con la conseguenza che non potrebbe in nessun caso essere sanato.          

In questo caso si potrebbero ravvisare responsabilità erariali e penali in capo a chi ha agito e a chi non ha esercitato il doveroso controllo.

 

  1. le analogie tra le variazioni di bilancio adottate interinalmente dalla giunta e gli atti aventi forza di legge adottati dal governo.

Il nostro ordinamento prevede che in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.          

I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.           

Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti[3].

L’assoluta sovrapponibilità tra i due atti risulta evidente ictu oculi.

Riguardo alla reiterazione dei decreti legge si veda la legge 400/1988 che all’art. 15, comma 2, sub c), prevede che Il Governo non può, mediante decreto-legge:… c) rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione.

Anche la Corte Costituzionale si è espressa in materia di reitera dei decreti legge, lo ha fatto con la celebre sentenza n. 390/1996 che ha sancito l’illegittimità costituzionale del malvezzo dei governi di iterare o reiterare i decreti-legge non convertiti in assenza di nuovi (e sopravvenuti) presupposti straordinari di necessità ed urgenza, a questo proposito il giudice delle leggi ha scritto parole[4] nette e stentoree che se valgono nel caso di reitera dei decreti legge adottati per motivi d’urgenza a fortiorivalgono per le delibere di Giunta adottate per motivi d’urgenza.

 

  1. le conseguenze in caso di esecuzione di una delibera di variazione di bilancio adottata dalla giunta nel periodo successivo alla sua mancata ratifica.

La delibera di Giunta recante variazioni di bilancio decaduta comporta che tutti gli atti adottati nel presupposto della sua esistenza debbano essere considerati affetti da nullità assoluta, ai sensi dell’articolo 21-septies della legge 241/1990. Fatta eccezione, entro i limiti stabiliti dal Consiglio comunale, per quelli adottati nel lasso di tempo intercorrente tra l’adozione della delibera e la sua decadenza.

Tali atti comportano la responsabilità personale sotto l’aspetto patrimoniale delle obbligazioni contratte in assenza di un valido titolo.

Tale responsabilità non può che estendersi in capo a chi ha il compito di vigilare sulla contrazione delle obbligazioni e sul controllo sull’attività dell’apparato burocratico sotto l’aspetto contabile sia sotto l’aspetto della culpa in vigilando[5] che quella omissiva e financo quella commissiva nel caso di apposizione di eventuali pareri di regolarità contabile[6] o di visti attestanti la copertura finanziaria[7]degli atti.

* * * * *

Resta ferma la possibilità di mancata ratifica per vizi propri e ulteriori, tipici dell’atto amministrativo, che non hanno formato oggetto del presente lavoro.

 

  1. il quadro normativo vigente nella regione siciliana e le differenze con quello nazionale.

Il Legislatore siciliano non ha mai recepito il d.lgs. 267/2000 (c.d. testo unico degli enti locali) ma il suo dante causa, la legge 142/1990 (la legge di riforma degli enti locali), pur apportandovi modifiche ed integrazioni; seppure talune parti del d.lgs. 267/2000 trovino immediata applicazione anche in Sicilia poiché si tratta di materie di competenza statale.

La legislazione siciliana esclude la possibilità in capo a qualsiasi altro organo comunale o provinciale di adottare le deliberazioni di competenza dei consigli[8]. Ne consegue che i commi 4 e 5 dell’art. 175 del d.lgs. 267/2000 i quali prevedono che le variazioni di bilancio degli enti locali possono essere adottate in via d’urgenza dalle Giunte comunali, salvo ratifica, a pena di decadenza, da parte dell’organo consiliare, non troverebbero applicazione nei comuni isolani. Senonché, il Legislatore siciliano con la legge regionale n. 13 del 15/06/2021 all’articolo 5 ha previsto che: “1. Per il triennio 2021-2023, per conseguire l’obiettivo del pieno utilizzo delle risorse di derivazione statale o europea destinate alla realizzazione di interventi la cui attuazione è affidata agli enti locali, i comuni in sede di esercizio provvisorio o di gestione provvisoria, limitatamente alle suddette risorse, sono autorizzati ad effettuare variazioni di bilancio con delibera della giunta, da ratificarsi a pena di decadenza da parte del consiglio ai sensi dell’articolo 175 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modificazioni”.

Come si vede si tratta di un recepimento della normativa nazionale in materia di variazioni di bilancio degli enti locali limitata nel tempo al solo triennio 2021-2023 al fine dichiarato di velocizzare la spesa pubblica. Spirato tale termine si rientra allo status quo ante.

Ma non solo, vengono poste due condizioni ulteriori alle giunte per sostituirsi, seppure temporaneamente, ai consigli, e cioè che il comune si trovi sprovvisto di bilancio di previsione e che le risorse da allocare in bilancio siano di provenienza statale o europea.

In definitiva, i comuni siciliani, nel triennio 2021-2023, possono disporre variazioni di bilancio con delibera di giunta in presenza di tre requisiti:

  1. urgenza opportunamente motivata;
  2. mancanza di bilancio di previsione (esercizio provvisorio o gestione provvisoria);
  3. risorse di derivazione statale o europea.

La mancanza di uno solo dei tre requisiti non consente alle giunte di disporre variazioni di bilancio in luogo del consiglio; eventuali deliberazioni adottate in violazione di dette norme sarebbero palesemente illegittime, né servirebbe a sanarle la successiva ratifica consiliare.

 

Roberto Trovatoamministratore comunale di lungo corso e cultore di diritto degli enti locali.

 

[1] Previsione contenuta anche nel comma 4, articolo 42, del decreto legislativo 267/2000, che elenca le attribuzioni dei consigli.

[2] Comma 5 dell’articolo 175 del decreto legislativo 267/2000.

[3] Articolo 77 della Costituzione, commi 2,3,4.

[4] “L’art. 77, commi 2 e 3, della Costituzione prevede la possibilità per il Governo di adottare, sotto la propria responsabilità, atti con forza di legge (nella forma del decreto-legge) come ipotesi eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise. Tali atti, qualificati dalla stessa Costituzione come “provvisori”, devono risultare fondati sulla presenza di presupposti “straordinari” di necessità ed urgenza e devono essere presentati, il giorno stesso della loro adozione, alle Camere, ai fini della conversione in legge, conversione che va operata nel termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Ove la conversione non avvenga entro tale termine, i decreti-legge perdono la loro efficacia fin dall’inizio, salva la possibilità per le Camere di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti.

Questa disciplina, nella sua limpida formulazione, non offre alternative al carattere necessariamente provvisorio della decretazione d’urgenza: o le Camere convertono il decreto in legge entro sessanta giorni o il decreto perde retroattivamente la propria efficacia, senza che il Governo abbia la possibilità di invocare proroghe o il Parlamento di provvedere ad una conversione tardiva. La disciplina costituzionale viene, pertanto, a qualificare il termine dei sessanta giorni fissato per la vigenza della decretazione d’urgenza come un limite insuperabile, che – proprio ai fini del rispetto del criterio di attribuzione della competenza legislativa ordinaria alle Camere – non può essere né violato né indirettamente aggirato.

Ora, il decreto-legge iterato o reiterato – per il fatto di riprodurre (nel suo complesso o in singole disposizioni) il contenuto di un decreto-legge non convertito, senza introdurre variazioni sostanziali – lede la previsione costituzionale sotto più profili: perché altera la natura provvisoria della decretazione d’urgenza procrastinando, di fatto, il termine invalicabile previsto dalla Costituzione per la conversione in legge; perché toglie valore al carattere “straordinario” dei requisiti della necessità e dell’urgenza, dal momento che la reiterazione viene a stabilizzare e a prolungare nel tempo il richiamo ai motivi già posti a fondamento del primo decreto; perché attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, venendo il ricorso ripetuto alla reiterazione a suscitare nell’ordinamento un’aspettativa circa la possibilità di consolidare gli effetti determinati dalla decretazione d’urgenza mediante la sanatoria finale della disciplina reiterata”.

“5. – Il divieto di iterazione e di reiterazione, implicito nel disegno costituzionale, esclude, quindi, che il Governo, in caso di mancata conversione di un decreto-legge, possa riprodurre, con un nuovo decreto, il contenuto normativo dell’intero testo o di singole disposizioni del decreto non convertito, ove il nuovo decreto non risulti fondato su autonomi (e, pur sempre, straordinari) motivi di necessità ed urgenza, motivi che, in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto. Se è vero, infatti, che, in caso di mancata conversione, il Governo non risulta spogliato del potere di intervenire nella stessa materia con lo strumento della decretazione d’urgenza, è anche vero che, in questo caso, l’intervento governativo – per poter rispettare i limiti della straordinarietà e della provvisorietà segnati dall’art. 77 – non potrà porsi in un rapporto di continuità sostanziale con il decreto non convertito (come accade con l’iterazione e con la reiterazione), ma dovrà, in ogni caso, risultare caratterizzato da contenuti normativi sostanzialmente diversi ovvero da presupposti giustificativi nuovi di natura “straordinaria”.

  1. – I principi richiamati conducono, dunque, ad affermare l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 77 della Costituzione, dei decreti-legge iterati o reiterati, quando tali decreti, considerati nel loro complesso o in singole disposizioni, abbiano sostanzialmente riprodotto, in assenza di nuovi (e sopravvenuti) presupposti straordinari di necessità ed urgenza, il contenuto normativo di un decreto-legge che abbia perso efficacia a seguito della mancata conversione.”.

[5] Articolo 239, comma 1, sub. c) sulle funzioni dell’organo di revisione.

[6] Articolo 49, comma 1 e articolo 147 bis, comma 1, del decreto legislativo 267/2000.

[7] articolo 147 bis, comma e articolo 183, comma 7, del decreto legislativo 267/2000.

[8] Competenze dei consigli art. 32, legge n. 142/1990, recepito con modifiche dall’art. 1, comma 1, lett. e) della legge regionale n. 48/1991 (art. 78, legge regionale n. 10/1993, art. 45, legge regionale n. 26/1993 e art. 2, legge regionale n. 4/1996).

  1. Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali: a) gli statuti dell’ente e delle aziende speciali, i regolamenti, l’ordinamento degli uffici e dei servizi; b) i programmi, le relazioni previsionali e programmatiche, i piani finanziari ad esclusione di quelli riguardanti singole opere pubbliche ed i programmi di opere pubbliche, i bilanci annuali e pluriennali, le relative variazioni, gli storni dai fondi tra capitoli appartenenti a rubriche diverse del bilancio, i conti consuntivi, i piani territoriali ed urbanistici, i programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, le eventuali deroghe ad essi, i pareri da rendere nelle dette materie;
  2. Le deliberazioni in ordine agli argomenti di cui al presente articolo non possono essere adottate in via d’urgenza da altri organi del comune o della provincia.
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