21/08/2020 – Disciplina antitrust e procedure di affidamento dei contratti pubblici

Disciplina antitrust e procedure di affidamento dei contratti pubblici
Per un nuovo ruolo dell’AGCM nella vigilanza e regolazione degli appalti pubblici
Carlo Buonauro – Consigliere Tar
Pubblicato il 20 agosto 2020
 
abstract
Il presente contributo mira a delineare gli effetti delle condotte anti-concorrenziale nell’ambito delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.
si evidenzia la crescente consapevolezza, nella giurisprudenza amministrativa e nella dottrina, di affinare i relativi strumenti e in chiave prospettica di concentrare in capo all’AGCM il ruolo di vigilanza e regolazione del settore dei contratti pubblici.
 
Sommario: 1. Premessa. La parziale sovrapponibilità tra disciplina antitrust e procedure di affidamento dei contratti pubblici. – 2. Il quadro d’insieme dei fenomeni anticoncorrenziali nel settore degli appalti pubblici. – 3. Condotte anticoncorrenziali e partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici. – 4. Conclusioni. Verso un nuovo assetto di vigilanza e regolazione dei contratti pubblici.
 
1. Premessa. La parziale sovrapponibilità tra disciplina antitrust e procedure di affidamento dei contratti pubblici. – La stretta contiguità tra la normativa (legge 10 ottobre 1990, n. 287 e successivi sviluppi) posta a presidio dell’azione dell’Autorità per la concorrenza ed il mercato (d’ora in poi per semplicità AGCM o Antitrust) e la disciplina dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e ss.mm.ii.) è posta con evidenza dal comune dato teleologico: la tutela e la promozione della concorrenza nel mercato (anche) degli operatori economici nei confronti delle pubbliche amministrazioni[1].
Questo dato sostanziale, già riflesso nel quadro assiologico costituzionale[2] ed euro-unitario originario[3], spiega quindi i molteplici profili di intersezione e sovrapponibilità che i due settori ordinamentali registrano, in ragione della (parziale) comunanza di ratio.
Nondimeno e con altrettanta evidenza, emerge una prima e fondamentale differenziazione tra i due ambiti di regolazione in relazione ad una significativa divergenza, quantitativa e qualitativa, di questo pur comune substrato teleologico:
  1. Per un verso e sul versante qualitativo, non pare revocabile in dubbio che la tutela della concorrenza, da un lato e sul versante Antitrust, costituisca il fine ultimo e assorbente dell’azione della relativa Authority, sia pure nel superiore intento di un complessivo miglioramento della qualità e dei costi dei servizi e dei beni offerti ai consumatori; dall’altro lato e sul versante del contratti pubblici, la concorrenza nel mercato pubblico dei lavori , servizi e forniture delle stazioni appaltanti si pone più come un mezzo per permettere a queste ultime la selezione in modo imparziale della migliore offerta tra gli operatori economico coinvolti nelle diverse forme procedurali dell’evidenza pubblica, solo indirettamente ponendosi come fattore di implementazione della qualità degli standard produttivi e di riduzione dei relativi costi da parte delle imprese di settore con mediato beneficio sulla complessiva comunità degli utenti;
  2. Per altro verso e sul versante quantitativo, è altrettanto indubbio come la concorrenza nel mercato delle commesse pubbliche, profilo esclusivamente posto a fondamento della disciplina dei contratti pubblici, rappresenti un importante ma solo parziale spettro di intervento dell’Antitrust, chiamata a vigilare su ben più ampi spettri di forme distorsive della concorrenza e di tutela dei consumatori.
 
Questo rapporto a geometria variabile, tra tutela assoluta della concorrenza affidata alla legislazione antitrust e promozione mediata della stessa nell’ambito della regolazione dei contratti pubblici, probabilmente spiega anche la scelta di diritto positivo di assegnare la vigilanza su quest’ultimo settore ad un’autorità amministrativa indipendente distinta dall’Antitrust[4] (astrattamente ben attrezzata per operare direttamente anche su questo versante[5]) per attribuirla dapprima ad una specifica struttura organizzativa (AVCP), poi soppressa e confluita nell’ANAC, a riprova della coesistenza, in quel settore, di esigenze finalistiche e valori assiologici ulteriori (e non sempre perfettamente coincidenti) con la tutela assoluta della concorrenza nel mercato delle commesse pubbliche, quale, in specie, la prevenzione e la repressione di forme di illegittimità e corruzione nell’ambito delle procedure di affidamento ed esecuzione dei contratti pubblici[6].
 
Nondimeno, i tratti di prossimità appaiono essere sempre più avvertitivi, nei due settori ordinamentali ed attraverso l’attività vivifica delle strutture chiamate a dar voce alle rispettive discipline (AGCM nella sua funzione di vigilanza sul corretto andamento dei mercati, ANAC/Magistratura amministrativa sul versante del codice dei contratti pubblici), nella condivisa concezione per cui, da un lato, occorre prestare una crescente e più raffinata attenzione all’esigenza di evitare la presenza di fenomeni anticoncorrenziali nel settore degli appalti pubblici; e, dall’altro, nella fondamentale considerazione per cui gli accordi anticoncorrenziali aventi ad oggetto gare per l’assegnazione di appalti pubblici costituiscono forme particolarmente offensive di infrazione delle regole della concorrenza[7].
 
2. Il quadro d’insieme dei fenomeni anticoncorrenziali nel settore degli appalti pubblici. – I fenomeni che, all’interno delle diverse dinamiche di svolgimento delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, tradizionalmente sono risultati essere associati a comportamenti anticoncorrenziali possono essere inquadrate in due categorie di fondo:
  1. Da un alto, fattispecie oggettive che riguardano il momento di presentazione delle offerte e  di formulazione dei loro contenuti sostanziali, quali, rispettivamente, il  boicottaggio della gara conseguente alla mancata presentazione di offerte da parte di una o più imprese al fine di prolungare il contratto con il fornitore abituale o di far ripartire pro quota il lavoro o la fornitura tra tutte le imprese interessate al contratto[8]; la presentazione di offerte di comodo (o ‘di cortesia’ o ‘fasulle’), finalizzata a conferire un’apparente regolarità concorrenziale alla gara e a celarne l’innalzamento dei prezzi di aggiudicazione[9].
  2. Per altro verso e sul versante  soggettivo delle modalità di partecipazione alle procedure, vengono in rilievo, in primis, forme di abuso di strumenti di cooperazione tra imprese[10] attraverso un improprio uso, con finalità anticoncorrenziali degli istituti (pur concepiti, per favorire la concorrenza sul versante dinamico del favor partecipationis, per ampliare il novero dei soggetti che possono partecipare a meccanismi di gara, consentendo il superamento di limiti dimensionali e di specializzazione delle imprese più piccole, accanto alla dimensione statica della par condicio partecipationis) dell’avvalimento, del subappalto e dell’associazione/raggruppamento di operatori economici[11], piegati patologicamente ad un uso distorto in quanto elusivamente idonei a favorire la spartizione del mercato o addirittura della singola commessa[12].  In secundis, rileva il fenomeno della cd. “rotazione delle offerte e ripartizione del mercato”, posto che l’analisi anche dei soli pattern di vittoria può segnalare la presenza di un cartello[13] e soprattutto il fenomeno delle cc.dd. situazione di controllo/collegamento di fatto, legato a segnali di allarme nelle modalità di partecipazione all’asta connesse alla non infrequente evenienza per cui gli aderenti ad un cartello presentino le domande di partecipazione all’asta con modalità tali da tradire la comune formulazione[14].
 
 
 
La questione delle condizioni di rilevanza delle condotte anticoncorrenziali ai fini della partecipazione alle gare pubbliche, costituisce una delle tematiche più dibattute nel contesto giurisprudenziale amministrativo che non ha mancato di coinvolgere da ultimo anche i giudici comunitari[15]
Ai sensi dell’articolo 80, comma 5, lett. c) del codice rilevano, quali possibili cause di esclusione di un’impresa  per la commissione degli illeciti professionali gravi accertati, tali da rendere dubbia l’integrità del concorrente, intesa come moralità professionale, o la sua affidabilità, nello svolgimento dell’attività oggetto di affidamento, i provvedimenti definitivi dell’AGCM di condanna per pratiche commerciali scorrette o per illeciti antitrust gravi, aventi effetti sulla contrattualistica pubblica che siano stati posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare.
La norma è stata inizialmente interpretata in senso restrittivo in base al quale potevano rilevare come cause di esclusione per “grave errore professionale” solo l’accertamento dell’AGCM divenuto definitivo. In tal modo, si garantiva che i fatti oggetto di accertamento fossero immodificabili e di conseguenza si evitava che un operatore economico potesse subire pregiudizi irreparabili sulla base di un provvedimento del ANAC suscettibile di annullamento in sede giurisdizionale. Così si contemperava equamente il principio della certezza del diritto e la garanzia di affidabilità del concorrente.
Il predetto orientamento è stato poi con la deliberazione n. 1008 dell’11 ottobre 2017, modificato in senso ampliativo, riconoscendo alle stazioni appaltanti il potere di tenere conto, ai fini dell’esclusione delle imprese dalle gare pubbliche, dei provvedimenti meramente esecutivi di condanna emessi dall’AGCM a prescindere dalla loro stabilità, fermo restando il solo requisito dell’identità del mercato di riferimento[16].
In senso conforme a ricomprendere nella nozione di “errore professionale” qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore di cui trattasi, vi è la Corte di Giustizia con l’ordinanza del giugno 2019, causa C-425/18. La Corte ha ritenuto che la commissione di un’infrazione alle norme in materia di concorrenza, in particolare quando tale violazione è stata sanzionata con un’ammenda, costituisce una causa di esclusione rientrante nell’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d), della direttiva 2004/18.
La Corte di Giustizia si è interessata anche al profilo se l’esclusione dalla gara avvenisse automaticamente, in presenza di un provvedimento sanzionatorio dell’AGCM, o se invece fosse una potestà rimessa alla valutazione discrezionale della stazione appaltante. Sul punto, la Corte richiamando il rispetto del principio di proporzionalità, ha precisato che la decisione dell’AGCM che accerta una violazione in materia di concorrenza <>.
Nuovi sviluppi sulla questione arrivano dal Consiglio di Stato con la sentenza del 21 febbraio 2020, n. 1321 che ha segnato ulteriori passi in avanti rispetto a quanto affermato dalla Corte europea. I giudizi di Palazzo Spada hanno addirittura ritenuto che la decisione da parte della stazione appaltante di aggiudicare la procedura di gara quando era già possibile, per il dettaglio e la compiutezza degli elementi indiziari a disposizione, maturare giustificato convincimento dell’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza tra gli operatori concorrenti, è scelta non ragionevole[17].
Da ultimo, si deve segnalare la pronuncia del Tar Lazio del 6 aprile 2020, n. 3789 che giunge a riassumere la complicata questione delle condizioni di rilevanza delle condotte anticoncorrenziali ai fini della partecipazione alle gare pubbliche in tre punti.
  1. Innanzitutto, il concetto normativo di errore professionale, essendo posto a presidio dell’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della Pubblica Amministrazione, deve essere inteso in senso ampio come comprensivo di tutte quelle scorrettezze idonee ad incidere sulla credibilità professionale, integrità o affidabilità dell’operatore economico, e quindi anche della commissione di un’infrazione alle norme in materia di concorrenza.
  2. In secondo luogo, le stesse stazioni appaltanti devono ritenersi autorizzate ad accertare la commissione dei gravi errori professionali prendendo in esame qualsiasi mezzo di prova. Non è quindi necessaria l’esistenza di provvedimenti inoppugnabili o confermati da sentenze passate in giudicato, ma la stessa decisione dell’AGCM può costituire un indizio dell’esistenza di un grave errore professionale anche se non accertato in via definitiva in sede giurisdizionale.
  3. Infine, l’esclusione da una procedura di gara non può comunque conseguire automaticamente ad un provvedimento sanzionatorio dell’AGCM, ma deve derivare da una valutazione specifica e concreta del comportamento illecito da parte della stazione appaltante.
 
4. Conclusioni. Verso un nuovo assetto di vigilanza e regolazione dei contratti pubblici. – La lenticolare ricostruzione operata nel precedente paragrafo, anche attraverso i faticosi e non lineare percorso di ricerca di un a linea ermeneutica stabile e definitiva in un settore in cui il valore della certezza delle regole è assolutamente imprescindibile, testimonia, proiettata sul piano generale, la crescente consapevolezza che la dimensione di contrasto a condotte anticoncorrenziali rappresenta un momento fondamentale e strategico nella policy dei contratti pubblici, sia nel momento nobile delle procedure di affidamento, sia in quello meno appariscitene ma altrettanto rilevante, della fase di esecuzione prestazionale[18].
Proprio questa maturata consapevolezza potrebbe dunque stimolare, de jure condendo o attraverso protocolli d’intesa a regime[19],  una riflessione sui conseguenti riflessi sul pano organizzativo-strutturale: in una stagione riformatrice – anche a livello costituzionale – sembrano in altri termini maturi i tempi per una più razionale ed efficiente allocazione dei poteri di vigilanza (anche in chiave pre-contenziosa o di ADR) e regolazione del settore (attraverso un più sapiente uso della soft law) dei contratti pubblici che – tenendo anche conto, da un lato, della inevitabile agonia dell’Anac legata (anche) all’eccessiva e cancerogena ipertrofia dei propri compiti e, dall’altro,  dell’anacronismo di una nuova ed autonoma authority sul modello della scomparsa (e troppo poco rimpianta) AVCP – passi anche attraverso la proposta di concentrare (absit injuria verbis) in capo all’AGCM siffatte competenze.
Come sempre, non si tratta di rinnegare le esperienze pregresse o proporre astratti modelli totalmente innovativi[20], ma trarre insegnamenti – anche dal versante euro-unitario – per costruire un modello di autorità di regolazione che, anche sullo strategico versante dei contratti pubblici, sappia a tutto tondo inverare il valore della concorrenza nel mercato delle PP.AA., a tutela dei cittadini-utenti dei pubblici servizi e del corretto utilizzo delle risorse pubbliche, in momento storico-economico paradossalmente connotato da forti rischi legati alle conseguenze secondarie della pandemia, ma al contempo ricco di potenti virtuosità prospettiche sull’intero Sistema-Paese.
E, per competenze, risorse ed esperienze, l’Autorità per la concorrenza ed il mercato e la sua significazione composizione (nell’attuale e prospettico assetto), integrata con le professionalità delle altre authorities che hanno militato sul campo, pare porsi come la soluzione ottimale.
 
Carlo Buonauro
Consigliere Tar
Pubblicato il 20 agosto 2020
 
 
 
 

[1] La bibliografia sul tema è sterminata. Il quadro d’insieme, anche per ulteriori riferimenti di letteratura, è esaustivamente delineato in M. Clarich, Contratti pubblici e concorrenza, in Astrid Rassegna – N. 19/2015, il quale, già in esordia, chiarisce il decisivo punto per cui “La concorrenza è ritenuta generalmente un elemento fondante la disciplina dei contratti pubblici, soprattutto quella di derivazione europea. Quest’ultima ha comportato infatti già da decenni il superamento della matrice “contabilistica” che caratterizzava la normativa nazionale sulla contabilità dello Stato”,
Ulteriori indicazioni in M. Di Carlo, La concorrenza nelle procedure di gara degli appalti pubblici, in Riv. trim. app., 2008, 577 ss.; S. Ponzio, Capitolati negli appalti pubblici, Napoli, 2006, 9 ss S. Simone e L. Zanettini, Appalti pubblici e concorrenza, in Lo Stato compratore, L’acquisto di beni e servizi nelle pubbliche amministrazioni, a cura di L. Fiorentino, Bologna, 2007, 142 ss.; G.L. Albano, F. Dini e G. Spagnolo, Strumenti a sostegno della qualità negli acquisti pubblici, in Quaderni Consip, 2008, I, 3.
Utili argomenti, anche per la spesso trascurata ma egualmente strategica fase dell’esecuzione del contratto, in A. Fonzi, Il principio di concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici, Giappighelli, 2019.
Infine, anche in chiave comparative, cfr. tra tanti, G.M. Racca, Collaborative procurement and contract performance in the Italian healthcare sector: illustration of a common problem in European procurement, in Public Procurement Law Review, 2010, n. 3.  UK Govemment’s, Operational efficiency programme: collaborative procurement report, maggio 2009. S. Arrowsmith, Framework Purchasing and Qualification Lists under the European Procurement Directives, in Public Procurement Law Review, 1999, 115-146 e 168-186. G.M. Racca, Aggregate models of public procurements and secondary considerations, rel. al Seminario: Secondary considerations in public procurements, Orta San Giulio – Novara, 11-12 September 2009.
[2] Corte cost., 23 novembre 2007, n. 401, in Foro it., 2008, I, 1787, con nota di G. Corso e G. Fares, Il codice dei contratti pubblici: tra tutela della concorrenza ed ordinamento civile; Corte giust. CE, 8 giugno 2000, causa C-258/98, Giovanni Carra e altri, in cui la Corte chiarisce che le disposizioni contenute nel1′ art. 86 TCE hanno effetto diretto negli stati nazionali aggiungendo che i diritti contenuti in tale norma devono essere tutelati dai giudici nazionali
[3] Sull’evoluzione della disciplina degli appalti pubblici e sull’impatto del diritto europeo con l’emersione dell’interesse all’apertura alla concorrenza, cfr. M. D’Alberti, Interesse pubblico e concorrenza nel codice dei contratti pubblici, in Dir. Amm., 2008, pag. 297 e seg.; A. Lalli, Disciplina della concorrenza e diritto amministrativo, Napoli, 2008, pag. 398 e seg.; S. Simone- L. Zanettini, cit., pag. 119 e seg.
[4] Peraltro, nel già citato scritto di M. Clarich, Contratti pubblici e concorrenza cit., si osserva come “Una terza dimensione della rilevanza giuridica della concorrenza nel settore dei contratti pubblici alla quale occorre accennare è legata al ruolo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. E ciò sotto un doppio versante: il primo, legato ai poteri tradizionali dell’Autorità, aventi per oggetto i comportamenti delle imprese che partecipano alle procedure; il secondo, che costituisce una novità, relativo al monitoraggio sulle stazioni appaltanti soprattutto nella fase di predisposizione della lex specialis delle singole gare”.
[5] La stessa dottrina prima citata segnala che – ricordando che l’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea e l’art. 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 pongono il divieto di intese restrittive della concorrenza e legittimano l’avvio di procedimenti volti ad accertare e sanzionare le condotte assunte in violazione – un ambito nel quale questo divieto trova applicazione è proprio quello delle procedure di gara per l’aggiudicazione di contratti pubblici che sono esposte a rischi collusivi da parte delle imprese partecipanti in relazione alla modalità di presentazione, ai contenuti delle offerte e alla ripartizione dei lotti disponibili (cosiddetto bid rigging). Ancora, anche il divieto di abuso di posizione dominante posto dall’art. 103 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea e dall’art. 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 può trovare applicazione nella materia dei contratti pubblici. Infine, nel solco dei poteri tradizionali si colloca anche l’attività di advocacy posta in essere dall’Autorità attraverso l’invio al Governo e al Parlamento di segnalazioni aventi per oggetto procedure di gara per l’affidamento di contratti pubblici e che sono volte a mettere in evidenza distorsioni della concorrenza derivanti da atti normativi o amministrativi (specie i bandi di gara) sollecitando misure correttive (indicazioni generali in G. Bruzzone, L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in M. D’alberti-A. Pajno (a cura di), Arbitri dei mercati – Le autorità indipendenti e l’economia, Bologna, 2012, pag. 302 e seg).
[6] La potenziale ed esplosiva miscela tra forme di comportamenti anticoncorrenziale e condotte lato sensu corruttive nel settore dei contratti pubblici emerge, a livello sovranazionale, dalla considerazione per cui interessanti indicazioni per l’individuazione di casi sospetti in violazione del diritto antitrust emergono dalla consultazione del documento a cura dell’OECD “Linee guida per la lotta contro le turbative d’asta negli appalti pubblici” scaricabile al seguente link: http:// www.oecd.org/daf/competition/cartelsandanti-competitiveagreements /4416211.pdf.
Peraltro, la criticità di tale assetto è ben evidenziata già da M. Clarich, Contratti pubblici e concorrenza cit., secondo cui “va peraltro sottolineato che considerare la disciplina dei contratti pubblici prevalentemente dall’angolo di visuale della lotta alla corruzione rischia di far perdere di vista gli altri obiettivi della disciplina e in particolare quello dell’efficienza.
[7] Già nell’ormai non recentissimo (e, prim’ancora si consideri “Il rapporto Autorità garante della concorrenza e del mercato “Appalti pubblici e concorrenza” pubblicato nel 1992 e disponibile sul sito istituzionale dell’Autorità) “Vademecum per le stazioni appaltanti individuazione di criticità concorrenziali nel settore degli appalti pubblici”, adottato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella sua adunanza del 18 settembre 2013 e riportato nel sito della stessa, si evidenzia con efficace sintesi che gli “accordi anticoncorrenziali aventi ad oggetto gare per l’assegnazione di appalti pubblici costituiscono forme particolarmente offensive di infrazione delle regole della concorrenza, in primo luogo, per la loro rilevanza economica, in quanto gli appalti pubblici rappresentano una quota assai significativa del prodotto nazionale. In secondo luogo, comportando una lievitazione dei costi per lavori o forniture, essi costituiscono un danno diretto per l’intera collettività. E’ anche in ragione di questo che l’attuazione di intese anticoncorrenziali in gara è assoggettata non solo a sanzioni amministrative in capo alle imprese ma anche a sanzioni penali in capo alle persone fisiche”.
Ivi si precisa ulteriormente che, per un verso, “i fenomeni anticoncorrenziali si  presentano soprattutto in particolari contesti di mercato, che in estrema sintesi si caratterizzano nel modo seguente: a) pochi concorrenti; b) concorrenti caratterizzati da analoga efficienza e dimensione; c) prodotti omogenei; d) perdurante partecipazione alle gare delle stesse imprese; e) appalto ripartito in più lotti dal valore economico simile”, di talché viene rivolto alle stazioni appaltanti l’invito a prestare una particolare attenzione ai casi in cui ricorre almeno una di queste condizioni. Per altro verso e prudentemente si soggiunge che “si tratta di condizioni assai generali che devono essere valutate alla luce degli elementi di cui ai punti successivi” con la condivisa conclusione per cui “l’assenza di una di queste condizioni, o la presenza del suo contrario, non implica necessariamente l’assenza di fenomeni anticoncorrenziali”.
[8] Le principali manifestazioni, come indicate nel Vademecum di cui alla nota che precede cui fanno riferimento le indicazioni di dettaglio anche delle note successive,  che potrebbero essere indizio di questa strategia sono le seguenti: 1) nessuna offerta presentata; 2) presentazione di un’unica offerta o di un numero di offerte comunque insufficiente per procedere all’assegnazione dell’appalto (quando la stazione appaltante stabilisce un numero minimo per la regolarità della gara); 3) presentazione di offerte tutte caratterizzate dal medesimo importo (soprattutto quando le procedure di gara fissate dalla stazione appaltante prevedono in queste circostanze l’annullamento della gara o la ripartizione dell’appalto pro quota)
[9] Ci si riferisce, nel dettaglio, alle offerte presentate dalle imprese non aggiudicatarie, che si caratterizzano per importi palesemente troppo elevati o comunque superiori a quanto gli stessi soggetti hanno offerto in analoghe procedure di appalto. Rientrano in questa categoria anche offerte contenenti condizioni particolari e notoriamente inaccettabili per la stazione appaltante così da determinarne l’esclusione. Una sequenza di gare in cui risulta aggiudicataria sempre la stessa impresa può, ad esempio, destare il sospetto che i concorrenti presentino offerte di comodo. Sono ugualmente da considerarsi segnali d’allarme la presentazione di offerte più elevate rispetto ai prezzi di listino.
[10] Sia consentito il rinvio, per maggiori indicazioni anche bibliografiche, a C. Buonauro, Brevi note sulla rilevanza della concorrenza nella contrattazione con le pubbliche amministrazioni tra diritto comunitario e diritto interno. In particolare, il concetto di “operatore economico” con riferimento alle procedure di evidenza pubblica, in Gazzetta Forense 1/2010, 121 ss.
[11] Sia consentito il rinvio, per maggiori indicazioni anche bibliografiche, a C. Buonauro, Tipologie e criticità dell’avvalimento. Il regime probatorio nell’avvalimento di attestazione, in Il contratto di avvalimento e i suoi aspetti interdisciplinari, opera collettanea sull’avvalimento, a cura di Roberto Dante Cogliandro 2017 e 2020.
[12] Un indizio di tale meccanismo spartitorio può essere rinvenuto laddove imprese, singolarmente in grado di partecipare a una gara, scelgono di astenervisi in vista di un successivo subappalto o optano per la costituzione di un’ATI. L’evidenza della possibilità di partecipazione autonoma ad un gara può essere tratta dalla storia delle precedenti aggiudicazioni. L’attenzione degli enti appaltanti si dovrebbe rivolgere soprattutto ai casi di ATI o subappalto perfezionati da imprese accomunate dalla medesima attività prevalente. Particolarmente sospetti sono i casi nei quali un’impresa decide inizialmente di partecipare ad una gara, ritirando l’offerta in un secondo momento, per poi risultare beneficiaria di un subappalto relativo alla medesima gara. Infine, nei casi
di aggiudicazione basata sull’offerta economicamente più vantaggiosa, l’ATI (tra i maggiori operatori) può essere anche il frutto di una strategia escludente, tesa ad
impedire a imprese minori di raggiungere il necessario punteggio qualitativo.
[13] Certamente se esso riguarda una pluralità di gare bandite da differenti stazioni
appaltanti, una sola di queste non ha spesso gli elementi sufficienti per rendersi conto di un pattern sospetto. Al contrario, quando la pratica spartitoria interessa uno specifico committente, quest’ultimo avrà ben più indizi per riconoscere regolarità sospette nella successione temporale delle imprese aggiudicatarie o nella ripartizione in lotti delle vincite. Si noti che le richiamate regolarità potrebbero riguardare non solo il numero di aggiudicazioni ma anche la somma dei relativi importi. Esse inoltre potrebbero essere associate a particolari caratteristiche dell’appalto o delle aziende che pongono in essere comportamenti anticoncorrenziali.
[14] E’ questo il caso di: 1) comuni errori di battitura; 2) stessa grafia; 3) riferimento a domande di altri partecipanti alla medesima gara; 4) analoghe stime o errori di calcolo; 5) consegna contemporanea, da parte di un soggetto, di più offerte per conto di differenti partecipanti alla medesima procedura di gara. In giurisprudenza, su posizioni tendenzialmente conformi, cfr., da ultimo, Cons. St. V, 10.1.2017, n. 39, per cui sono state ritenute tali le offerte che avessero identico o assimilabile contenuto; che avessero identica o assimilabile struttura, anche espositiva; che nello stesso modo e secondo affini modalità avessero programmato i lavori o lo svolgimento dei servizi; che avessero utilizzato le stesse società di progetto o gli stessi professionisti.
[15] Utili indicazioni, oltre ad un commento di prima lettura sulla giurisprudenza infra citata, in I. Picardi, Aggiornamento delle linee guida sull’illecito professionale: la “palla” alle stazioni appaltanti sull’esclusione per sentenze di primo grado, in Appalti & Contratti; in argomento, cfr. anche le osservazioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con commento di I. Picardi, Positiva la scelta di ricomprendere fra “i gravi illeciti professionali” anche gli illeciti antitrust, ma l’accertamento deve essere definitivo, ivi. Infine dello stesso autore e nel medesimo contesto sitografico, Violazione delle norme in materia di concorrenza e partecipazione alle gare pubbliche.
[16] Con deliberazione n. 1008 dell’11 ottobre 2017 il Consiglio dell’ANAC ha definitivamente aggiornato le linee guida n. 6 recanti “l’indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del codice” tenendo conto delle osservazioni formulate dai soggetti interessati e del parere del Consiglio di Stato (parere n. 2042/2017, già analizzato in data 29 settembre 2017). Ai fini che qui maggiormente interessano, giova rilevare l’ampliamento dei margini della discrezionalità delle stazioni appaltanti in merito all’esclusione degli operatori economici dalle gare, che già il nuovo Codice aveva notevolmente rafforzato, con  particolare  riferimento ai provvedimenti non solo dell’a stessa ANAC ama anche dell’AGCM: in tal senso viene esplicitato che le stazioni appaltanti devono valutare, ai fini dell’esclusione delle imprese, i provvedimenti esecutivi di condanna emessi dall’AGCM e dei provvedimenti sanzionatori esecutivi dell’ANAC, che nella precedente edizione delle linee guida rilevavano solo se divenuti inoppugnabili o se confermati da sentenze passate in giudicato.
Sul punto, la dottrina da ultimo citata (Picardi, Aggiornamento cit,) precisa però criticamente che “non si comprende a pieno la scelta di attribuire rilevanza solo ai provvedimenti di condanna emessi per pratiche commerciali scorrette o per gravi illeciti antitrust ‘posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare. Tale limitazione non appare coerente con la ratio sottesa alla disposizione in esame, che richiede alle stazioni appaltanti di valutare la moralità professionale degli operatori nel complesso, tenendo, quindi, conto di tutte le condotte idonee ad alterare la concorrenza, a prescindere dal mercato di riferimento.
 
[17] Ai fini che qui maggiormente rilevano in quanto incidenti sui complessi rapporti tra condotte anticoncorrenziali e procedimenti di affidamento dei contratti pubblici, la decisione si segnala, per un verso, per aver ribadito il principio di diritto per cui la condotta della stazione appaltante va valutata alla luce delle circostanze esistenti al momento in cui era adottato il provvedimento di aggiudicazione impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio e, dunque, senza tener conto degli atti sopravvenuti dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato. Ed, in vero, in linea con la costante giurisprudenza amministrativa, a voler tener conto di fatti e circostanze che, intervenute nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di atti di una procedura di gara, potrebbero comportare l’adozione di provvedimenti di esclusione nei confronti di taluni dei concorrenti, si finirebbe per pronunciare su poteri amministrativi non ancora esercitati in violazione del divieto posto dall’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm., salva l’ipotesi in cui la stazione appaltante medio tempore a ciò provveda e i provvedimenti siano introdotti in giudizio attraverso motivi aggiunti (cfr. Cons Stato, sez. V, 15 maggio 2019, n. 3151; V, 4 febbraio 2019, n. 827). Donde la prima conclusione per cui va escluso, pertanto, ogni profilo di pregiudizialità ex art. 79 Cod. proc. amm. e art. 295 Cod. proc. civ. tra l’odierno giudizio e il giudizio nel quale è impugnato il provvedimento sanzionatorio adottato dall’Agcm nei confronti degli operatori concorrenti.
Per altro verso e dopo aver evidenziato la sequenza dei fatti rilevanti (in particolare il dato per cui la commissione giudicatrice segnalava l’esistenza di una possibile intesa restrittiva della concorrenza tra alcuni degli operatori in gara, l’Agcm decideva di avviare un’indagine nei confronti degli operatori segnalati per aver rintracciato il fumus dell’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza in relazione alla gara), il giudice amministrativo d’appello precisa che – posto che la stazione appaltante, una volta segnalati all’Autorità gli elementi indiziari dell’intesa restrittiva, ha reputato opportuno non procedere essa stessa all’esclusione degli operatori per assenza di “mezzo di prova” adeguato per l’art. 38, comma 1, lett. f) d.lgs. n. 163, come pure, e per le stesse ragioni, si è astenuta dal disporre l’esclusione dalla procedura per falsa dichiarazione – era ragionevole attendersi dalla stazione appaltante una diversa decisione in merito al prosieguo della procedura, di soprassedere all’aggiudicazione fino a che non fossero stati noti gli esiti del procedimento sanzionatorio avviato dall’Autorità sulla propria segnalazione, previa eventuale adozione di adeguati provvedimenti interinali, non di procedere con l’aggiudicazione, così da favorire essa stessa quel risultato frutto dell’alterazione dalla concorrenza che, con i propri atti, e sin dal disciplinare di gara, intendeva scongiurare.
Infine, molto interessanti i passaggi conclusivi della decisione in commento laddove, – premesso sul piano assiologico che (enfasi nostra) la procedura di evidenza pubblica è diretta alla scelta del contraente più affidabile per l’esecuzione di un determinato contratto d’appalto, è qui, dunque, irragionevole il risultato dell’azione amministrativa che ha finito con il premiare con l’aggiudicazione un concorrente che la stessa stazione appaltante, per il quadro fornito dagli elementi raccolti nella propria attività istruttoria, avrebbe già ritenuto gravemente indiziato di essere compartecipe dell’accordo illecito – conclude nel senso che “se, dunque, è vero che il Vademecum fornito alle stazioni appaltanti dall’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, espressamente precisa che le segnalazioni non vanno “intese come manifestazioni di una raggiunta consapevolezza, da parte della stazione appaltante, dell’esistenza di criticità concorrenziali, nell’ambito della propria procedura di gara”, cionondimeno è la stazione appaltante a doversi regolare a seconda delle circostanze del caso, con l’obiettivo, questo imprescindibile, di evitare che il supposto accordo illecito possa avere concreta attuazione incidendo sull’azione amministrativa; se del caso, tale determinazione sarà sottoposta al controllo giurisdizionale”.
Per i Giudici di Palazzo Spada dunque è chiaro che quel che si intende censurare è la scelta della stazione appaltante di procedere all’aggiudicazione quando aveva a disposizione elementi tali da fare ragionevolmente sospettare – come in effetti essa stessa aveva fatto: quivi, pertanto, una evidente discrepanza tra le premesse e le conseguenze della sua condotta – l’intervenuta alterazione della concorrenza nell’ambito della procedura indetta.
[18] Cfr., da ultimo, A. Fonzi, Il principio di concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici cit. Ulteriori indicazioni In R. Cavallo Perin – G. M. Racca, La concorrenza nell’esecuzione dei contratti pubblici, in Diritto amministrativo ANNO XVIII – FASCICOLO 2 – 2010 (Servizi pubblici, contratti e concorrenza), Giuffrè Editore 2/2010.
[19] Riprendendo la collaborazione disciplinata da protocolli di intesa tra Autorità garante della concorrenza e del mercato e Autorità nazionale anticorruzione, come già accaduto in un non più recente passato: il riferimento è al protocollo sottoscritto nel dicembre 2014 sulle attività di contrasto alla corruzione negli appalti pubblici e sui nuovi criteri per l’attribuzione del rating di legalità alle imprese che prevede uno scambio di informazioni anche in tema di appalti pubblici. Su di esso cfr. la Relazione Annuale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sull’attività svolta nel 2014, pag. 257 e seg, pubblicata sul sito.
[20] È stato efficacemente notato (M. Clarich, Contratti pubblici e concorrenza cit ) che “contrasto alla corruzione e concorrenzialità delle gare pubbliche sembrano costituire, entro certi limiti, due facce della stessa medaglia. Infatti le regole di matrice europea, peraltro presenti in parte nella legislazione nazionale della contabilità pubblica, volte a rendere trasparenti e competitive le procedure di per sé scoraggiano azioni corruttive. Simmetricamente, anche le regole specifiche di matrice nazionale introdotte dalla recente normativa anticorruzione concorrono a migliorare il monitoraggio e a rendere ancor più trasparenti e competitive le medesime procedure e dunque mirano a realizzare ancor più pienamente gli obiettivi posti dalle direttive europee. La disciplina generale delle gare pubbliche e la disciplina anticorruzione innescano dunque un circuito virtuoso di rafforzamento reciproco. Analogamente gli strumenti a disposizione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e quelli a disposizione dell’Autorità nazionale anticorruzione possono operare in modo sinergico”.
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