21/02/2020 – Tassa di soggiorno e mancato obbligo di versarla al Comune: le conseguenze per gli albergatori

Tassa di soggiorno e mancato obbligo di versarla al Comune: le conseguenze per gli albergatori
di Marilisa Bombi – Giornalista. Consulente attività economiche.
 
I comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio. Ma questi importi riscossi dalla struttura, e pare ovvio, devono essere versati al Comune. E se ciò non avviene, il Comune può legittimamente sanzionare l’albergatore inadempiente, anche con la sospensione per 15 giorni dell’attività. Il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza 1016 del 10 febbraio 2020, ha fatto il punto della situazione con riferimento all’art. 4 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, che reca disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale e, appunto, anche la tassa di soggiorno.
La relativa disciplina è rimessa, in coerenza alla previsione di cui all’art. 52D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, alla potestà regolamentare del Comune, che Roma Capitale ha, di fatto, esercitato con l’approvazione della delibera dell’Assemblea Capitolina nel dicembre 2010 prevedendo, peraltro, che l’omesso o parziale riversamento del contributo da parte del gestore della struttura ricettiva, nonché la mancata presentazione della comunicazione alle prescritte scadenze configurano presupposto per l’avvio – previa diffida e assegnazione di un termine non superiore a trenta giorni per la regolarizzazione – del procedimento volto alla sospensione del titolo abilitativo all’esercizio delle attività ricettive, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 27L.R. Lazio 6 agosto 2007, n. 13“.
Il ricorrente aveva sostenuto l’abusiva applicazione retroattiva a vicende svoltesi, in fatto, anteriormente alla previsione regolamentare la quale introduceva l’intervento sanzionatorio della sospensione dell’attività, ma il Giudice è stato di parere opposto, non essendo revocabile in dubbio che la violazione dell’obbligo di riversamento dell’imposta riscossa nelle casse comunicali costituisce, per i gestori di strutture ricettive, una grave irregolarità nella gestione del servizio (peraltro, presidiata dalla sanzione penale correlata alla qualifica di incaricato di pubblico servizio e fonte, altresì, di responsabilità amministrativo-contabile correlata alla funzione di agenti contabili. In sostanza, alla modifica regolamentare la quale aveva fatto rinvio alla legge regionale per gli interventi sanzionatori, non può essere riconosciuto il ruolo di integrare innovativamente le condotte imposte o vietate, ma solo di chiarire (in dichiarata conformazione alla maturata elaborazione giurisprudenziale ed in non celata prospettiva monitoria) l’importanza del rispetto, anche sotto il profilo delle relative cadenze temporali, degli adempimenti in questione.
In altri termini, avviso del Collegio, la contestata misura inibitoria trova idonea, sufficiente, pertinente ed autonoma base legale nella evocata (e previgente) normativa regionale di rango primario (e non, come pretenderebbe l’appellante, in una mera delibera assembleare preordinata alla modifica della previsione di rango regolamentare); che, per altro verso, non sussiste la prospettata applicazione retroattiva a fatti verificatisi anteriormente alla prefigurazione tipologica delle condotte vietate od imposte, assunte a presupposto della gravata determinazione; che neppure, in epoca antecedente alla espressa modifica regolamentare, sussistesse il ventilato deficit di tassatività e determinatezza nella fattispecie prefigurativa degli obblighi gravanti, in termini di regolarità tecnico-amministrativa, sui gestori. Del resto, non è inutile soggiungere, sottolinea la sentenza, che “[…] la sospensione temporanea (e del divieto di prosecuzione) dell’attività, appare, piuttosto, legalmente ancorata alla gestione, sul versante autoritativo del riscontro di regolarità tecnica ed operativa, del rapporto amministrativo di matrice autorizzatoria sorto in forza della segnalazione certificata di inizio attività necessaria per l’esercizio dell’attività ricettiva alberghiera ed extralberghiera”.
Un quadro di riferimento complesso. A margine della citata sentenza n. 1016 del Consiglio di Stato e delle argomentazioni espresse dalla V Sezione, si ritiene utile evidenziare che la sospensione dell’attività comminata all’esercente l’attività alberghiera per omesso versamento alle casse comunali della tassa di soggiorno riscossa, trae il suo presupposto giuridico anche in relazione a quanto disposto dall’art. 10 del Testo unico di pubblica sicurezza. Che la SCIA presentata ai fini dell’esercizio legittimo dell’attività ricettiva debba ancor’oggi configurarsi come attività soggetta alla disciplina dell’art. 86 TULPS, del resto, è comprovato dall’obbligo di dimostrare il possesso dei requisiti prescritti dagli artt. 11 e 92 del TULPS in questione.

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