19/12/2019 – Il TAR si pronuncia ancora sulla pubblicazione dei dati dei dirigenti declinando la giurisdizione in mancanza dell’effettiva pubblicazione dei dati

Il TAR si pronuncia ancora sulla pubblicazione dei dati dei dirigenti declinando la giurisdizione in mancanza dell’effettiva pubblicazione dei dati
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone, Gianluca Popolla – Dottore in giurisprudenza – esperto enti locali
Il Tar del Lazio ha ricevuto da parte dei dirigenti di ruolo del Garante per la protezione dei dati personali domanda per l’impugnazione di una nota del Segretario Generale del Garante stesso, con la quale si invitavano i ricorrenti a inviare, entro un dato termine, la documentazione prevista per gli adempimenti fissati dall’art. 14, comma 1-bis, D.Lgs. n. 33/2013. La documentazione richiesta prevedeva: copia dell’ultima dichiarazione dei redditi presentata, dichiarazione per la pubblicità della situazione patrimoniale, dichiarazione di negato consenso dei parenti e del coniuge non separato e la dichiarazione dei dati relativi ad altre cariche o incarichi (con oneri a carico della finanza pubblica) presso enti pubblici o privati. L’impugnativa è stata estesa ad altre note con le quali il Garante ha restituito a ciascun ricorrente la documentazione di cui sopra, in busta sigillata, significando che quanto fatto pervenire non integrasse adempimento dell’obbligo.
I ricorrenti hanno richiesto la disapplicazione dell’art. 14, comma 1, lett. c) e f) del D.Lgs. n. 33/2013 e il conseguente annullamento degli atti gravati e, in subordine, che il TAR sollevasse le questioni pregiudiziali formulate in ricorso, innanzi alla Corte di Giustizia UE o innanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità sul combinato disposto dell’art. 14, comma 1-bis con il comma 1, lett. c) e f) per violazione di molteplici articoli della Costituzione.
Si sono costituiti come resistenti il Garante per la protezione dei dati personali e la Presidenza del Consiglio dei ministri che hanno eccepito il difetto di giurisdizione del TAR in favore del giudice ordinario e l’inammissibilità dell’impugnativa, il Codacons che oltre al difetto di giurisdizione ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sia per la natura non provvedimentale dell’atto che per la mancata impugnazione della delibera ANAC di approvazione delle linee guida relative all’applicazione dell’art. 14 D.Lgs. n. 33/2013.
Successivamente il Tribunale ha accolto la domanda di sospensione interinale dell’esecuzione degli atti gravati mentre i ricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità dell’intervento del Codacons e si sono opposti alle questioni pregiudiziali e di merito eccepite dalle parti resistenti, di seguito il Tribunale ha rigettato tutte le eccezioni preliminari di rito e sollevato le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis e comma 1-ter, D.Lgs. n. 33/2013.
Le precisazioni del TAR
Riguardo l’impugnazione degli atti applicativi della normativa dell’art. 14, comma 1-bis, nella parte in cui prevede la pubblicazione dei dati ex lettere c) e f) del comma 1 dello stesso articolo, i ricorrenti hanno dedotto molteplici motivi di illegittimità della normativa applicata.
In primis la violazione dei principi del diritto europeo di proporzionalità e di finalità, in riferimento al diritto alla vita privata e alla protezione dei dati personali e di conseguenza la violazione degli obblighi internazionali e comunitari ex art. 117 della Costituzione. I resistenti hanno inoltre rappresentato l’inutilità delle misure adottate dal resistente per attenuare la lesività della pubblicazione dei dati e chiesto la diretta disapplicazione dell’art. 14, comma 1-bis, D.Lgs. n. 33/2013, in combinato disposto col comma 1 lettera c) e con riferimento alla lettera f) dello stesso articolo.
Il TAR, a suo tempo, ha deciso di non disapplicare la norma contestata in quanto non sarebbe individuabile una disciplina comunitaria direttamente applicabile e ha ritenuto quindi di non rinviare la questione alla Corte di Giustizia UE, bensì ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sull’art. 14, comma 1-bis nella parte rilevante per il caso concreo. Inoltre ha considerato non manifestamente infondata la questione di legittimità relativa all’art. 14, comma 1-ter, la quale prevede la pubblicazione sul sito dell’amministrazione degli emolumenti complessivamente percepiti da ciascun dirigente a carico della finanza pubblica.
L’intervento della Corte Costituzionale
Sulla prima questione, il giudice costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità della norma di legge, con sentenza n. 20/2019.
Infatti, partendo dall’art. 3 della Costituzione il giudice delle leggi ha effettuato una differenziazione tra gli emolumenti previsti nella lettera c) e le informazioni di cui alla lettera f): se per i primi la questione non è fondata in quanto il regime relativo a tali dati “risulta proporzionato rispetto alle finalità perseguite dalla normativa”, per le seconde il regime previsto “impone oneri non proporzionati rispetto ai fini perseguiti, mediante una misura eccessivamente restrittiva dei diritti personali” non operando inoltre alcuna distinzione all’interno della categoria dei dirigenti.
In tal senso la Consulta ha individuato due criteri distintivi, il grado di esposizione dell’incarico pubblico e il rischio di corruzione, a cui informare la modalità di diffusione delle informazioni. In definitiva il giudice costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 14, comma 1-bis, nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni debbano pubblicare i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, anziché per i soli titolari degli incarichi dirigenziali di vertice.
La Corte ha dichiarato, invece, l’inammissibilità delle questioni sollevate in riferimento all’art. 14, comma 1-ter, “in quanto i provvedimenti impugnati nel giudizio principale non sono stati adottati in applicazione del comma 1-ter, bensì unicamente in applicazione del comma 1-bis”.
La prosecuzione del giudizio innanzi al TAR
Dopo tale intervento, il Garante ha agito in autotutela sugli atti impugnati e ha dichiarato che le richieste effettuate ex art. 14 comma 1-bis devono ritenersi come non trasmesse e, su questa base, ha richiesto al TAR di dichiarare cessata la materia del contendere, mentre il ricorrente ha insistito nella domanda di annullamento.
La parte ricorrente ha eccepito come l’art. 14, comma 1, lett. c), violasse il diritto UE chiedendone così la disapplicazione, e, in via subordinata di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia UE. Identica richiesta è stata fatta per l’art. 14, comma 1-ter.
Pertanto, a seguito dell’annullamento disposto dal Garante in autotutela, la pretesa di parte ricorrente è stata integralmente soddisfatta. Relativamente alle richieste di disapplicazione della normativa statale e di rinvio alla Corte di giustizia UE, il Tribunale ha affermato che “le richieste (di parte ricorrente) sono esorbitanti rispetto alla materia del contendere, non essendo stato adottato, dopo il ritiro degli atti impugnati, da parte dell’Amministrazione resistente, alcun atto lesivo avente ad oggetto la pubblicazione dei dati relativi agli emolumenti” e ha ricordato che “il giudice amministrativo non può pronunciare in merito a poteri pubblici non ancora esercitati, non essendo ammessa un’azione a tutela preventiva degli interessi privati”.
La deliberazione del TAR
Poiché sul bene giuridico “diritto alla riservatezza” esercita la giurisdizione il giudice ordinario e non quello amministrativo, il TAR ha statuito che le richieste di parte ricorrente non possono essere soddisfatte in tale sede e pertanto ha dichiarato la cessazione della materia del contendere.

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