19/09/2017 – referendum consultivo regionale del prossimo 22 ottobre – Considerazioni su un ipotizzato ruolo “propulsivo” dei Comuni

Considerazioni su un ipotizzato ruolo “propulsivo” dei Comuni, attraverso specifiche attività di comunicazione e di iniziative divulgative volte a promuovere la conoscenza della materia e dei contenuti del referendum consultivo regionale del prossimo 22 ottobre. 

 

Con Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 2017/745, pubblicato sul BURL 27/7/2017 n. 30 S.Ord. è stato indetto un referendum consultivo regionale ai sensi dell’art. 25 e ss. della L.R. 34 del 28-4-1983.

La data della consultazione referendaria è stata fissata nel 22 ottobre.

La Legge 22-2-2000 n. 28 prevede all’art 1 commi 1° e 2° la disciplina dell’informazione e della comunicazione politica durante le campagne per l’elezione al Parlamento europeo, per le elezioni politiche, regionali e amministrative e per ogni referendum. Il successivo art. 9, al comma 1° prevede che dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto e’ fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni.

La suddetta legge è stata richiamata, nel nostro specifico caso che investe i Comuni lombardi, dalle Circolari prefettizie che, per l’occasione, ricordano quanto prescritto dalla suddetta legge e che sono pervenute ai Comuni in questi giorni. Tali circolari  non si discostano dai contenuti della nota protocollo 19778 del 28 luglio 2017 inviata ai Comuni lombardi dal CORECOM (Comitato Regionale per le Comunicazioni della Lombardia) che ha richiamato l’attenzione sui divieti previsti in particolare dall’ art. 9, al comma 1 della Legge 22-2-2000 n. 28.

Fino a che punto può dunque spingersi la comunicazione istituzionale comunale assumendo iniziative relative alla materia referendaria e al quesito che sarà  posto il 22 ottobre?

In altri termini: è opportuno oppure doveroso che il Comune fornisca, nell’ambito della campagna referendaria, una informazione “neutrale, obiettiva ed imparziale” sui contenuti del quesito e sul significato anche in considerazione del tecnicismo della materia e della sua complessità anche al fine di consentire che l’eventuale astensione dal voto sia frutto di una scelta consapevole e ragionata? E ancora: è doverosa una “comunicazione istituzionale” di tal fatta cosi come richiesto con mozioni presentate ai Consigli comunali in questi giorni da alcune forze politiche?

Il tema non è se il Comune, nell’informare sul referendum del prossimo 22 ottobre, debba farlo attraverso contenuti imparziali, neutrali, tecnici e asettici. Ciò si dà per doveroso e scontato.

Il tema è se il Comune debba o possa, per quanto attraverso una informazione neutrale e imparziale, assumere iniziative specifiche e ad hoc che mirino a fare “pubblicità” al referendum promuovendolo presso i cittadini, illustrandone attraverso i proprii canali istituzionali, il contenuto, spiegando il quesito ecc. come appunto richiesto da qualche forza politica.

Si tratterebbe in sostanza di fare proprio ciò che chiedeva, rispetto alla TV pubblica, il Partito Radicale nel 2000, in occasione di un evento referendario, per cui venne chiamata in Causa la Corte Costituzionale che, attraverso la sentenza 502 del 2000, si espresse molto chiaramente.

La Corte afferma: “non appare affatto irragionevole la scelta che l’informazione sul merito, cioè sul significato e la portata dei quesiti referendari -e non su dati meramente estrinseci: denominazione del referendum e modalità di voto- si svolga attraverso la partecipazione dialettica di tutti i soggetti interessati, anziché essere affidata ad un’unica fonte, per quanto impersonale, obiettiva e neutrale possa essere

E ancora:  “d’altronde, proprio la rilevata complessità dei quesiti elettorali induce a ritenere che ragionevolmente non sia stato affidato….alla comunicazione “istituzionale” delle amministrazioni pubbliche il compito di chiarire “il significato e la portata dei quesiti referendariD’altra parte, la stessa disposizione invocata dai ricorrenti a sostegno della assoluta necessità della c.d. comunicazione “istituzionale” sul significato e la portata dei quesiti referendari, e cioè l’art. 9 della citata legge n. 28 del 2000, va interpretata, nel comma 1, nel senso che il divieto alle amministrazioni pubbliche di “svolgere attività di comunicazione” durante la campagna elettorale è proprio finalizzato ad evitare il rischio che le stesse possano fornire, attraverso modalità e contenuti informativi non neutrali sulla portata dei quesiti, una rappresentazione suggestiva, a fini elettorali, dell’amministrazione e dei suoi organi titolari.”

Dunque se quanto viene chiesto sta nei limiti della ordinaria stretta comunicazione istituzionale comunale, esattamente sulla falsariga di quanto i Comuni fecero in occasione del referendum del 12 e 13 giugno 2011 sulla materia dei servizi pubblici locali e dell’acqua, o di quanto fecero in occasione del referendum del 17 aprile 2017 sulla trivellazione di idrocarburi, o ancora di quanto fecero in occasione del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, in tal caso la richiesta è pleonastica: i Comuni, come sempre, forniranno, attraverso i consueti canali le indicazioni e le informazioni agli elettori. 

Se invece quanto viene chiesto è qualcosa di diverso e di additivo rispetto alla comunicazione istituzionale “tradizionale” e che quindi va oltre essa, allora cozza irrimediabilmente con quanto sopra precisato chiarito e raccomandato dalla Corte Costituzionale.

Terze vie non paiono esistere.

Se poi i Consigli comunali ritenessero di voler ignorare la giurisprudenza costituzionale impegnando comunque le Amministrazioni a svolgere azioni di pubblicizzazione, propulsive, divulgative, esplicative del referendum in questione, svolgendo attività additive rispetto a quelle di comunicazione dei dati meramente estrinseci: denominazione del referendum, modalità di voto, contenuto del quesito, allora, al di là delle ovvie problematicità sul piano della legittimità di tale decisione con le conseguenti responsabilità amministrative ed erariali,  ciò creerebbe un precedente che legittimerebbe i comitati promotori di futuri referendum ad esigere anche per questi ultimi le stesse azioni da parte delle Amministrazioni comunali.

Daniele Perotti     

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