19/08/2018 – A Genova non è crollato solo un ponte.

A Genova non è crollato solo un ponte.*

La triste vicenda del crollo del ponte di Genova ha messo in luce molto di più di ciò che avrebbe potuto il semplice cedimento di un’opera. La questione tecnica, probabilmente, verrà chiarita, anche se, dalle notizie che si apprendono, pare che ci sia davvero poco da chiarire. Il crollo di quell’opera che, neanche a farlo apposta, è un “ponte”, cioè una struttura di collegamento che ha lo scopo di mettere in relazione parti lontane, ha messo in evidenza lo stato del nostro sistema sociale, caratterizzato da profonde fratture e dalla assoluta indisponibilità a costruire o tenere in vita “ponti relazionali”, attraverso i quali provare a trovare la condivisione di valori comuni.
In un sistema sociale “civile” e veramente “democratico”, dopo una tragedia del genere si sarebbe potuto trovare un’occasione di unità del Paese, sia per rispetto delle persone la cui vita è stata irrimediabilmente, sia per rispetto di un “metodo istituzionale”, per il quale lo Stato deve rappresentare il punto di unione di tutti, indipendentemente dalle appartenenze.
Così non è stato. La tragedia ha innescato una scintilla pericolosa all’interno di un sistema che dato dimostrazione del peggio di sé.
I rappresentanti delle istituzioni, con le esternazioni intempestive, hanno dato dimostrazione di rabbia, non di equilibrio. Non solo per le dichiarazioni frettolose, ma per il tono che rivelava intenti vendicativi nei confronti dei responsabili della tragedia. Certamente, in quella circostanza, quel tono è giustificabile in ogni cittadino, ma non nei rappresentanti delle istituzioni, a cui spetta il compito di tenere il Paese unito.
Ma è altrettanto grave che a questo tono ha risposto la rabbia, ancora più cieca delle opposizioni che, pur di contrastare il Governo del colore diverso, hanno persino preso le parti dei responsabili del crollo o hanno fatto ricorso a pretestuose argomentazioni, per fare risalire le colpe a chi in passato aveva manifestato dissenso verso un’altra opera.
Si tratta di due rabbie diverse: la prima, pur se inopportuna, che deriva dalla inesperienza del ruolo, ma finalizzata a cercare i responsabili di un disastro, verso il quale dovremmo tutti esprimere sgomento e solidarietà; la seconda, che deriva dalla mera contrapposizione su tutti i fronti, che deriva dalla interpretazione della politica come scontro e non come dialogo.
Il risultato di questo copione è un Paese in eterno conflitto, su ogni questione, dalla più banale alla più profonda.
Se vivessimo in un Paese civile, ci sentiremmo tutti, senza distinzione di parte, interessati a trovare i responsabili di questa tragedia per assicurarli alla giustizia, sia per chiedere il ristoro dei danni subiti, sia per consentire al sistema di mettersi al riparo da fatti simili. Ma non è così. La contrapposizione rabbiosa ha prodotto una parte di cittadini che non nascondono di manifestare fastidio nella ricerca dei colpevoli o peggio, di eventuali antiche collusioni. E accetterebbero volentieri l’insuccesso di qualsiasi iniziativa governativa, anche a costo che nessuno paghi per un fatto così grave.
Dalla vicenda del crollo del ponte sono emerse, non soltanto, leggerezze di carattere tecnico, ma gravi negligenze di carattere amministrativo o persino collusioni che, se confermate, (in buona parte lo sono già) delineano un quadro allarmante, caratterizzato da gravi interferenze ai danni, sia della libertà di mercato, che viene invocata anche per gli appalti di valore esiguo, sia del funzionamento complessivo del Paese. Dal quadro che si ricava, peraltro in un periodo successivo a “tangentopoli” e dopo il crollo della Democrazia cristiana, si delinea un Paese in cui le istituzioni non si prodigano per l’interesse pubblico, ma per i più remunerativi interessi di parte,  in cui le risorse pubbliche sono distolti a vantaggio di imprese che, con lo scudo del “servizio pubblico” hanno privilegiato il conseguimento di profitti, anche ai danni della funzionalità e persino della sicurezza dei servizi.
I cittadini di un Paese ridotto in queste condizioni dovrebbero provare scandalo verso ciò che è accaduto e sentirti uniti e determinati per difendere la propria Nazione dalle interferenze affaristiche, anche se mascherate con i simboli e le ideologie dei partiti.
Serve la consapevolezza di un “modo diverso di fare politica” che non consiste nella difesa di una parte o nell’attacco alla parte avvera, ma consiste nella partecipazione consapevole, senza la fretta di prendere posizione, ma con l’intento di avere contezza su ciò che accade e avere il coraggio di isolare chi compromette i valori democratici, da qualunque parte provenga.
(*) articolo pubblicato su www.pomezianews.it

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