19/03/2020 – Il Comune in caso di incarico esterno ad un professionista deve pagare le competenze anche se gli obiettivi non sono stati raggiunti

Il Comune in caso di incarico esterno ad un professionista deve pagare le competenze anche se gli obiettivi non sono stati raggiunti
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
 
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5893, del 3 marzo 2020, nel respingere il ricorso di un Comune ha affermato che se è stato stipulato un contratto di collaborazione con un professionista è necessario pagargli le competenze anche se i risultati non sono stati raggiunti.
Il contenzioso
Con sentenza del gennaio 2014, la Corte d’appello, decidendo sull’impugnazione proposta da un professionista nei confronti di un Comune ha riformulato la decisione dei giudici di prime cure, rigettando l’opposizione proposta dal Comune avverso il decreto ingiuntivo del 2006, avente ad oggetto il pagamento di compensi relativi ad un incarico di collaborazione maturati dal gennaio 2006 fino alla scadenza del rapporto previsto per il mese di giugno 2006.
La Corte territoriale nel rilevare che nel caso in esame un ingegnere, aveva stipulato con il Comune (in persona del Commissario prefettizio) un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto per lo svolgimento di una serie di prestazioni professionali indicate nel contratto stesso, riteneva che interpretando le clausole di tale contratto , dovesse considerarsi che la scadenza naturale dello stesso fosse la scadenza del mandato Commissario straordinario e che fosse stata, inoltre, prevista altra possibile data di scadenza (antecedente rispetto a quella della indicata scadenza naturale) coincidente con il raggiungimento degli obiettivi da parte del professionista alla data del dicembre 2005 ovvero successivamente ed altresì previsto che un eventuale successivo rinnovo necessitasse di un nuovo atto sottoscritto dalle parti (con esclusione di ogni rinnovazione tacita del contratto).
I giudici di secondo grado evidenziano che, era pacifico il fatto che essendo evidente tra le parti la circostanza del mancato raggiungimento degli obiettivi alla data di fine dicembre 2005, il rapporto fosse proseguito successivamente a tale data e che neppure fossero stati raggiunti gli obiettivi prima della scadenza del mandato del Commissario straordinario con continuazione della collaborazione fino alla data massima contrattualmente prevista (giugno 2006, corrispondente, appunto, alla scadenza di detto mandato).
Le motivazioni del ricorso in Cassazione del Comune
Avverso la sentenza sfavorevole il Comune è ricorso in Cassazione sostenendo che, con il primo motivo il Comune stesso denuncia violazione e falsa applicazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.; in particolare l’ente locale sostiene che la Corte territoriale avrebbe del tutto trascurato la previsione di cui all’art. 1367 c.c. che impone di interpretare il contratto o le singole clausole “nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”.
L’ente locale ricorrente ritiene che l’interpretazione fornita dalla Corte d’appello non consente di attribuire alcun effetto alla previsione di una previa verifica su relazione dell’attività svolta, alla individuazione delle modalità di rinnovo del contratto di collaborazione che dovrà risultare da nuovo atto sottoscritto dalle parti nonché alla esclusione di ogni rinnovazione automatica, anche tacita.
Il Comune ricorrente sostiene che la ingannevole interpretazione della Corte territoriale non consentirebbe effetto alcuno alle previsioni contrattuali citate non avendo senso prevedere i presupposti di un eventuale rinnovo contrattuale (previa verifica e nuovo atto sottoscritto dalle parti) successivo al mandato del commissario laddove ciò è vietato dal comma 3, dell’art. 110D.Lgs. n. 267/2000, richiamato espressamente nelle premesse della deliberazione di conferimento dell’incarico.
Ritiene il Comune ricorrente che l’unica interpretazione conforme al canone ermeneutico sarebbe quella secondo cui dopo la scadenza del 31 dicembre 2005 e fino alla scadenza del Commissario vi sarebbe sempre necessità di una proroga scritta, nella specie non intervenuta.
L’analisi della Cassazione
I giudici di legittimità ritengono, con riferimento alla parte che interessa il presente commento, che il motivo di ricorso sia infondato.
Come dalla Cassazione più volte affermato, il criterio interpretativo di cui all’art. 1367 c.c. è sussidiario nel senso che occorre far ricorso al principio della conservazione degli effetti utili del contratto solo allorquando il senso del contratto o di una sua clausola sia rimasto oscuro o ambiguo nonostante l’utilizzo dei principali mezzi di ermeneutica (letterale, logico e sistematico) fissati dalle precedenti disposizioni di cui agli artt. 1362 ss. c.c. (cfr. Cass. civ. 23 luglio 2018, n. 19493Cass. civ. 19 febbraio 2016, n. 3275Cass. civ. 20 dicembre 2011, n. 27564Cass. civ. 30 marzo 2007, n. 7972).
Va ricordato che l’art. 1367 del Codice civile afferma che “Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”.
Di conseguenza, osserva la Corte di Cassazione, qualora l’utilizzazione di tali altri principali mezzi abbia consentito di individuare adeguatamente il significato e la portata del contratto, il criterio sussidiario in esame non può trovare applicazione, neppure in funzione della conservazione del negozio, non potendo tale finalità essere conseguita attraverso un’interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, ma dovendo in tal caso dichiararsi, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del contratto.
Nel caso in esame la Corte territoriale ha identificato chiaramente l’intento delle parti attraverso una interpretazione letterale del contratto ed una lettura armonica delle clausole dello stesso e cioè sia di:
– quella dell’art. 3 che individuava più scadenze (una naturale ed altre anticipate);
– quella dell’art. 5 che determinava i compensi (distinguendo l’ipotesi del rapporto protrattosi fino alla scadenza del mandato del Commissario straordinario rispetto a quello che avesse eventualmente avuto scadenza anticipata), ciò nel pieno rispetto della gerarchia dei canoni interpretativi.
La Cassazione ricorda che:
– l’art. 3, del contratto prevede che “il presente incarico, ai sensi della deliberazione (……) , decorre dal 4.8.2005 e cesserà alla scadenza del mandato del Commissario straordinario o in ogni caso con il raggiungimento degli obiettivi previsti con la seguente articolazione: fino al 31/12/2005 e di seguito fino alla scadenza del mandato del Commissario previa verifica su relazione dell’attività svolta; l’eventuale rinnovo del contratto di collaborazione dovrà risultare da nuovo atto sottoscritto dalle parti; è esclusa ogni rinnovazione automatica o tacita”;
– l’art. 5 del contratto prevede che “a fronte del presente incarico, il committente si impegna a corrispondere al collaboratore il compenso lordo di euro 5.000,00 fino al 31/12/2005 e di euro lordi 10.000,00 fino alla scadenza del mandato del Commissario straordinario, in cui sono ricomprese le ritenute fiscali, previdenziali e assicurative nella misura prevista dalla normativa vigente e le vacazioni”.
A tal fine ha, in particolare, evidenziato che le parti contraenti avessero individuato una scadenza naturale del rapporto di collaborazione coincidente con la scadenza del mandato del Commissario straordinario (avvenuta nel giugno del 2006), scadenza massima consentita, ed eventuali scadenze anticipate in corrispondenza con il raggiungimento degli obiettivi (rispettivamente al 31/12/2005 ovvero – previa verifica su relazione dell’attività svolta – successivamente, ancorché prima della scadenza naturale come sopra individuata).
La Cassazione osserva che a fronte di tale interpretazione l’ente locale ricorrente oppone, attraverso il richiamo al criterio sussidiario (nella specie non invocabile) e senza la denuncia della violazione degli artt. 1324 e 1362 ss. c.c., formulata attraverso la specifica indicazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia discostato da tali principali norme ermeneutiche, una lettura diversa delle clausole contrattuali, sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue, come tale inammissibile.
Per la Corte di Cassazione neppure l’interpretazione fornita della Corte territoriale è tale da privare di efficacia le clausole negoziali ed in particolare quella di cui all’art. 3 (“l’eventuale rinnovo del contratto di collaborazione dovrà risultare da nuovo atto sottoscritto dalle parti; è esclusa ogni rinnovazione automatica o tacita”) atteso che la stessa, come si evince dalla complessiva ricostruzione dei giudici di appello, doveva essere riferita solo ad un eventuale rinnovo rispetto alla scadenza naturale (risolvendosi, così, in una mera enunciazione di principi giuridici in materia di forma e rinnovo dei contratti conclusi con la pubblica amministrazione).
Le conclusioni
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità.

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