19/03/2020 – Decreto “Cura Italia”: esenzione dal servizio con le molle

Decreto “Cura Italia”: esenzione dal servizio con le molle
L. Oliveri (La Gazzetta degli Enti Locali 19/3/2020)
 
L’esenzione dal servizio è un rimedio estremo, da maneggiare con cautela. Il d.l. 18/2020 ha affrontato con maggior coraggio e risolutezza il problema del personale pubblico non oggettivamente da adibire in modo utile ad attività indifferibili, e che non possa essere inserito nel lavoro in modalità agile.

L’articolo 87, comma 3, del d.l. fornisce delle soluzioni graduate. Prima di giungere all’esenzione occorre esperire ogni possibile tentativo per consentire al dipendente di non rendere la prestazione, con un titolo legittimo. Quindi, nell’ordine la norma indica ai datori (che sono dirigenti e responsabili di servizio, non gli organi di governo) di utilizzare le ferie pregresse, il congedo, la banca ore, la rotazione e altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva.

L’aggettivo “pregresse” accanto al sostantivo “ferie” sta ingenerando equivoci, che sarebbe stato il caso di evitare. Il corretto riferimento sarebbe alle ferie provenienti da annualità precedenti, cioè maturate nel 2019 o, negli enti caratterizzati da una gestione poco virtuosa delle ferie, addirittura anche nel 2018 o prima ancora.

Queste ferie “pregresse”, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. 66/2003 e di tutte le disposizioni dei Ccnl dei comparti pubblici, si sarebbero dovute comunque consumare al massimo entro il mese dell’aprile 2020. Le ferie “pregresse” del 2018 e degli anni precedenti, ben prima.

Ai sensi del citato articolo 10 del d.lgs. 66/2003, risponde amministrativamente il dirigente che non si sia attivato per far effettuare le ferie spettanti ai dipendenti. Questa sanzione evidenzia sia l’obbligo del dirigente a disporre le ferie, sia il dovere di agire per farle fruire.

Non vi può essere, quindi, alcun dubbio sul potere datoriale di assegnare ai dipendenti le ferie d’ufficio, a prescindere, quindi, da una loro richiesta: si tratta, infatti, di una misura che ha il prevalente fine di garantire il distanziamento sociale, alternativa al lavoro agile (se il lavoro agile non possa per qualsiasi ragione, da esplicitare, attivato).

Ma, il potere datoriale non si limita di certo alle ferie “pregresse”. Anche quelle del 2020 possono e debbono essere utilizzate, in mancanza d’altro, almeno per quelle due settimane al di fuori di quelle che la norma ed i contratti lasciano nella disponibilità del lavoratore.

Ovvio che gli enti accanto alle ferie possano attivare altri strumenti: il recupero delle ore accumulate per straordinari per i quali il dipendente abbia chiesto l’inserimento e conservazione nella banca delle ore è una prassi corretta e consigliabile.

Gli ultimi due periodi del comma 3 dell’articolo 87 affrontano il problema delle conseguenze discendenti dalla consumazione totale, o loro impossibile utilizzo, degli strumenti alternativi al lavoro agile, cioè appunto ferie, congedi, banca delle ore. Che fare, dunque, se vengono a mancare titoli legislativamente e contrattualmente validi per lasciare il personale a casa, senza privarli della retribuzione?

La questione nasce a causa dell’assenza nel lavoro pubblico di uno strumento come la cassa integrazione (il dramma del coronavirus, forse, insegna: meglio per il futuro colmare questa lacuna), che consente la sospensione dal lavoro, cui consegua un ammortizzatore sociale pari a percentuali più o meno lontane dal 100% della retribuzione in godimento.

Il d.l. 18/2020 propone una scelta dai contenuti analoghi: l’esenzione dal servizio, con la precisazione che tuttavia “il periodo di esenzione dal servizio costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge e l’amministrazione non corrisponde l’indennità sostitutiva di mensa, ove prevista”.

È, dunque, qualcosa di diverso dalla cassa integrazione, perché sebbene il lavoratore sia esonerato, opera la finzione giuridica della considerazione come fosse in servizio; nella cassa integrazione, invece, il rapporto di lavoro è del tutto sospeso.

Gli effetti divergono anche sul trattamento economico. Con la cassa integrazione, lo stipendio viene sostituito da un’indennità. Con l’esenzione dal servizio l’ente continua a retribuire il lavoratore col vero e proprio trattamento stipendiale.

Sul punto, si pone un problema. Il legislatore si è limitato a specificare che al lavoratore non spetta il buono pasto.

Deve, però, risultare chiaro che siccome il lavoratore non svolge prestazioni lavorative, il trattamento economico non può che limitarsi al fondamentale: tabellare, indennità integrativa speciale per chi spetta, indennità di anzianità per chi spetta, posizione economica e indennità di comparto.

Il restante trattamento accessorio, come tutte le indennità connesse alle “condizioni di lavoro” (rischio, disagio, maneggio lavori), reperibilità, servizio esterno, particolari responsabilità, indennità per formatori ed educatori, turno, non può spettare. E se l’esonero riguardasse un titolare di posizione organizzativa, non potrebbero spettare né la retribuzione di posizione, né quella di risultato. Lo stesso per la dirigenza.

La mancata effettuazione delle prestazioni, infatti, scinde il rapporto sinallagmatico che permette al datore di retribuire lecitamente il lavoratore anche con gli strumenti del salario accessorio.

L’esenzione dal servizio, insomma, non è una sinecura, né può essere disposta a cuor leggero. Infatti, la norma del d.l. 18/2020 condiziona l’esenzione all’esaurimento di tutte le altre possibilità alternative (lavoro agile, attività indifferibili, ferie ed istituti simili) ed impone di spiegare perché si giunga alla scelta di esentare dal servizio: “Esperite tali possibilità le amministrazioni possono motivatamente esentare il personale dipendente dal servizio”.

La motivazione, seria, concreta e credibile, quindi, è imprescindibile per scongiurare le responsabilità amministrative connesse.

Per questa ragione, occorre meditare molto bene sull’opportunità del lavoro agile, considerando che non necessariamente esso richiede che sia svolto “on line” e con dovizia di mezzi telematici.

In ogni caso, gli enti possono consentire ai dipendenti di prendere i pc in dotazione e portarli a casa e spingerli ad acquisire, in assenza di cablaggio di rete a casa, all’acquisto dei mini router e delle sim dati. Si tratta di una spesa contenuta in poche decine di euro, che l’ente può anche coprire con fondi economali.

È bene esperire anche questo estremo tentativo, come ulteriore elemento a sostegno dell’esenzione dal servizio.

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