18/10/2017 – Accesso civico generalizzato: il Tar boccia le istanze massive ed abusivamente strumentali

Accesso civico generalizzato: il Tar boccia le istanze massive ed abusivamente strumentali

di Massimiliano Alesio – Avvocato

 

Non vi è dubbio che i nuovi istituti di trasparenza amministrativa, fra cui l’accesso civico generalizzato, siano meritoriamente diretti a favorire forme diffuse di controllo da parte dei cittadini sull’operato delle Pubbliche amministrazioni, oltre che ad introdurre misure, che consentano più efficaci azioni di contrasto alle condotte illecite ed ai fenomeni corruttivi. Ciò è stato ben puntualizzato dal Consiglio di Stato, nel parere n. 515 del 24 febbraio 2016, con il quale è stato esaminato proprio il Decreto di rafforzamento della trasparenza (D.Lgs n. 75 del 2016). Tuttavia, la vicenda, che ora verrà illustrata, evidenzia come i migliori intenti del Legislatore, positivizzati in penetranti strumenti di conoscenza pubblica, possano essere strumentalmente utilizzati, dando luogo a condotte e richieste prive di alcun ragionevole senso. Un cittadino presentava al Comune di Broni un’istanza di accesso civico, volta ad ottenere copia su supporto informatico «di tutte le determinazioni complete degli allegati emanate nel corso dell’anno 2016 da tutti i Responsabili dei servizi nell’anno 2016». Il Comune, esaminata la richiesta, giustamente chiedeva di precisare se, con la medesima, si intendesse dar luogo ad un “accesso civico semplice”, ai sensi del comma 1 dell’art. 5D.Lgs n. 33 del 2013, ovvero un “accesso civico generalizzato”, ai sensi del comma 2°, del medesimo articolo. Ricevuta la precisazione che trattasi di un “accesso civico generalizzato”, il Comune emanava un preavviso di diniego, sulla base della considerazione che l’istanza di accesso, così come concretamente formulata, era da considerarsi come “massiva” e manifestamente irragionevole, in aderenza alle Linee Guida approvate dall’ANAC (Delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016). A seguito di controdeduzioni, il Comune formulava il diniego definitivo, che diveniva oggetto di richiesta di riesame. A questo punto, il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza del Comune, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, ai sensi dell’art. 5, comma 7 del citato Decreto, respingeva la richiesta di riesame, confermando il diniego definitivo. Avverso il provvedimento di conferma, veniva proposto il ricorso al Tar.

Con il D.Lgs n. 33 del 2013, la trasparenza amministrativa acquista nuova forma e viene ulteriormente potenziata anche dal punto di vista concettuale, venendo definita come: “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”. In coerenza con il dichiarato potenziamento, è stato ampliato il primigenio accesso civico, aggiungendo un’ulteriore figura di accesso: l'”accesso civico generalizzato”. Il Tar, nella pronuncia in esame è pienamente consapevole di tale evoluzione e perviene ad una chiara esposizione delle differenze: “Le fattispecie di cui al comma 1 e al comma 2 dell’art. 5 sono diverse: mentre il comma 1 riguarda documenti, informazioni o dati per i quali è previsto l’obbligo normativo della pubblicazione, il comma 2 invece riguarda dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del decreto. La distinzione riguarda l’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto, ma non quello soggettivo, potendo “chiunque” esercitare sia l’accesso civico, di cui al primo comma, sia quello c.d. generalizzato, di cui al secondo comma“. In altri termini, con il vecchio accesso civico, si è consacrato il diritto di ciascun soggetto, nei riguardi della PA, ad ottenere l’ostensione di atti e documenti, laddove fosse obbligatorio pubblicarli e tale obbligo non fosse stato puntualmente adempiuto. A ben vedere, il vecchio accesso civico presta il fianco a due limitazioni: – da un lato, esso è circoscritto ai soli atti, documenti e informazioni oggetto di obbligo di pubblicazione; – dall’altro, invece, esso più che un autonomo diritto riconosciuto ai cittadini, viene identificato alla stregua di una sanzione in caso di mancata osservanza degli obblighi di pubblicizzazione imposti dalla legge. Con il D.Lgs. n. 97 del 2016, si assiste al passaggio ad un sistema, nel quale si è innestato nell’ordinamento un nuovo diritto di accesso civico ai dati e alle informazioni pubbliche, seppur nei limiti tassativamente previsti dalla legge, anche in assenza di un esplicito obbligo di pubblicazione. Si tratta di un modello già collaudato negli ordinamenti anglosassoni (FOIA, Freedom Of Information Act), il cui fine è rappresentato precipuamente dalla libertà di accedere alle informazioni possedute dagli apparati pubblici. Nel nuovo accesso civico generalizzato, infatti: – non si richiede un interesse diretto e qualificato per accedere (come nell’accesso documentale, ai sensi degli artt. 22 ss., L. n. 241 del 1990); – non deve sussistere il presupposto della mancata pubblicazione di un documento, che si doveva pubblicare (come nel vecchio accesso civico). Con il nuovo accesso civico, non ci sono limitazioni correlate alla legittimazione soggettiva del richiedente, ne peculiari presupposti; ma solo i limiti costituiti dalle cd. “eccezioni assolute” (divieti imposti da norme di legge a tutela del segreti di Stato ed altri “segreti”) e dalle cd. “eccezioni relative”, in presenza delle quali la singola Pa può negare l’accesso valutando caso per caso, laddove la diffusione dei dati, documenti e informazioni richiesti potrebbe determinare un “probabile pregiudizio concreto ad alcuni interessi pubblici e privati di particolare rilievo giuridico” (ANAC, Delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016).

Nell’esame della concreta vicenda, il Tar perviene a talune riflessioni e conseguenti statuizioni di enorme importanza. I giudici amministrativi principiano l’analisi di merito, evidenziando che il novello accesso civico generalizzato, proprio per non tradire i nobili fondamenti ed intenti, non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alla finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. In altri termini, non può “essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento dell’amministrazione. La valutazione dell’utilizzo secondo buona fede va operata caso per caso, al fine di garantire – in un delicato bilanciamento – che, da un lato, non venga obliterata l’applicazione dell’istituto, dall’altro lo stesso non determini una sorta di effetto “boomerang” sull’efficienza dell’Amministrazione“.

Parole sagge, che conducono ad un lucido esame della concreta istanza presentata. Richiedere in accesso “tutte le determinazioni complete degli allegati emanate nel corso dell’anno 2016 da tutti i responsabili dei servizi nell’anno 2016“, a cui si aggiungono due ulteriori istanze, volte ad ottenere tutte le determinazioni di tutti i Settori dell’Ente emanate nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2017, costituiscono una richiesta “sovrabbondante, pervasiva e, in ultima analisi, contraria a buona fede dell’istituto dell’accesso generalizzato“. Infatti, occorre tener conto che il ricorrente, dal novembre 2015 all’agosto 2017, ha presentato in Comune ben 73 richieste di accesso! Tutto ciò è in linea con il novello istituto? Tutto ciò è coerente con le finalità del medesimo? La risposta negativa del Tar è più che convincente. In primo luogo, si fa osservare che la richiesta comporta “un facere straordinario, capace di aggravare l’ordinaria attività dell’Amministrazione“. Infatti, la richiesta di tutte le determinazioni di tutti i responsabili dei servizi del Comune assunte nel 2016 non può che implicare, necessariamente, l’apertura di innumerevoli subprocedimenti, volti a coinvolgere un numero spropositato di soggetti controinteressati. In secondo luogo, la richiesta non può che apparire come “massiva”, come rettamente indicato dall’ANAC: “L’amministrazione è tenuta a consentire l’accesso generalizzato anche quando riguarda un numero cospicuo di documenti ed informazioni, a meno che la richiesta risulti manifestamente irragionevole, tale cioè da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione.” (Delibera cit.). Infine, secondo i giudici amministrativi lombardi, occorre tener conto del principio di buona fede e del correlato divieto di abuso del diritto. Il dovere di buona fede, previsto dall’art. 1175 c.c., innovativamente interpretato alla luce del principio di solidarietà (art. 2 Cost. e CEDU), deve essere inteso anche come giusto criterio per individuare un legittimo limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale. In altri termini, se da un lato, è vero che il titolare di una posizione giuridica soggettiva è libero sul se attivare o meno la propria pretesa (quale libertà tutelata dall’ordinamento), è pur vero che tale libertà deve essere riletta in chiave di rilevanza sociale. Quindi, assume una posizione recessiva il vecchio principio, di stampo liberale, “qui suo jure utitur neminem laedit“, secondo il quale chi esercita un proprio diritto non fa male a nessuno. Negli attuali ordinamenti, la valorizzazione degli obblighi di solidarietà sociale e di civile convivenza ha imposto la necessità di individuare le modalità di pacifica convivenza e congrua sinergia tra libertà ed abuso. Infatti, la teorica dell’abuso della libertà contrattuale nasce e si sviluppa a fronte dell’abbandono della visione liberale classica dei rapporti economici e per l’ormai manifesta inadeguatezza del principio di eguaglianza formale a garantire la giustizia del e nel contratto (F. Di Marzio, “Deroga al diritto dispositivo, nullità e sostituzione di clausole del consumatore“, in Contr. e impr., 2006, 704 ss.). Dunque, l’abuso del diritto si pone come limite esterno alla libertà. Sulla base di tali considerazioni teoriche, i giudici amministrativi ricordano che anche la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che l’abuso del diritto si configura in presenza dei seguenti elementi costitutivi: “1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte”. Ecco, l’ultimo elemento (il 4°) è quello che integralmente identifica la vicenda in esame: le effettive modalità di richiesta di accesso (tutte le determinazioni complete degli allegati ….) determinano una chiarissima, oltre che ingiustificata, sproporzione tra i benefici legittimamente consentiti al titolare del diritto ed i sacrifici (gravosi ed ingenti) cui è soggetta la controparte Pubblica amministrazione. E’ ben evidente che il “limite esterno al diritto” è stato superato, nel senso che il concreto esercizio traligna e tradisce le meritorie finalità e pone in essere una richiesta priva di senso, anche in considerazione del fatto che quasi tutti i documenti richiesti sono già oggetto di obbligatoria pubblicazione. In altri termini, l’assurdità dell’istanza viene ancor più comprovata dal fatto che il cittadino poteva visionare gli atti attraverso il semplice accesso al sito dell’ente ed alla connessa “sezione trasparenza”! Quindi, più che convincentemente il Tar qualifica la richiesta come “abusiva, massiva, irragionevole e sovrabbondante” e rigetta il ricorso.

T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 11 ottobre 2017, n. 1951

Art. 5, comma 2D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (G.U. 5 aprile 2013, n. 80)

D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97 (G.U. 8 giugno 2016, n. 132)

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