17/03/2017 – Troppe leggi. Quindi si fa poco

ItaliaOggi, 16 marzo 2017

Troppe leggi. Quindi si fa poco

  

Gli antichisti del diritto raccontano che dopo l’adozione del «Corpus iuris Iustinianeum», il tardo impero fu caratterizzato da una legislazione sempre più severa nei confronti degli ufficiali di governo, minacciati delle peggiori torture e di morte per ogni caso di corruzione o supposta corruzione. E la tortura istruttoria incuteva, in fin dei conti, molta più paura della morte, visti i raffinati strumenti e le diaboliche tecniche messe in uso dagli addetti a questa inumana attività. E alcuni di questi studiosi chiariscono il parallelismo che si può facilmente individuare tra il tardo impero e la Repubblica italiana dei nostri giorni, nella quale la seminagione di leggi sempre più severe e minacciose si accompagna alla crescita delle «notitiae criminis», di cui gazzette e gazzettieri danno ampia e documentata (di primissima mano) informazione.

Il clamore suscitato da ogni inchiesta è poi la ragione per la quale l’Italia si colloca così in fondo nella classifica della corruzione degli stati (67°posto, dietro Ruanda, Samoa, Macedonia, Ghana, Croazia e tanti altri paesi, alcuni malfamati), compilata da Trasparency International, basata sul numero e l’ampiezza degli articoli di stampa dedicati proprio alla corruzione. Paradossalmente, un metodo di ricerca che, alla fine, premia anche le nazioni autoritarie nelle quali la stampa non può scrivere o scrivere pochissimo della corruzione pubblica. C’è da aggiungere che le ben più attendibili classifiche dell’Osservatorio europeo di Bruxelles ci collocano nella media continentale.

A fare da «pendant» a questa constatazione è la classifica dei paesi per libertà di stampa nella quale ci troviamo al 77° posto, dietro la Moldova, il Nicaragua, l’Armenia e il Lesotho, nei quali regimi autoritari o tendenti all’autoritario controllano attentamente la stampa. E, poiché non c’è italiano che possa, in buona fede, ritenere bassa la libertà di stampa nei confronti della politica e dei politici, si deve riflettere sulle ragioni di questo così basso «ranking» che dà di noi una pessima impressione in tutto il mondo.Per non infierire, non aggiungo i dati delle classifiche sull’efficienza del pianeta giustizia.

Se torniamo al modo italiano di legiferare in materia di amministrazione, possiamo renderci conto come il livello di severità sia così elevato da far dubitare della concreta possibilità che gli uffici dello Stato possano operare, come debbono, nell’interesse della Nazione. È, infatti, evidente che il più onesto dei funzionari, intendendo onorare con onestà ed efficienza i propri compiti e adottando, quindi, uno dei provvedimenti che ritiene necessari, è esposto al rischio, una certezza più che un rischio, di non avere osservato o di avere osservato parzialmente una qualsiasi delle migliaia di norme che regolano la sua attività. E che, pertanto, è indotto a non fare per non rischiare. Mentre chi è disonesto e disposto a correre il rischio di incappare nella giustizia lo fa tranquillamente, avendo messo in conto la possibilità d’essere preso e, per converso, quello di lucrare il prezzo salato della propria corruttibilità.

Anche la creazione dell’Anac, un mostro amministrativo che dovrebbe vigilare preventivamente su ogni contratto dello Stato si tratti di appalti o di un semplice incarico qualsiasi, rappresenta una dannosa complicazione del sistema, visto che, dopo avere per anni deprecato (e abolito) il controllo preventivo della Corte di conti, si è tornati indietro su una delle tante ondate emotive, alle quali la politica risponde inventandosi l’ennesima foglia di fico. E l’ultima intervista molto difensiva rilasciata da Cantone, dopo lo scandalo vero o presunto della Consip, dimostra come, in fin dei conti, l’Anac finisca per scoprire soltanto una piccola parte del disastrato corpaccione degli uffici pubblici, sempre attaccabile su ogni fronte, si tratti di correttezza o di efficienza.

Per capirci, il problema dei problemi, in fondo, è proprio questo: le leggi draconiane servono a mettere a posto pubblicamente la coscienza dei politici. Se siano utili, efficaci e idonee a garantire l’efficienza amministrativa a nessuno importa. L’immenso stock di residui passivi accumulatosi in Sicilia è la dimostrazione di quanto affermato più sopra.

Dalla legalità repubblicana siamo passati alla legalità del basso impero, quello caduto facilmente nelle mani dei barbari. I casi della storia non si ripetono mai allo stesso modo, ma spesso si ripetono.

DOMENICO CACOPARDO

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