15/11/2016 – Cambia la riforma della dirigenza pubblica: i punti principali di modifica chiesti dalle Commissioni parlamentari competenti

Cambia la riforma della dirigenza pubblica: i punti principali di modifica chiesti dalle Commissioni parlamentari competenti

A. Scarsella (La Gazzetta degli Enti Locali 14/11/2016)

La scorsa settimana le Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato hanno espresso il loro parere sullo schema di decreto legislativo recante “Disciplina della dirigenza della Repubblica” (Atto del Governo n. 328), adottato in attuazione dell’articolo 11 della legge 7 agosto 2015, n. 124. Il parere arriva dopo il parere estremamente critico espresso dal Consiglio di Stato (Comm. spec., 14 ottobre 2016, n. 2113) ed il parere condizionato espresso dalla Conferenza unificata in data 3 novembre (consultalo qui).

Il testo del parere reso dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera in data 9 novembre (disponibile qui) è favorevole con ben 28 condizioni e 24 osservazioni; quello reso dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato in data 10 novembre è analogo con qualche differenza di dettaglio. Le condizioni poste dalle Commissioni parlamentari, secondo quanto previsto dall’art. 11, comma 2, della l. n. 124/2015, debbono essere tenute in considerazione dal Governo nella redazione definitiva del Decreto legislativo. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. Le Commissioni competenti per materia possono esprimersi sulle osservazioni del Governo entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono comunque essere adottati.

Le condizioni poste dalle Commissioni parlamentari oltre ad essere numerose, sono anche di importanza tale da far prevedere che il Governo, in sede di adozione del testo definitivo del Decreto, sarà costretto ad effettuare profonde modifiche al testo iniziale, fortemente criticato non soltanto da tutte le associazioni ed organizzazioni sindacali della dirigenza ma dallo stesso Consiglio di Stato e dalle Autonomie. Senza pretesa di esaustività, di seguito saranno prese in esame le principali condizioni contenute nei pareri resi dalle Commissioni parlamentari competenti, raggruppate in base al tema affrontato.

Le principali condizioni contenute nei pareri parlamentari

L’impatto economico della riforma

Il primo rilievo mosso dalle Commissioni parlamentari attiene alla necessità che il Governo provveda “quanto prima, anche in altro provvedimento, alla destinazione delle risorse necessarie a garantire la piena fattibilità del nuovo sistema della dirigenza, così da assicurare la piena operatività del nuovo sistema definito dalla riforma”. Il Consiglio di Stato, nel proprio parere, ha tra le altre cose evidenziato come uno degli elementi che può incidere sul funzionamento concreto di molti degli innovativi meccanismi previsti dalla riforma è costituito dal principio della invarianza di spesa. Le Commissioni parlamentari ritengono impensabile che una riforma di simile dimensione si realizzi senza destinare le risorse necessarie a garantire la piena fattibilità del nuovo sistema della dirigenza. Il Consiglio di Stato nel proprio parere aveva segnalato, tra l’altro, i costi di gestione della banca dati e quelli di funzionamento delle Commissioni.

I tempi della Riforma

Oltre all’impatto economico della riforma, il Consiglio di Stato nel proprio parere aveva rilevato come lo schema di decreto legislativo di riforma della dirigenza fosse privo di regole relative ad un compiuto sistema di valutazione, che pure ne dovrebbe costituire parte essenziale. Ad avviso del Consiglio di Stato, la disciplina della valutazione rappresenta una delle condizioni indefettibili per una riforma organica: la sua omissione rischia di comprometterne l’attuazione e, quindi, il raggiungimento delle stesse finalità prefissate dallo stesso legislatore. “Non si tratta, è evidente, di una criticità dell’articolato in oggetto, ma di una decisione assunta dal legislatore delegante, che ha rimandato la riforma di questo ambito al testo unico di riordino generale della disciplina del personale pubblico (art. 17, comma 1, lettera r, della l. n. 124 del 2015)”. Il Consiglio di Stato aveva quindi rimesso alla valutazione del Governo l’eventualità di riconsiderare la tempistica dell’entrata in vigore di queste due riforme, per evitare sfasamenti temporali che si risolverebbero anche in lacune attuative.

Il punto ha costituito oggetto di una specifica condizione da parte delle Commissioni parlamentari che hanno richiesto al Governo di “assicurare forme e modalità graduali di attuazione delle nuove disposizioni, sia a livello statale sia a livello regionale e locale, per consentire che il nuovo quadro normativo di riforma del sistema di valutazione di cui all’articolo 17 della legge 124 del 2015 possa accompagnare la piena attuazione del provvedimento in esame, con particolare attenzione alla disciplina applicabile nella fase transitoria, anche stabilendo un cronoprogramma dettagliato delle diverse fasi di attuazione della riforma in discussione, nonché assicurando che la banca dati “delle competenze” di cui all’articolo 19-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 abbia piena operatività”.

Riscrivere le norme sulla composizione ed il funzionamento delle Commissioni

L’art. 4 dello schema di decreto disciplina le «Commissioni per la dirigenza pubblica», prevedendo tre Commissioni diverse per la dirigenza statale, regionale e locale al fine di valorizzare la trasparenza, il buon funzionamento e l’imparzialità nell’attribuzione degli incarichi dirigenziali.  Nel parere del Consiglio di Stato e nel corso delle audizioni parlamentari, è stato più volte messo in evidenza il ruolo di primaria importanza ad esse attribuito nell’ambito del complessivo disegno riformatore per assicurare il funzionamento dei meccanismi che presiedono al nuovo sistema della dirigenza pubblica. Sul piano funzionale, infatti, le Commissioni svolgono compiti di estrema importanza in tutte le fasi nevralgiche di disciplina del rapporto di ufficio che vanno dalla scelta del dirigente, al sistema di valutazione, fino al momento della cessazione dell’incarico. “Ciò allo scopo di assicurare che la relazione tra politica e amministrazione si muova nella logica della differenziazione di funzioni coordinate e non in quella della commistione di compiti politici e gestionali. Queste funzioni sono indefettibili in un sistema, basato sul ruolo unico, che, ampliando la platea dei possibili destinatari di incarichi dirigenziali, potrebbe consentire l’innesto di meccanismi di interferenza politica non virtuosi nel procedimento di conferimento degli incarichi dirigenziali” (Cons. St., Comm. spec., 14 ottobre 2016, n. 2113). 

La Legge delega (art. 11, comma 1, lett. b1) prevede che i componenti delle Commissioni siano «selezionati con modalità tali da assicurarne l’indipendenza, la terzietà, l’onorabilità e l’assenza di conflitti di interessi, con procedure trasparenti e con scadenze differenziate, sulla base di requisiti di merito e incompatibilità con cariche politiche e sindacali». Lo schema di Decreto approvato in esame preliminare dal Governo prevede che:

·         la Commissione per la dirigenza statale sia composta da sette membri, di cui sono componenti permanenti: «il Presidente dell’Autorità nazionale anti-corruzione, il Ragioniere generale dello Stato, il Segretario generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il Capo Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell’interno, il Presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, nonché due componenti scelti tra persone di notoria indipendenza, con particolare qualificazione professionale ed esperienza in materia di organizzazione amministrativa»;

·         la Commissione per la dirigenza regionale e la Commissione per la dirigenza locale, sono disciplinate, rispettivamente, dai commi 8 e 9 del medesimo articolo 4, disponendo che esse sono istituite con l’intesa con la Conferenza unificata. La norma prevede che sono componenti di diritto permanenti quelli già indicati per la Commissione per la dirigenza statale, demandando all’intesa in sede di Conferenza l’individuazione degli altri due componenti.

Sulla scelta, criticata da tutti, anche dagli stessi soggetti individuati, ha espresso forti perplessità nel proprio parere il Consiglio di Stato che ha rilevato come lo schema di decreto abbia assegnato le delicate e fondamentali funzioni a soggetti che sono già impegnati a tempo pieno nell’espletamento di altri compiti, connessi alle loro cariche, di assoluto rilievo. “È alquanto difficile ipotizzare che, in tale situazione, essi riescano ad assicurare l’espletamento, nelle modalità e tempi previsti, delle ulteriori e nuove funzioni che comprendono non solo la definizione di regole di condotta nella fase di conferimento degli incarichi ma anche lo svolgimento di concreta attività amministrativa che coinvolge la posizione di singoli dirigenti. Il funzionamento dei lavori della Commissione impone pertanto, fermo quanto sopra esposto su un piano generale, da un lato, che i componenti di essa siano dedicati in via esclusiva all’esercizio di queste funzioni, dall’altro, che essi vengano affiancati da soggetti dotati di elevata competenza ed indipendenza, estranei alla compagine di governo, in grado di supportarli nel concreto svolgimento delle funzioni in esame”. Altro aspetto di forte critica riguarda la composizione nello specifico della Commissione per la dirigenza regionale e la Commissione per la dirigenza locale, “l’imposizione alle Regioni e agli Enti locali di una Commissione composta da cinque componenti individuati dal legislatore statale nell’ambito di figure di rilievo nazionale viola, infatti, la competenza legislativa regionale in materia di organizzazione. Lo Stato può, con legge, ritenere che esigenze unitarie impongano la disciplina uniforme a livello nazionale delle Commissioni per la dirigenza ma, in ossequio alle procedure di concertazione con i livelli di governo coinvolti, deve prevedere che le funzioni amministrative di scelta di tutti i Commissari vengano esercitate previa intesa con il sistema delle Conferenze”. 

Sulla base delle predette premesse, le Commissioni parlamentari intervengono in modo estremamente critico e deciso sulla problematica, ponendo al Governo le seguenti condizioni:

·         individuare, quanto alla composizione delle istituende Commissioni per la dirigenza statale, modalità che consentano di tenere conto pienamente delle previsioni della legge di delega, anche valutando un ampliamento da 7 a 9 del numero dei componenti, con una contestuale riduzione dei componenti di diritto, una loro scadenza differenziata e l’acquisizione di un previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, espresso a maggioranza dei due terzi, sulla proposta di nomina dei membri non di diritto delle Commissioni, tenuto conto del principio delle pari opportunità di genere;

·         individuare modalità di selezione dei componenti delle Commissioni per la dirigenza regionale e locale che sia coerente con i principi espressi nella legge di delega;

·         prevedere intense forme di raccordo per assicurare il pieno rispetto del riparto di competenze legislative costituzionalmente definito tra lo Stato e le Regioni, improntate al principio di leale collaborazione;

·         dotare le Commissioni per la dirigenza pubblica di un adeguato staff di supporto tecnico, composto da persone con comprovata esperienza e idonee qualifiche, anche in materia di organizzazione, gestione delle risorse umane e finanziarie, al fine di consentire una “fattibilità concreta” delle numerose funzioni che esse sono chiamate a svolgere per il funzionamento del sistema, che coinvolge una platea molto estesa di dirigenti pubblici;

·         stabilire con maggior chiarezza, conformemente a quanto previsto dall’articolo 11, comma 1, lettera a), che l’attribuzione della gestione del ruolo unico dei dirigenti regionali e locali è affidata, rispettivamente, alle istituende Commissioni per la dirigenza regionale e locale, mentre la “gestione tecnica” di tali ruoli è attribuita al Dipartimento della funzione pubblica.

Accanto alle predette condizioni, figura anche un’interessante osservazione, volta a indurre il Governo, in corrispondenza con quanto previsto per la Commissione per la dirigenza statale, a valutare l’opportunità di prevedere – ferma restando l’articolazione del sistema della dirigenza in ruoli unificati e coordinati, accomunati da requisiti omogenei di accesso e da procedure analoghe di reclutamento – che le Commissioni per la dirigenza regionale e locale siano istituite presso le Conferenze Stato-Regioni e Stato-città ed autonomie locali.

Garantire spazi di autonomia alle regioni e agli enti locali

Abbiamo visto in precedenza come il parere delle Commissioni abbia indicato la necessità di riscrivere le norme sulla composizione delle Commissioni per la dirigenza regionale e locale, al fine di garantire gli spazi di autonomia di Regioni ed enti locali. In altre parti del parere, tuttavia, si invita il Governo ad avere in debita considerazione le autonomie. Ci si riferisce sia alla condizione relativa alla previsione che una parte dei 10 membri previsti del Comitato scientifico della nuova Agenzia (SNA) siano designati dalla Conferenza Stato-Regioni e dalla Conferenza Stato-città, sia quella molto più significativa volta alla salvaguardia dell’autonomia regionale e locale “nella ricognizione dei posti dirigenziali disponibili, nella programmazione del fabbisogno e negli ambiti di rilevanza organizzativa e formativa, individuando forme di raccordo improntate al principio di leale collaborazione, pur nel rispetto degli obiettivi di riduzione di spesa fissati dalla legislazione vigente”.

Inoltre, sul punto, le Commissioni parlamentari, con due osservazioni, invitano il Governo a:

·         valutare l’opportunità che l’istituzione dei ruoli dei dirigenti regionali e locali debba essere preceduta da un’intesa forte con il sistema delle Conferenze Stato-Regioni o Conferenza unificata, con la previsione di un procedimento collaborativo che permetta di giungere, in ogni caso, ad una decisione finale, e regolando altresì la fase e le conseguenze di un eventuale mancato raggiungimento dell’intesa;

·         specificare, quanto all’applicazione delle disposizioni in esame alle Regioni a statuto speciale, quanto già previsto, in via generale, all’articolo 22 della legge n. 124 del 2015, ovvero che le disposizioni sono applicabili nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto delle attribuzioni e delle prerogative loro riconosciute dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione.

Garantire autonomia ed indipendenza alla dirigenza

La Corte costituzionale ha più volte avuto modo di affermare che gli articoli 97 e 98 Cost. sono corollari dell’imparzialità ed esprimono la distinzione «tra l’azione di governo – normalmente legata agli interessi di una parte politica espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’amministrazione che nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate nell’ordinamento» (Corte cost. n. 453 del 1990; si v. anche Corte cost. n. 104 del 2007). In effetti, una delle critiche maggiori rivolte al disegno di riforma della dirigenza pubblica, consiste proprio nel rischio di “assoggettare” la dirigenza al volere della politica. Da qui una serie di condizioni poste nel parere delle commissioni parlamentari, accanto a quella che abbiamo già illustrato volta a garantire il funzionamento delle tre Commissioni per la dirigenza. 

In primo luogo, per quel che attiene il conferimento degli incarichi dirigenziali si invita il Governo a “prevedere – in ossequio ai principi di trasparenza e imparzialità – un obbligo generale di motivazione relativo agli incarichi dirigenziali”. In proposito occorre ricordare che l’esistenza di una preventiva fase valutativa, come puntualizzato dalla Corte Costituzionale, risulta essenziale anche per assicurare «il rispetto dei principi del giusto procedimento, all’esito del quale dovrà essere adottato un atto motivato che, a prescindere dalla sua natura giuridica, di diritto pubblico o di diritto privato, consenta comunque un controllo giurisdizionale» (sentenza n. 103 del 2007, cit.).

In secondo luogo, tenuto conto della temporaneità degli incarichi, “in conformità ai principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, è necessario che la disciplina prevista dal nuovo articolo 23-ter del decreto legislativo n. 165 del 2001, relativa ai dirigenti privi di incarico, sia accompagnata da adeguate garanzie soggettive ed oggettive, anche per quanto riguarda il trattamento economico”.

Volta a soddisfare l’esigenza di garantire la dirigenza di ruolo, sembra poi essere l’osservazione che, alla luce del nuovo sistema della dirigenza pubblica e della previsione della disposizione di delega di cui all’articolo 11, comma 1, lettera g), della legge n. 124 del 2014, invita il Governo a valutare la congruità delle percentuali attualmente previste dall’articolo 110 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Con tale osservazione sembrerebbe dimostrarsi una preferenza per la dirigenza di ruolo rispetto a quella a tempo determinato. In un sistema di ampia mobilità della dirigenza, infatti, appare difficilmente concepibile la nomina di dirigenti a tempo determinato, nonostante la presenza, nel complessivo sistema dei ruoli unici, di dirigenti di ruolo privi di incarico.

Sempre a garanzia dell’autonomia della dirigenza, le Commissioni parlamentari rilevano come sia opportuno che le indicazioni delle fattispecie che costituiscono, ai fini della responsabilità dirigenziale di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 165 del 2001, «mancato raggiungimento degli obiettivi» siano meglio declinate, evitando, tra l’altro, il riferimento a mere violazioni di norme.

Abbandonare l’idea della “de-specializzazione” della dirigenza

Lo schema di decreto legislativo approvato in esame preliminare dal Governo si caratterizza anche per una forte spinta alla “de-specializzazione” delle figure dirigenziali, non solo per la piena mobilità tra i ruoli dirigenziali, ma anche per la mancata previsione della suddivisione dei ruoli in base alle diverse competenze e specializzazioni necessarie nei vari settori di competenza degli uffici dirigenziali.

Le Commissioni Parlamentari invitano il Governo, attraverso un’espressa condizione contenuta nei pareri, a prevedere in generale “l’obbligo, e non la mera facoltà, di provvedere all’articolazione del ruolo in sezioni speciali, al fine di valorizzare le specifiche professionalità acquisiste nell’esercizio di determinate funzioni dirigenziali”.

Per quel che riguarda in particolare gli enti locali, indubbio segnale di attenzione alle professionalità specifiche, necessarie per ricoprire gli incarichi dirigenziali, è contenuta nella condizione riguardante i profili professionali richiesti per ricoprire l’incarico di dirigente apicale. Le Commissioni parlamentari richiedono al Governo, rispetto a tale figura, “di prevedere una disciplina afferente i requisiti professionali necessari per gli incarichi di dirigente apicale negli enti locali, anche correlata alle diverse dimensioni demografiche nonché alla complessità organizzativa degli enti medesimi e che tenga conto delle competenze e del ruolo ricoperto (responsabile dell’attuazione del programma, direzione e valutazione del personale, coordinamento amministrativo e controllo della legalità)”. Inoltre, tra le osservazioni, si chiede al Governo di “valutare l’opportunità di prevedere un’apposita sezione professionale dei dirigenti apicali, nell’ambito del ruolo della dirigenza degli enti locali, alla luce della obbligatorietà di questa nuova figura e del profilo professionale richiesto”.

Si tratta, quindi, di un’impostazione completamente opposta a quella contenuta nel testo iniziale approvato dal Governo: solo l’attenzione alla specificità delle competenze dei dirigenti può garantire l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione.

 

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