14/05/2019 – Canne fumarie senza permessi  

Canne fumarie senza permessi  

di DARIO FERRARA – Italia Oggi Sette – 13 Maggio 2019

La canna fumaria del pub non va abbattuta, per quanto il locale della movida dia fastidio ai condomini. È illegittima l’ ordinanza di demolizione adottata dal comune: l’ impianto di trattamento di fumi e odori, infatti, non costituisce un manufatto che richiede il permesso di costruire, a meno che non modifichi il prospetto del fabbricato. E dunque non può essere colpito da un provvedimento di cui all’ articolo 31 del Testo unico per l’ edilizia. Il sospetto è che l’ amministrazione locale sia voluta intervenire per tutelare la salute dei condomini, da sempre ostili all’ esercizio pubblico, ma abbia usato lo strumento sbagliato. È quanto emerge dalla sentenza 592/19, pubblicata dalla seconda sezione della sede di Salerno del Tar Campania. Senza motivazione. Il ricorso del gestore è accolto perché il provvedimento del settore ambiente del comune integra lo sviamento denunciato dal privato. I fatti: durante il sopralluogo i vigili urbani scoprono che la cappa della cucina non è a norma. Il funzionario dell’ ente dispone la demolizione minacciando l’ acquisizione al patrimonio dell’ amministrazione in caso d’ inottemperanza; misura che i giudici reputano «sproporzionata».

Il fatto è che l’ impianto di trattamento deve ritenersi un volume tecnico, quindi un’ opera priva di un’ autonoma rilevanza dal punto di vista urbanistico e funzionale: il comune ne ingiunge la rimozione senza motivarla, per esempio perché il manufatto risulti molto evidente rispetto alla costruzione e alla sagoma dell’ immobile. Il pub, peraltro, risulta già multato per gli schiamazzi dei giovani che richiama ogni giorno, ma le immissioni acustiche rimangono fuori dal provvedimento annullato. Resta quindi l’ impressione che «dietro lo schermo» dell’ ordinanza edilizia il comune abbia voluto tutelare la salute dei condomini messa a rischio da fumi e odori di cucina: sarebbe però servito un provvedimento extra ordinem, quindi eccezionale. L’ ordinanza contingibile e urgente deve tuttavia essere emessa dal sindaco, non dal dirigente dell’ ente, e soltanto in caso di grave pericolo per la comunità. I precedenti.

La canna fumaria del ristorante, insomma, s’ ha da fare quando il comune dà il via anche se il condominio dice no. E ciò perché il proprietario esclusivo dell’ immobile ha facoltà di collocare un manufatto nell’ area comune a patto che l’ installazione non pregiudichi il pari diritto degli altri condomini: in tal caso ha titolo per ottenere il titolo edilizio che serve quando il manufatto risulta troppo evidente lungo il palazzo. Lo ha chiarito la sentenza 648/17, pubblicata dalla prima sezione del Tar Marche. Bocciato il ricorso del vicino che non riesce a bloccare l’ intervento al servizio del locale pubblico assentito dallo sportello unico per le attività produttive. E attenzione: il fatto che il singolo abbia partecipato senza opporsi all’ assemblea condominiale che ha dato via libera al progetto non può essere considerato indice di acquiescenza alla realizzazione dell’ opera. Il punto è che il placet del condominio non serve se la canna fumaria rispetta le norme sulle parti comuni del fabbricato. Sta al vicino provare che il cortile non sarebbe di proprietà comune.

E certo non basta sostenere che l’area non sia menzionata nel contratto di compravendita dell’ immobile per superare la presunzione di condominialità di cui all’ articolo 1117 cc: la superficie risulta messa al servizio di tutti e l’ assenza di comunione non può ritenersi dimostrata. La circostanza che il titolare della licenza commerciale sia il gestore del ristorante – dunque l’ affittuario dell’ immobile e non il proprietario – non preclude l’ installazione del manufatto: d’ altronde l’ istanza all’ ente risulta presentata da entrambi i soggetti. Dimensioni ridotte. Ciò che conta è la natura di impianto tecnico della canna fumaria: è escluso che i vicini possano bloccare anche la sanatoria concessa alla pizzeria. È il caso affrontato dalla sentenza 10/2015, pubblicata dalla prima sezione del Tar Marche. La famiglia che abita sulla verticale del locale deve rassegnarsi a convivere con gli olezzi di frittura che vengono dal basso. E ciò al di là del caso specifico rappresentato dal locale pubblico: la struttura per l’ esalazione dei fumi deve infatti essere considerata un volume tecnico che è necessario per l’utilizzo di tutti gli impianti termici, i quali sono indispensabili negli edifici moderni.

Un problema si potrebbe invece porre per strutture di grandi dimensioni, ma non è questo il caso: risulta innestato soltanto un tubo di piccolo diametro. La necessità dell’ autorizzazione dei condomini risulta esclusa sulla base dell’articolo 1102 c.c., comma primo. E nello specifico è escluso la canna fumaria stoni con le linee architettoniche del fabbricato. Prima la snellezza. Sbaglia il comune, allora, se subordina il suo sì alla canna fumaria di un condomino al consenso degli altri. L’ iter autorizzativo dell’ ente locale e quello del condominio sono piani paralleli: non si intersecano. L’ amministrazione non può imporre al singolo proprietario che vuole costruire la canna fumaria di farsi assentire i lavori dall’ assemblea nello stesso momento in cui concede il via libera all’ intervento edilizio: la legittimità dell’ autorizzazione non può condizionare la regolazione dei rapporti fra le parti private. Lo evidenzia una sentenza del Tar Campania, la 1985/13, pubblicata dalla prima sezione della sede di Salerno.

Cade in errore l’ente locale quando vincola l’ efficacia della sua stessa autorizzazione al placet dell’ assemblea condominiale. L’ amministrazione deve accertare che chi chiede di realizzare il progetto urbanistico sia titolare di un idoneo titolo di godimento sull’ immobile ma non è anche tenuta a verificare limiti di natura civilistica per la realizzazione dell’ opera edilizia: altrimenti il procedimento burocratico diverrebbe ancora più pesante, per via di accertamenti lunghi e complicati. La richiesta installazione della canna fumaria costituisce un intervento riconducibile nella sfera di operatività della norma ex articolo 1102 c.c. perché colloca sì il manufatto «estraneo» sul muro comune a servizio di una sola unità immobiliare ma non preclude a nessuno dei proprietari esclusivi l’ eventuale relativo uso della parte comune né ne altera la destinazione d’ uso. Insomma: il singolo proprietario esclusivo trae dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto agli altri ma senza un intervento di particolare vastità. Attività necessaria. Il principio vale anche quando non c’ è un locale pubblico di mezzo.

È quanto emerge dalla sentenza 450/18, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Lombardia. Il comune non può bloccare il ripristino del tubo coibentato che serve a smaltire i fumi dell’ appartamento soltanto perché va installato in una condotta in muratura di proprietà anche di un altro condomino e manca l’ assenso di quest’ ultimo. Si tratta infatti di un intervento di manutenzione ordinaria che l’ amministrazione può inibire soltanto per motivi tecnici e urbanistici e non sulla base della disciplina privatistica: dovrà essere il giudice civile a risolvere eventuali liti fra i condomini. Accolto il ricorso del singolo proprietario: la sua canna fumaria era stata bloccata perché non a norma e ora nella condotta detenuta «in condominio» col vicino deve essere inserito il nuovo tubo coibentato. Non c’ è dubbio che si tratti di lavori di manutenzione ordinaria: l’ intervento si risolve nella sostituzione di un impianto esistente e non ha alcun impatto strutturale né estetico sul fabbricato. Anzi: è un’ attività necessaria a rendere l’ immobile conforme all’ uso perché rimette in opera la canna fumaria, cioè un impianto esistente ma non utilizzabile. Insomma, il comune deve limitarsi a verificare la conformità del progetto allo strumento urbanistico e alle altre norme di settore.

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