14/03/2017 – Legittima la sanzione disciplinare condotta da un superiore gerarchico

Legittima la sanzione disciplinare condotta da un superiore gerarchico

di Federico Gavioli – Dottore commercialista revisore legale dei conti e giornalista pubblicista

La Corte di Cassazione con la Sent. n. 5317, del 2 marzo 2017, ha legittimato il licenziamento di un dipendente pubblico anche se il procedimento disciplinare è stato condotto da un superiore gerarchico. I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso del dipendente pubblico che aveva impugnato la decisione della Corte di Appello con cui era stata rovesciata la decisione dei giudici di primo grado.

Il contenzioso

La Corte di Appello ha riformato la sentenza dei giudici di prime cure che, all’esito del giudizio di opposizione, avevano confermato l’ordinanza con la quale era stata dichiarata dallo stesso Tribunale la nullità del licenziamento per giusta causa intimato dalla Agenzia delle Entrate, nei confronti di un proprio dipendente, nell’agosto del 2012.

La Corte territoriale, premesso che il procedimento era stato gestito in tutte le sue fasi dal Direttore Regionale, individuato dalla Agenzia quale ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ha escluso la nullità di tale individuazione, affermata, invece, nelle precedenti fasi del giudizio di merito e ha rilevato che l’art. 55-bisD.Lgs. n. 165 del 2001, impone alle amministrazioni pubbliche solo di “individuare” detto ufficio, che deve essere distinto dal “responsabile della struttura” alla quale il lavoratore era addetto, ma per il resto richiama l’ordinamento dei singoli enti e, quindi, non richiede né che l’ufficio abbia una competenza esclusiva, né che venga istituito ad hoc, né che abbia una composizione necessariamente pluripersonale.

I giudici del merito di secondo grado hanno aggiunto che al procedimento disciplinare non si applicano i principi di imparzialità e di terzietà propri di altri ambiti normativi ed ha precisato che una relazione di tipo gerarchico fra il soggetto titolare del potere disciplinare e il dipendente nei cui confronti il potere viene esercitato, non rende illegittimo il procedimento ogni qual volta il primo sia soggettivamente distinto dal responsabile della struttura nella quale il lavoratore è inserito.

La Corte ha escluso ogni altra violazione di natura procedimentale, perché la amministrazione aveva rispettato tutti i termini perentori e in particolare, acquisita autonomamente la notizia, aveva concluso tempestivamente il procedimento, adottando l’atto di irrogazione della sanzione nel termine di 120 giorni.

Nei confronti del dipendente licenziato era stato emesso avviso di conclusioni delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.c., perché ritenuto responsabile del delitto di associazione per delinquere, finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di reati, tutti connessi all’esercizio della funzione giurisdizionale, associazione nella quale lo stesso aveva assunto il ruolo di intermediario fra giudici di pace e avvocati. Ha evidenziato che la responsabilità del reclamato emergeva dalla informativa di reato in atti, dalle intercettazioni telefoniche, dal testo degli sms, nonché dagli atti di perquisizione e sequestro, utilizzabili dal giudice civile ai fini della formazione del suo libero convincimento. Infine ha rilevato che i comportamenti addebitati erano di natura tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, anche in considerazione della attività svolta dalla Agenzia, la quale è tenuta ad assicurare il rispetto di valori quali la legalità, la imparzialità e la trasparenza.

Avverso tale sentenza il dipendente era ricorso in Cassazione.

Il ricorso del dipendente

Il dipendente ricorrente denuncia in primo luogo la “violazione e falsa applicazione dell’art. 55-bisD.Lgs. n. 165 del 2001“. In particolare è evidenziato che l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari deve essere un organo specializzato e necessariamente plurisoggettivo, tenuto a gestire personalmente tutte le fasi del procedimento. L’Agenzia, pertanto, non poteva individuare l’ufficio nel Direttore Regionale né, tantomeno, consentire a quest’ultimo di affidare la attività istruttoria ad altri soggetti. Aggiunge che l’ufficio deve essere autonomo rispetto a tutte le altre articolazioni dell’ente e ciò perché occorre garantire imparzialità e terzietà, escluse nei casi in cui, come nella fattispecie, lo stesso finisce per coincidere con il responsabile della struttura.

Il secondo motivo, per la parte che interessa il presente commento, riguarda la censura, formulata ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamenta la violazione dei principi che regolano la “procedimentalizzazione del potere disciplinare” desumibili dall’art. 55-bisD.Lgs n. 165 del 2001.

L’analisi della Cassazione

I giudici di legittimità evidenziano che l’art. 55-bis, comma 4, D.Lgs. n. 165 del 2001, nel testo modificato dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, stabilisce che: “Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il predetto ufficio contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento (….)”.

La Cassazione evidenzia, secondo un orientamento precedente, la disposizione contenuta in una recente decisione (Cass. Civ. 4 novembre 2016, n. 22487), che il legislatore, nel richiedere la previa individuazione dell’ufficio dei procedimenti disciplinari, non ha imposto modifiche strutturali finalizzate alla “istituzione” dell’ufficio stesso, né ha richiesto che la individuazione debba avvenire con apposito provvedimento e mediante formule sacramentali.

Per i giudici di legittimità tale principio deve essere anche in questa occasione ribadito, perché rispettoso della ratio e della lettera della legge, che persegue unicamente l’obiettivo di garantire, per le sanzioni più gravi, che tutte le fasi del procedimento vengano condotte da un soggetto terzo rispetto al lavoratore ed al capo struttura.

Il legislatore non ha ritenuto di dovere imporre ulteriori vincoli alle amministrazioni ed anzi, attraverso il richiamo all’ordinamento proprio di ciascuna, ha inteso sottolineare la necessità di procedere alla individuazione, coniugando il rispetto della finalità sopra indicata con le esigenze organizzative di ciascun ente.

La Corte di Cassazione evidenzia che non sono state dettate prescrizioni in merito alla composizione collegiale o personale dell’ufficio né sono stati imposti requisiti per i soggetti chiamati a comporre l’ufficio medesimo.

La interpretazione della norma fatta propria dal giudice del merito è, quindi, conforme alla giurisprudenza della Cassazione, alla luce della quale devono ritenersi infondati tutti gli argomenti sui quali il ricorrente ha fatto leva per sostenere che le funzioni proprie dell’ufficio dei procedimenti disciplinari non potevano essere assegnate al Direttore Regionale dell’Agenzia.

Il legislatore, come già detto, non ha limitato in alcun modo la potestà organizzativa di ciascun ente, poiché risulta privo di fondamento normativo l’assunto del dipendente ricorrente secondo il quale l’ufficio, oltre a dover essere necessariamente composto da più soggetti, non dovrebbe avere alcun’altra competenza se non quella relativa alla conduzione del procedimento disciplinare.

Né si può sostenere che, una volta esclusa la composizione plurisoggettiva dell’ufficio, il soggetto titolare del procedimento disciplinare dovrebbe condurre personalmente tutte le fasi e, quindi, procedere direttamente agli atti istruttori necessari.

Il potere gerarchico del superiore

Il dipendente ricorrente non considera, secondo i giudici di legittimità, che l’ufficio, sebbene non collegiale, ha una propria struttura amministrativa della quale può legittimamente avvalersi, sicché nulla impedisce che i singoli atti vengano materialmente compiuti da dipendenti assegnati all’ufficio stesso, purché il soggetto titolare del potere faccia poi propri i risultati della attività svolta dagli ausiliari, provvedendo alla contestazione dell’addebito, all’esame dell’istruttoria compiuta, alla irrogazione della sanzione.

E’ poi da escludere, secondo i giudici di legittimità, che il potere gerarchico attribuito al Direttore nei confronti di tutti i dipendenti dell’Agenzia Regionale sia ostativo alla attribuzione allo stesso Direttore delle competenze proprie dell’ufficio dei procedimenti disciplinari.

In merito va, infatti, precisato che il principio di terzietà, sul quale riposa la “necessaria previa individuazione dell’ufficio dei procedimenti, postula solo la distinzione sul piano organizzativo fra detto ufficio e la struttura nella quale opera il dipendente, sicché lo stesso non va confuso con la imparzialità dell’organo giudicante, che solo un soggetto terzo rispetto al lavoratore ed alla amministrazione potrebbe assicurare”.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione sottolinea che deve essere data continuità all’orientamento già espresso dai giudici di legittimità che, con la sentenza n. 4175 del 2 marzo 2015, nel sottolineare la “più ampia autonomia delle singole amministrazioni nell’individuazione dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari”, hanno ritenuto legittima la assegnazione al Direttore Regionale della titolarità del predetto ufficio, sulla base della disciplina regolamentare vigente presso le Agenzie delle Entrate.

La giurisprudenza della Cassazione è consolidata nell’affermare che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone che la parte riporti, nel ricorso stesso, gli elementi e i riferimenti atti a individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Cassazione di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale.

Per la Cassazione non sussiste la denunciata violazione dell’art. 55-bisD.Lgs. n. 165 del 2001, perché la norma, nella parte in cui prevede che “il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare è più’ grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all’ufficio individuato ai sensi del comma 4, dandone contestuale comunicazione all’interessato”, non individua in detta segnalazione un requisito di validità del procedimento, né fa divieto all’ufficio competente di avviare l’iniziativa disciplinare allorquando la notizia sia stata acquisita in altro modo.

La Corte, in conclusione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

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