12.04.2015 – Le ragioni per lo stralcio del capitolo segretari comunali dalla riforma della pubblica amministrazione

LE RAGIONI PER LO STRALCIO DEL CAPITOLO SEGRETARI COMUNALI DALLA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE AS DDL N.1557

Vi sono molteplici ragioni, finora ostinatamente ignorate dal governo, che dovrebbero indurre almeno il legislatore a ponderare con attenzione la proposta governativa di abolizione della categoria professionale dei segretari comunali e provinciali, evitando l’errore di cancellare dall’ordinamento giuridico una figura tuttora preziosa e difficilmente fungibile per il variegato mondo degli enti locali.

Preliminarmente, dal punto di vista sistematico, non appare convincente la scelta di inserire l’abolizione della figura professionale in questione, nell’ambito di un provvedimento generale di riordino della dirigenza pubblica e non aver invece avviato una seria rivisitazione del ruolo e delle funzioni del segretario comunale e provinciale in quella che sarebbe stata la sede più idonea e opportuna, vale a dire nell’ambito di una oramai necessaria e non più differibile revisione del Testo Unico dell’ordinamento degli enti locali, risalente all’anno 2000 e in buona parte superato dal nuovo assetto costituzionale scaturito dalla riforma del titolo V della Costituzione del 2001.

Non si intende, sia chiaro, negare l’appartenenza dei segretari comunali alla classe dirigente pubblica italiana, così come non si può certamente disconoscere il diritto del Governo di proporre al Parlamento una riforma, anche profonda, degli assetti organizzativi della Pubblica Amministrazione e dell’establishment burocratico di questo Paese, ma ragioni inerenti la storia, le peculiari caratteristiche professionali e il legame profondo da sempre esistente tra questa categoria di pubblici dipendenti e gli enti locali, consiglierebbero di rinviare ogni decisione sulla sorte dei segretari ad una auspicabile prossima revisione della complessiva governance degli enti locali, che dovrebbe essere concepita,  con il pieno e fattivo coinvolgimento delle rappresentanze istituzionali delle autonomie territoriali, le quali, come vedremo, non hanno fatto mancare con formali e solenni pronunciamenti, nel corso di questi mesi successivi alla presentazione del disegno di legge governativo, il loro sostegno alla categoria e il riconoscimento del ruolo prezioso svolto dai segretari al servizio delle comunità locali.

Uno dei cardini su cui ruota la proposta riformatrice del governo è dunque la soppressione della categoria dei segretari comunali e provinciali, le cui funzioni sarebbero assegnate alla dirigenza degli enti locali, una delle tre categorie di dirigenti pubblici previsti dalla riforma Madia, insieme ai dirigenti statali e a quelli regionali. I segretari iscritti nelle fasce professionali A e B dell’Albo confluirebbero subito nel ruolo dei dirigenti degli enti locali, mentre il personale iscritto in fascia C e i vincitori di concorso, solo dopo un periodo transitorio biennale e con modalità ancora da chiarire. Al di là di non poche incognite interpretative ed applicative legate ad una formulazione piuttosto involuta della norma contenuta nel comma1, lettera b), numero 4 dell’art. 9 del DDL N. 1577, licenziata dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato, la scelta sottesa alla disposizione in esame è quella di cancellare il segretario e di attribuire le relative funzioni ai dirigenti. Ad oggi e salvo eventuali modifiche che dovessero intervenire nel corso dell’iter parlamentare del disegno di legge delega, il posto del segretario dell’ente sarà preso da una nuova figura dirigenziale, denominato dirigente apicale, che sarebbe preposto ai compiti di attuazione dell’indirizzo politico, al coordinamento amministrativo e al controllo di legalità dell’azione amministrativa. Un emendamento presentato insieme ad altri firmatari dalla senatrice Saggese, nel confermare l’abolizione dell’albo e della categoria dei segretari, prevede un periodo transitorio non superiore a tre anni dall’entrata in vigore dei decreti delegati, in cui le suddette funzioni di dirigente apicale sarebbero attribuite ai segretari in servizio presso gli enti, per procedere poi a regime, con la possibilità di attribuzione delle stesse funzioni anche ad altri soggetti iscritti nel ruolo dei dirigenti locali.

Ma quanto può dirsi corretta questa scelta? I dirigenti sono realmente sovrapponibili sic et simpliciter ai segretari?

LA FIGURA DEL SEGRETARIO COMUNALE QUALE AUTONOMA TIPOLOGIA PROFESSIONALE

I segretari sono una particolare figura professionale la cui qualificazione giuridica è espressamente contenuta nell’art. 11, comma 8, del D.P.R. n. 465 del 1997, Regolamento recante disposizioni in materia di ordinamento dei segretari comunali e provinciali, che individua in essi una autonoma tipologia professionale.

Non vi è dubbio che i segretari rappresentano, nell’ambito della Pubblica Amministrazione, un unicum dal punto di vista professionale, per molteplici aspetti legati alla particolare rigorosa selezione per l’accesso in carriera a cui sono sottoposti, basata su un difficile corso-concorso nazionale che abilita all’iscrizione all’albo, al superamento di impegnativi corsi di specializzazione per le progressioni di carriera, alla necessità di acquisire una costante formazione e aggiornamento professionale,  alla competenza multidisciplinare che li porta a doversi interessare di svariate materie, alla polivalenza del ruolo che deve coniugare la tradizionale competenza giuridico-amministrativa con capacità manageriali, alla funzione di raccordo tra la sfera politica e quella tecnico-burocratica dell’ente locale.

Si può affermare senza timore di smentita, che il segretario per la duttilità professionale e la flessibilità operativa che è in grado di esprimere grazie alla sua formazione e alle competenze multidisciplinari, può assumere anche, in situazioni transitorie, funzioni gestionali e svolgere compiti dirigenziali, come del resto è possibile riscontrare in molte realtà dove al segretario sono stati affidati incarichi dirigenziali ad interim per la sostituzione di dirigenti assenti o per la temporanea reggenza di posti dirigenziali vacanti, ma non si può con la stessa certezza affermare che i dirigenti possano svolgere adeguatamente il ruolo e le funzioni che le vigenti norme attribuiscono al segretario, come in maniera approssimativa presume la riforma Madia, semplicemente perché si tratta di soggetti che hanno requisiti professionali diversi.

Il segretario è chiamato a gestire processi complessi e dipanare problematiche che svariano dall’urbanistica alla tutela ambientale, dai tributi locali agli appalti, dalle attività produttive alla sicurezza urbana, dalla organizzazione e gestione delle risorse umane alla gestione finanziaria, dalla contrattualistica al contenzioso legale, solo per citare le più importanti. Insomma un coacervo di materie che richiedono un ampio ventaglio di competenze e una preparazione giuridica approfondita, che esigono come visto, un’ impegnativa selezione per l’accesso in carriera, ma anche un cursus honorum con esperienze maturate nelle varie classi demografiche di enti e il superamento di appositi esami di abilitazione, prima di poter approdare nelle Amministrazioni più grandi. Nessun dirigente che opera nella Pubblica Amministrazione può vantare una simile competenza trasversale e generalista.

Il sistema attuale, sia pure tra alcune criticità e distorsioni determinate dall’applicazione di uno spoil system non temperato da idonei meccanismi che dovrebbero maggiormente tutelare i segretari ed affrancarli da una condizione di subalternità alla politica locale, soprattutto nello svolgimento dei compiti di garanzia e tutela della legalità che l’ordinamento assegna loro, contempla comunque, con tutti i suoi limiti, una figura professionale altamente qualificata, al vertice dell’apparato amministrativo degli enti locali, che è stata selezionata e preparata dallo Stato proprio per dirigere sotto il profilo tecnico, con efficacia ed efficienza e nel pieno rispetto della legalità, l’azione amministrativa, coaudiuvando con la necessaria assistenza giuridica gli amministratori.

Si tratta di una figura professionale che non è surrogabile con generiche figure dirigenziali, che peraltro nell’attuale vigenza degli articoli 97 comma 4 e 108 comma 4 del TUEL, sono soggette, non a caso, al coordinamento e alla direzione del segretario, perché è connotata da specifici tratti distintivi e da un’idoneità professionale, certificata dall’iscrizione all’Albo, allo svolgimento delle complesse e delicate funzioni attribuitegli dall’ordinamento giuridico.

D’altra parte il tema della qualità dell’attività di direzione complessiva dell’amministrazione locale, non può essere eluso con superficialità, considerato che già l’esperimento del direttore generale o city manager, figura introdotta dalla riforma bassanini del 1997, con l’ambizioso proposito di iniettare nelle strutture burocratiche comunali la linfa della cultura managerial-privatistica al fine di conferire maggiore efficienza alla gestione delle macchine comunali, risulta essere per consolidata opinione, al di là di qualche sporadica eccezione, miseramente fallito, avendo prodotto solo un incremento dei costi, senza alcun risultato apprezzabile. I direttori generali, reclutati spesso senza una rigorosa valutazione di requisiti e competenze professionali, ma in base a logiche di cooptazione politica, non solo non sono riusciti ad incidere sui versanti dell’innovazione e della maggiore efficienza dell’azione amministrativa, ma sono risultati spesso dei veri e propri corpi estranei, incapaci di integrarsi all’interno degli enti e di portare valore aggiunto. Probabilmente anche per tali ragioni e non solo per esigenze di contenimento della spesa, la possibilità di avvalersi della figura del direttore generale, è stata con la Legge n. 191/2009 limitata solo alle amministrazioni provinciali e ai comuni con popolazione superiore ai centomila abitanti.

Ci si sarebbe aspettato che il governo, alla luce degli errori passati, avesse tratto i necessari insegnamenti e approcciato con ben altre soluzioni il tema delicato della governance degli enti locali, investendo su figure di consolidata esperienza e professionalità quali i segretari, che invece vengono destinati, per ignote ragioni, alla rottamazione. Vengono invece previste soluzioni alternative di dubbia fattibilità tecnico-giuridica e di irragionevole destrutturazione degli apparati, che se attuate, determineranno la dispersione di un inestimabile patrimonio professionale. Ragioni che peraltro potrebbero innescare diffusi contenziosi, nel solco della recente tradizione di riforme della dirigenza pubblica mal congegnate e puntualmente picconate dalla Corte Costituzionale.

LE CONTROINDICAZIONI E I PUNTI DEBOLI DELLA RIFORMA DEL GOVERNO

La frettolosa eliminazione della rete nazionale dei segretari rischia di creare un pericoloso vulnus non solo alla corretta funzionalità degli enti locali e sul piano della legalità amministrativa, ma anche nel tessuto istituzionale di questo Paese, perché viene meno un elemento unificante, che ha sempre svolto una funzione di collante o di cerniera tra lo Stato e le Autonomie Territoriali. Un silenzioso anello di congiunzione e di coesione tra gli ordinamenti costitutivi della Repubblica, in grado di assicurare una preziosa uniformità nell’azione amministrativa sui diversi territori.

Non a caso proprio dai territori, dove evidentemente c’è maggiore consapevolezza dell’importanza del ruolo svolto dai segretari, si sono sollevate numerose e forti proteste per stigmatizzare la scelta abolizionista del governo e ribadire l’esigenza di salvaguardare la figura del segretario, quale insostituibile risorsa professionale e fondamentale presidio di legalità delle amministrazioni pubbliche. A tal riguardo basti solo ricordare che ben nove Consigli regionali (Lombardia, Liguria, Puglia, Campania, Basilicata, Abruzzo, Toscana, Piemonte, Marche) a cui si è aggiunta anche l’Assemblea Regionale Siciliana, hanno approvato ordini del giorno o mozioni a difesa della figura del segretario comunale, mentre un no categorico e senza mezzi termini all’abolizione dei segretari è stato pronunciato dall’Associazione Nazionale dei Piccoli Comuni Italiani (ANPCI), nonché dalle ANCI regionali di Campania, Calabria, Sicilia, Veneto, Marche, da Legautonomie, dai sindacati confederali, da tanti comuni italiani, nonché da numerosi intellettuali, magistrati ordinari e della Corte dei Conti, da professori universitari e da personalità del mondo politico, che hanno aderito ad un manifesto a tutela della figura del segretario comunale ideato da una associazione di categoria.

Un coro unanime di motivato dissenso al quale il governo è rimasto inspiegabilmente sordo, proseguendo nella pervicace volontà di realizzare il proposito abolizionista.

Una decisione che rischia di riverberarsi negativamente anche nell’azione di prevenzione e di contrasto della corruzione e dei fenomeni di illegalità, smantellandosi la più grande e capillare rete di presidi territoriali, rappresentati per l’appunto dai segretari, titolari ex legge n. 190/2012, delle delicate funzioni di responsabile anticorruzione. Anche su questo delicato versante non si comprende l’utilità e la conformità al pubblico interesse della scelta del governo di disfarsi di tali figure, che attualmente rappresentano una componente fondamentale del sistema di prevenzione costituito dalla legge anticorruzione, essendo dei veri e propri presidi operativi sul territorio, chiamati ad interagire con l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) e a dare attuazione alle sue direttive.

In un momento storico in cui il nostro Paese è devastato dalla piaga della corruzione e del malaffare e nel quale si leva forte il bisogno di potenziare l’attività di prevenzione e di repressione dei fenomeni criminali che inquinano la vita amministrativa, depredando i cittadini di risorse che potrebbero essere destinate allo sviluppo e al benessere della comunità, il governo sceglie invece, non si capisce quanto consapevolmente, di percorrere altre strade, destrutturando un sistema che vede protagonisti i segretari e indebolendo oggettivamente la stessa azione dell’Autorità Anticorruzione. Né può valere l’obiezione che le funzioni di responsabile anticorruzione saranno affidate ad altri funzionari o dirigenti comunali, in quanto si disperde comunque un know how maturato dai segretari, nella predisposizione dei piani comunali di prevenzione e nell’attuazione delle misure preventive in quei procedimenti amministrativi più esposti ai tentativi di infiltrazione criminale, dove si annidano i maggiori rischi di corruzione, quali appalti, concessioni, autorizzazioni, attribuzione di sovvenzioni e nella gestione del personale. Senza considerare che i segretari dovrebbero garantire in misura superiore, rispetto ad altri soggetti reclutati con procedure selettive meno rigorose, l’esigenza di costituire una barriera locale in grado di contrastare le pressioni ambientali malavitose, non fosse altro per la cultura della legalità che sanno esprimere e per la loro qualifica di pubblici ufficiali dipendenti statali, incardinati nel Ministero dell’Interno.

Ma oltre a queste ragioni che sarebbero già di per sè sufficienti a rendere del tutto inopportuna la decisione governativa in esame, vi sono ulteriori considerazioni che dovrebbero indurre ad una seria riflessione. I costi della riforma non sembrano essere stati adeguatamente analizzati come sostenuto ad es. dal Presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri nella audizione in commissione affari costituzionali del Senato, dove l’alto magistrato ha espresso perplessità sulla abolizione dei segretari comunali e sulla loro inclusione nel nuovo ruolo unico della dirigenza, anche per i possibili effetti finanziari non quantificati. Come non risultano adeguatamente stimati i concreti rischi di perdita dell’incarico e dello stesso rapporto di lavoro, per molti tra segretari e dirigenti, che sarebbero inseriti nel medesimo ruolo, entrando in concorrenza per i limitati posti dirigenziali disponibili negli enti locali. La riforma Madia prevede infatti che dopo un determinato periodo di tempo, che dovrà essere definito dai decreti attuativi, il dirigente rimasto, suo malgrado, privo di incarico potrà essere licenziato. Non è chiaro a chi spetti l’onere retributivo del dirigente durante il periodo di assenza di incarico, ma è palese il rischio di un condizionamento e di un’indebita ingerenza della politica sulla carriera dei dirigenti. Le logiche di questa riforma governativa della Pubblica Amministrazione sono chiaramente orientate ad aumentare i margini di discrezionalità politica nel conferimento degli incarichi, sacrificando l’autonomia del dirigente e accentuando la sua soggezione rispetto alla politica.

La riforma vuole trasformare un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, costituito con vincitori di pubblici concorsi, in un rapporto lavoro di tipo precario, che potrà essere risolto, anche senza alcuna colpa imputabile al dirigente, semplicemente con il mancato conferimento dell’incarico. I rischi di contenzioso attivato dai dirigenti rimasti senza incarico, magari perché politicamente scomodi o non allineati, sono come si vede alti ed è chiaro che il sistema non può reggere le diseconomie derivanti dal fatto che vi possano essere dirigenti con contratto a tempo indeterminato in disponibilità, retribuiti senza che siano messi in condizione di lavorare, mentre si allargano inopinatamente le maglie per l’assunzione intuitu  personae, senza concorso di dirigenti cooptati dalla politica, venendo innalzata negli enti locali fino al 30% la soglia dei posti della dotazione organica attribuibili con metodi clientelari.

Appare chiaro che questa riforma della dirigenza, laddove tende ad ignorare i principi costituzionali più volte affermati dalla Corte Costituzionale, di autonomia e imparzialità della dirigenza, che è posta al servizio esclusivo della nazione, sia inficiata dagli stessi vizi che avevano provocato il fallimento di altre precedenti riforme, che avevano tentato di introdurre lo spoil system, denunciando la ricorrente tentazione della politica di condizionare la dirigenza pubblica e di sottometterla al proprio controllo attraverso nomine a contenuto fiduciario (si vedano al riguardo le sentenze della Corte Costituzionale n. 103/2007; 161/2008; 81/2010). Il principio di imparzialità, come ben evidenziato dalla Corte, esclude che il dirigente possa essere al servizio di una parte politica piuttosto di un’altra e lo impegna a perseguire nella propria azione unicamente l’interesse pubblico.

I vizi insiti in questo progetto di riforma governativo della dirigenza pubblica sono tali da far sperare che sia respinto dal Parlamento, o che sia quantomeno corretto nelle sue palesi incongruenze e nelle sue più illogiche previsioni, prima fra tutte l’abolizione della figura del segretario comunale, della quale non va esclusa aprioristicamente l’esigenza di una rivisitazione, anche per liberarla di talune criticità nell’attuale assetto funzionale e nel rapporto con la politica locale, che rischiano di delegittimarla e indebolirla.

Sarebbe auspicabile a tal riguardo, che si facesse, in sede di revisione del Testo Unico degli Enti Locali, maggiore chiarezza e una scelta definitiva sulla mission istituzionale da attribuire al segretario, destinandolo a funzioni di garanzia e controllo in chiave collaborativa, esaltandone le competenze giuridiche con uno status che ne garantisca appieno l’indipendenza, oppure destinandolo a funzioni prettamente manageriali di direzione gestionale, oppure ancora prevedendo soluzioni differenziate, a seconda delle classi demografiche degli enti, con lo scorporo delle suddette funzioni e l’attribuzione delle stesse a soggetti distinti negli enti di maggiore dimensione e a più alto tasso di complessità organizzativa.

 

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