09/10/2016- LASEC. Osservazioni in merito all’atto 328/2016 sulla Dirigenza Pubblica

Ringrazio i colleghi della Associazione Vighenzi e del M.A.L.

Osservazioni in merito all’atto 328/2016 sulla Dirigenza Pubblica

Una anomala confusione.

In linea generale, sarebbe opportuno rivedere il Decreto 328 ponendo una più attenta distinzione fra sfera di diritto pubblico ed applicazione di normativa privatistica. Si comprende bene come il riferimento ad istituti di diritto civile sia legato più alla necessità di accreditare la competenza del legislatore statale ad intervenire in materia pubblicistica, di probabile spettanza regionale, che ad una effettiva necessità normativa. Tuttavia, un anomalo ed inutile richiamo, in ambito pubblicistico, di aspetti prettamente privatistici, come il riferimento alla cessione del contratto stipulato fra lavoratore ed ente, alla sua eventuale risoluzione consensuale, allo scioglimento del rapporto di lavoro, e quindi ad una normativa demandata all’autonomia contrattuale delle parti, pone gravi problemi interpretativi, non solo per l’individuazione del giudice competente in caso di controversie, ma anche per la definizione dei riflessi di tali fattispecie (e delle eventuali patologie) sugli atti pubblici connessi, con particolare riguardo al mantenimento o meno dell’iscrizione all’albo. Se pure eventuali errori di individuazione del giudice competente sono ora sanabili ai sensi dell’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, non corrisponde certamente ai canoni della buona amministrazione il permanere di un (maggiore) periodo di incertezza nella definizione degli assetti organizzativi degli uffici.

La necessità di assicurare costante controllo di legalità negli enti. 

Avendo sempre come costante riferimento e metro di giudizio l’interesse generale, che va comunque salvaguardato, appare anomalo il richiamo di criteri economici, in un campo in cui l’interesse alla buona (e legale) amministrazione dovrebbe prevalere su considerazioni inerenti risparmi ed economie di spesa, certamente di poco conto rispetto alle effettive complessive esigenze della finanza pubblica. In linea con tale necessità di salvaguardia dell’interesse generale, di cui si teme la sottovalutazione insieme con una scarsa considerazione dei potenziali rischi che tutta la collettività corre, si rileva che sarebbe necessario sfatare, una volta per tutte, il luogo comune della corrispondenza fra dimensioni limitate degli enti ed attenzione da dedicare alla legalità dell’attività amministrativa, tanto che si prescrive, o quanto meno si incoraggia, la direzione in forma associata delle funzioni ora attribuite ai Segretari Comunali, con particolare riferimento al “controllo della legalità dell’azione amministrativa”. Non è la maggiore o minore dimensione demografica dell’ente a richiedere una diversa attenzione, ma è la specifica situazione ambientale e/o territoriale dell’ente stesso, sia esso grande o minimo, ad imporlo, ben potendo una situazione pericolosa per la collettività trovare la sua origine in area (e popolazione) di grandezza limitata. Andrebbe quindi privilegiata una più capillare presenza sul territorio di “esperti della legalità”, per una verifica ex ante, o quanto meno in itinere, dell’azione amministrativa, in nome di quella semplificazione oggi tanto richiesta, e di un risparmio di risorse umane ed economiche (evitando il frequente ricorso a consulenti o esperti vari).

Gli interventi normativi degli anni passati: la necessità di una verifica

Sempre per sottolineare la necessità di agire per la tutela dell’interesse pubblico, e per rimarcare l’importanza di una azione capillare di salvaguardia della legalità sul territorio, si fa presente che la deminutio capitis del Segretario Comunale (non certamente da considerare unico detentore della capacità di orientare correttamente l’azione amministrativa) è stata attuata ormai da diversi anni, unitamente alla adozione di altre normative che hanno regolamentato non sempre positivamente l’attività amministrativa, come è avvenuto con l’abolizione del Comitato Regionale sugli atti degli Enti Locali, con la semplificazione delle normative di tutela per vincoli specifici, ed anche con la modifica di altri sistemi complessi, come ad esempio quelli sull’approvazione dei Piani Regolatori da parte delle Regioni. L’adozione di tali misure, anche in considerazione della espressa denuncia della Corte dei Conti sull’incremento di fenomeni di corruzione e di illegalità, avrebbe imposto verifiche dettagliate, sia su base statistica che sociologica, degli effetti della normativa adottata, prima di una maggiore liberalizzazione. Dovrebbe essere oggetto di più attenta considerazione quanto accade in presenza di una dirigenza a termine, oggetto di pressioni di varia natura e motivata anche da comprensibili necessità per il mantenimento del proprio posto di lavoro o per la ricerca di un altro. Pur ribadendo di non potere (e di non volere) considerare la presenza dei segretari sul territorio come salvifica al fine di evitare la corruzione, si sottolinea che andrebbero considerati, e seriamente indagati, gli effetti della riduzione, in pochi anni, del numero dei segretari in servizio, passato da 7000 unità circa a poco più di 3000.

La rarefazione delle Commissioni preposte a vari adempimenti

Proprio il timore che si agisca nei confronti dei Segretari Comunali più con un’ottica prevenuta, generica e punitiva, che con effettiva attenzione alle problematiche sopra indicate, spinge a considerare con un certo grado di sospetto alcune disposizioni del Decreto Legislativo n. 328. 

E quindi, in sintesi, si lamenta l’estrema rarefazione della composizione della commissioni, troppo simili fra loro per poter essere in grado poi di scendere nel concreto, di esclusiva formazione datoriale, in una situazione di totale assenza di qualsiasi forma di partecipazione di rappresentanti dei lavoratori. Pur apprezzando che si voglia far riferimento a soggetti “di notoria indipendenza”, al di là delle qualità personali che non sarebbero certo in discussione, si sottolinea che soltanto una normativa, che individui i possibili conflitti di interesse e ne imponga l’esclusione, sarebbe in grado di conferire effettivo valore di oggettività alle nomine, in modo da evitare il ricorso ad apprezzamenti discrezionali. Analogamente, solo una normativa che comprenda, in una qualsiasi stanza di compensazione, entrambe le parti in causa interessate ai processi di cui trattasi, le coinvolga a pari titolo e con pari dignità, sarebbe in grado di garantire il corretto svolgimento delle procedure e la neutralità dei risultati, sempre in vista del più volte menzionato interesse generale ad una efficace azione amministrativa. Per analoghi motivi e per doverosa trasparenza, oltre che per obblighi imposti dalle leggi sul procedimento amministrativo, sarebbe necessario precisare tempi e modi di pubblicità di ogni atto produttivo di effetti giuridici, sia nell’interesse dei diretti interessati che a tutela di quella verifica che viene affidata anche all’utenza pubblica ed a cui lo stesso decreto in esame attribuisce valore (articolo 5, comma 1 del decreto in esame).

La precarizzazione della dirigenza

Proprio l’esame di detto articolo 5, che indica una serie di conseguenze penalizzanti per il lavoratore in caso di valutazioni negative, e perfino non positive (a chi ama il gergo sportivo bisognerebbe spiegare che, a differenza di altre situazioni, qui non si considera determinante solo la sconfitta ma anche il pareggio), impone una considerazione dell’eccesso di situazioni negative che vanno a colpire il malcapitato dirigente, in una situazione in cui, come si diceva prima, proprio la confusione sulla giurisdizione competente può, in ultima analisi, compromettere il regolare svolgimento dell’azione amministrativa. 

E quindi, si consideri che, proprio in quanto oggetto di varie normative con valenze diverse, ed interessato da fattispecie dagli aspetti non necessariamente coincidenti fra loro ( in estrema sintesi, si pensi che un pubblico dipendente può porre in essere fatti penalmente rilevanti, ma essere bravissimo a produrre risultati positivi), il dirigente dovrà variare il proprio posto di lavoro in presenza di numerosi eventi:

-scadenza del periodo temporale previsto dalle norme

rotazione degli incarichi

-mancato raggiungimento degli obiettivi (indicati in modo molto minuzioso dall’art. 5)

-procedimento disciplinare (per giusta causa o giustificato motivo)

-gestioni in forma associata, comportanti perdite di posti di lavoro

-riorganizzazione degli uffici, con eventuale individuazione di esuberi

in sostanza, quindi, una precarizzazione estrema di nessuna utilità per una utile conduzione degli enti, che in genere richiedono invece memoria storica delle circostanze e continuità di azione, tali da evitare interventi superficiali ed approssimativi.

Inoltre, la previsione di una possibile riorganizzazione “ad libitum” degli uffici, ex art. 4 del Decreto in esame, impone una particolare ed attenta considerazione, essendo del tutto anomalo che venga deciso e, se del caso attuato, un nuovo assetto organizzativo dell’amministrazione, in grado di portare alla decadenza dagli incarichi, senza altra prescrizione se non la richiesta di parere “obbligatorio e non vincolante” alla Commissione preposta, da considerarsi favorevole in caso di silenzio dopo trenta giorni. Non si rinviene, per le amministrazioni locali, alcun riferimento a procedure di informativa sindacale, né tanto meno ad accordi, in quanto è solo per lo Stato che sembra mantenersi il richiamo alla disciplina prevista dall’art. 6 del T.U. n. 165/2001 (art. 11 comma 1 del Decreto in esame).

L’inapplicabilità alla dirigenza della normativa di tutela posta dalla Statuto dei lavoratori.

Resta da fare un’ultima considerazione, quella riguardante la posizione del lavoratore nel nuovo sistema proposto. Prescindendo da ogni considerazione sulla attuabilità di un meccanismo complesso e confuso in presenza dell’articolo 97 della Costituzione, che impone definizioni precise (ex lege) dell’ordinamento degli uffici, si vuole far notare che un sistema siffatto (con particolare riferimento ai segretari iscritti a ruolo e privi di incarichi, ed anche a chi presta attività lavorativa in più enti associati fra loro) prescinde completamente dalla individuazione della figura di un datore di lavoro, termine necessario per la stessa possibilità di applicare la normativa prevista dallo Statuto dei lavoratori, che prevede servizi ispettivi e controlli di vario genere, da applicarsi su carichi di lavoro e su modalità di espletamento della prestazione lavorativa (non imputabili ad un unico centro di riferimento), per una giusta tutela dai rischi professionali e salvaguardia della salute stessa del lavoratore, che potrebbe essere gravemente compromessa in presenza di una organizzazione tutta orientata alle economie di spesa e poco attenta alle persone.

Roma 6 ottobre 2016

Maria De Zio (L.A.SE.C.)

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