09/06/2020 – Proprietà privata condominiale ed estensione del diritto di uso pubblico: il caso della concessione a plateatico

Proprietà privata condominiale ed estensione del diritto di uso pubblico: il caso della concessione a plateatico
di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
 
Area verde privata gravata da servitù pubblica: da area verde a plateatico per pubblico esercizio
La controversia affrontata dalla Sentenza del Consiglio di Stato n. 2999 del 12 maggio 2020 riguarda l’occupazione di suolo. Il fatto trae origine dalla presenza di un condominio realizzato mediante un piano di recupero urbanistico costituito da quattro piani fuori terra a forma di “ferro di cavallo”, mentre il quarto lato dl complesso si apre su una piazzola, sempre del condominio. Tale spazio aperto era inizialmente destinato dalle norme tecniche locali a verde pubblico per parchi e aree attrezzate per il gioco dei bambini e dei ragazzi e per il riposo degli adulti, con la possibilità di insediarvi bar, chioschi di ristoro, tettoie aperte, servizi igienici, gioco bambini, con esclusione di attrezzature o campi sportivi. Da convenzione urbanistica, la destinazione a verde pubblico aveva trovato giustificazione nell’esigenza di assicurare una dotazione minima di spazi pubblici a standard.
Su tale piazzola insiste un pubblico esercizio per attività di bar, principalmente diretto a soddisfare le esigenze dei visitatori dell’adiacente ospedale, e dunque aperto solo in orario diurno e serale, ma non notturno. Alcuni anni dopo l’ultimazione dei lavori di costruzione del condominio, una società ha chiesto all’Amministrazione comunale il suolo pubblico della piazzola con tavoli e sedie a servizio dell’esercizio pubblico, e la relativa autorizzazione è stata rilasciata “in via precaria temporale”, senza il pregiudizio del diritto di terzi”, vincolandola contestualmente all’osservanza di alcune “prescrizioni speciali”, tra cui, in particolare, “che il suolo pubblico non venga manomesso, eventualmente sia ripristinato a regola d’arte.
L’impugnazione davanti al T.A.R. dell’autorizzazione al plateatico: sì alla compatibilità del verde pubblico con l’uso a plateatico
In seguito, alcuni condomini hanno impugnato il provvedimento ampliativo davanti al T.A.R., affermando che l’area interessata non era di proprietà pubblica e che, comunque, essa non era utilizzabile come plateatico da parte di un singolo in ragione della sua destinazione servile a beneficio della collettività.
In pendenza di giudizio, si sono succeduti diversi atti ulteriori, uno dei quali diretto a modificare l’occupazione riducendola dagli iniziali 75 mq. a 51 mq. con precisazione del numero di tavolini e di sedie installabili.
Ma il Giudice di primo grado ha rigettato il ricorso, ritenendo legittimo l’agire dell’Amministrazione, sia per quanto è stato possibile ricavare dalla lettura del testo convenzionale, che assume particolare rilievo in quanto al natura del diritto di servitù pubblica nasce proprio da fonte pattizia, sia per la ritenuta compatibilità della funzione di pubblico esercizio dotato di tavolini e sedie, con la destinazione sopra descritta di parchi e ad aree attrezzate per il gioco dei bambini e dei ragazzi e per il riposo degli adulti, in cui possono essere realizzate unicamente costruzioni ad uso bar, chioschi di ristoro, tettoie aperte, servizi igienici, gioco bambini. Nel merito, il Collegio ha stabilito che sedie e tavolini sono infatti qualificabili come ‘attrezzature che servono al riposo degli adulti’; inoltre – ha proseguito – se in un’area verde si possono realizzare costruzioni ad uso bar e chioschi di ristoro, a fortiori vi potranno essere installati sedie e tavolini, che ne sono meri accessori. E – ha aggiunto – proprio questa stessa disposizione, nulla specificando sulla proprietà di tali costruzioni, non preclude in alcun modo che queste siano private, e neppure che siano assentite con un provvedimento comunale che permetta un uso particolare, sebbene parziale e strumentale, di un’area a verde pubblico. In sintesi – per il T.A.R. – non v’è contrasto tra la destinazione a verde pubblico della piazzola citata e l’autorizzazione a plateatico, essendone tale utilizzo pienamente conciliabile con la destinazione ad area verde.
L’appello al Consiglio di Stato
la decisione del Tribunale, favorevole all’impresa di ristorazione, ha provocato il ricorso in appello al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 2999 del 12 maggio 2020 lo ha accolto.
A sostegno, il Collegio d’appello ha approfondito l’istituto delle cc.dd. “servitù di uso pubblico”, in realtà definite correntemente come “diritti di uso pubblico”, le quali pertanto rientrano nel più ampio novero dei diritti reali pubblici di godimento costituiti su immobili di proprietà privata. In concreto, ha utilizzato la norma dell’art. 825 c.c., intitolato “Diritti demaniali su beni altrui”, secondo il quale sono assoggettati al medesimo regime del demanio pubblico di cui all’art. 823 del medesimo codice – ossia sono inalienabili, non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi stabiliti dalle leggi che lo riguardano, e alla loro tutela la pubblica amministrazione che ne è titolare può provvedere in via ordinaria secondo la disciplina dello stesso codice civile apprestata per la difesa della proprietà e del possesso, ovvero mediante azione amministrativa – “i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati negli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi”.
Servitù prediali pubbliche e diritti (o servitù) di uso pubblico: distinzioni
Continua la sentenza n. 2999/2020 nell’illustrazione del sistema delle servitù descritto dal Codice civile. L’articolo 825 c.c. distingue le cc.dd. “servitù prediali pubbliche” e i veri e propri “diritti” (o “servitù”) “di uso pubblico”. Le prime corrispondono ai diritti reali ivi indicati come “costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti”, mentre i secondi corrispondono ai diritti costituiti “per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi”.
Le servitù prediali pubbliche sono pertanto particolari diritti reali spettanti alle pubbliche amministrazioni e che gravano su beni di proprietà privata. I privati risultano in tal senso destinatari di una limitazione del loro diritto in funzione della pubblica utilità segnatamente posta a vantaggio di un bene demaniale, alla stessa guisa dell’istituto della servitù prediale disciplinato dagli artt. 1027 e ss. c.c., e ciò anche se la relativa disciplina è prevalentemente devoluta a leggi speciali e l’imposizione del vincolo servile avviene pertanto mediante l’emanazione di un provvedimento amministrativo. In questo ultimo caso è la stessa disciplina di settore di diritto pubblico che prevede per talune categorie di beni, in ragione di un rapporto di funzionalità fra bene pubblico e bene privato, la costituzione in favore del primo di un diritto reale parziario, quale servitù coattiva: il che accade, ad esempio, per le funicolari aeree, gli elettrodotti, la servitù di scolo delle acque sui terreni posti ai lati (o sottostanti) le strade pubbliche, le servitù militari o quelle aeronautiche.
I diritti di uso pubblico, o comunemente servitù pubbliche (non prediali), consistono in un diritto reale di cui è titolare un ente pubblico al fine del perseguimento di un pubblico interesse e che è gravante su beni appartenenti a privati, seppur in assenza di un rapporto funzionale tra beni. Sulla base di un diritto di uso pubblico una determinata collettività di persone può infatti essere in tal modo ammessa ad una parziale utilizzazione di tali beni che pur rimanendo di proprietà privata, sono ugualmente destinati al soddisfacimento di tale pubblico interesse. L’esempio più significativo è costituito dalle strade o spazi privati aperti al pubblico passaggio, come accade, tra l’altro, per le cc.dd. “strade vicinali”. I diritti di uso pubblico dispongono a favore delle collettività non per l’utilità di un bene demaniale, ma bensì in quanto ogni membro della collettività medesima può legittimamente fruire del bene asservito nei limiti del relativo vincolo al pubblico interesse, realizzato mediante la costituzione di un diritto reale parziale, non obliterante la proprietà privata, ma che ne funzionalizza il contenuto al pubblico interesse. Nelle servitù di uso pubblico, al peso gravante sul fondo servente corrisponde dal lato attivo il conseguimento di fini di pubblico interesse da parte di una comunità di persone considerate uti cives, sicché la loro connotazione peculiare è data dalla generalità di un uso indiscriminato da parte dei singoli e dalla oggettiva idoneità del bene privato al soddisfacimento di tale interesse collettivo.
L’applicazione al caso concreto dello spazio condominiale privato assoggettato all’uso pubblico
Esclusa la sussistenza di una servitù prediale pubblica, il Collegio ha ritenuto illegittimo l’atto di autorizzazione all’occupazione anche temporanea dello spazio a plateatico, argomentando nel contesto dell’art. 825 c.c., per cui l’ente pubblico non può disporre in ordine alle aree private assoggettate a servitù pubblica oltre i limiti necessari per garantire la perdurante insistenza sul bene del diritto di proprietà del privato. In tal senso, l’ente pubblico titolare del diritto parziario demaniale non può esercitare, sui beni assoggettati a diritto di uso pubblico, i poteri che di norma spettano all’ente medesimo sui beni integralmente rientranti nel proprio demanio, e in primis quello di concedere a singoli privati un uso eccezionale dei beni medesimi. Infatti, la concessione di un uso esclusivo a un terzo del bene privato “funzionalizzato” ai sensi dell’art. 825 c.c. all’uso pubblico, violerebbe per certo l’utilizzo del bene da parte dell’intera comunità di cui il Comune è il soggetto esponenziale nonché garante dei relativi diritti e interessi.

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