09/03/2020 – La folle storia dell’esternalizzazione ed internalizzazione delle attività di pulizia nelle scuole

La folle storia dell’esternalizzazione ed internalizzazione delle attività di pulizia nelle scuole
 
Verso la fine degli anni ’90 del secolo scorso imperava il comandamento di privatizzare ed esternalizzare praticamente tutto, nella PA.

Nei comuni erano considerati molto bravi segretari comunali e funzionari che seguivano questo “credo”. Da lì, la costituzione senza controllo di società pubbliche, molte delle quali inutili, o metodi scriteriati (quanto trendy) di gestione dei tributi e delle stesse entrate, con i micidiali swap, corollari di metodi ritenuti molto “manageriali” e, quindi, per forza utili ed efficaci.

A livello generale, lo Stato impose agli enti locali un esodo di massa del personale ATA (tra i quali i “bidelli), che transitarono (con perdite: vi fu un disastro su composizione e gestione dei fondi della contrattazione decentrata) dagli organici locali, a quelli del Miur.

Ma, poi, continuando l’ubriacatura del managerialismo d’accatto, anche il Miur ha esternalizzato i servizi.

Per poi rendersi conto che spendeva troppo. Allora, ha prima cercato di rivedere i prezzi degli appalti Consip. Ma, poi, le imprese di pulizia hanno fatto presente che avrebbero licenziato circa 18.000 addetti.

Quindi ci si è inventato l’acquisto, dalla medesime imprese di pulizia, di “lavoretti” di manutenzione, oltre che di pulizia, per mantenere inalterato il volume della spesa degli appalti. Senza nessun costrutto.

Alla fine, il Miur ha deciso di “reinternalizzare” il servizio.

E ora alcune imprese si rivolgono ai Tar, contro questa scelta.

Una storia di ordinaria follia amministrativa, figlia dei disastri normativi ed organizzativi degli anni ’90. Disastri che stiamo pagando ancora, ai quali, purtroppo, nel corso dei successivi 20 anni se ne sono aggiunti molti altri…

La sentenza del Tar Lazio, Roma, Sezione 3B, 4.3.2020, n. 2899 racconta molto meglio di come sintetizzato sopra l’agghiacciante vicenda…

Pubblicato il 04/03/2020

N. 02899/2020 REG.PROV.COLL.
N. 01170/2020 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 1170 del 2020, proposto da

L’Operosa Scarl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Silvia Marzot, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Massimiliano Brugnoletti in Roma, via Antornio Bertoloni 26/B;

contro
Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la Funzione Pubblica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Ministero Istruzione, Ministero Universita e Ricercca, Ministero per la Pubblica Amministrazione non costituiti in giudizio;

nei confronti
Alma Ciappelloni non costituito in giudizio;
per l’annullamento
a) In via cautelare: sospendere l’efficacia dei provvediemnti imp-gnati
b) In via pregiudiziale: ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale nei riguardi dell’art. 58 del decre-to legge 21 giugno 2013 n 69 convertito, come modificato, dalla lgge 9 agosto 2013 n 98, come modificato dall’art. 1 comma 760 della legge 145 del 2018 (come integrato dall’art. 2 del dl 126 del 2019, convertito in legge n 159 del 2019), per violazione degli articoli 3, 41, 97 della Costituzione,
c) In via pregiudiziale: disporre il rinvio ex art. 267 del Trattato alla Corte di Giustizia;
d) In via principale e nel merito: annullare i provvedimenti impugnati
e) In via subordinata nel merito: previa disapplicazione dei provvedimenti impugnati, autorizzare la ricorrente a continuare il servizio di pulizie degli istituti scolastici, con riferimento alla gara Consip di cui in narrativa, lotto 13, sino alla data del 30 giugno 2020 e/o accogliere l’istanza risarcitoria.
Con condanna al pagamento delle spese.
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca e di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e di Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la Funzione Pubblica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2020 il dott. Emiliano Raganella e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso epigrafato la ricorrente, società appaltatrice del servizio di pulizia nei confronti di istituti scolastici, ha chiesto l’annullamento del Decreto MIUR n. 2220 del 6 dicembre 2019 con il quale è indetta la procedura selettiva finalizzata all’assunzione a tempo indeterminato del personale che ha svolto servizi di pulizia ed ausiliari presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, in qualità di dipendente a tempo indeterminato di imprese titolari di contratti per lo svolgimento di tali servizi nonché del Decreto MIUR n. 1074 del 20 novembre 2019 con il quale con il quale venivano fissati, in via prodromica rispetto all’indizione della procedura di selezione, i requisiti per la partecipazione alla stessa nonché le modalità e i termini di presentazione delle domande dei candidati.
Ha riferito di svolgere, in qualità di appaltatore, attività di fornitura del servizio di pulizia nei confronti di istituti scolastici. In particolare è stata aggiudicataria del lotto 23.
Ha riferito che il termine per le singole amministrazioni per notificare alla società un ordine di fornitura in applicazione della Convenzione Consip è scaduto il 26 maggio 2019 ma i singoli ordini instaurano un rapporto quadriennale con la Società sicché attualmente ha ancora in essere contratti di fornitura e che i contratti in essere non scadranno prima di luglio 2020.
Si è costituito in giudizio il MIUR chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla camera di consiglio del 3 marzo 2020, previo avviso alle parti ex art 60 c.p., la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso non può trovare accoglimento.
Tutte le censure proposte nel ricorso sono state affrontate funditus in casi analoghi da questa Sezione (sentenza. n. 2821/2020) le cui argomentazioni sono di seguito integralmente richiamate”
Con il primo articolato motivo di ricorso ha dedotto: Violazione di legge per contrasto con norme costituzionali. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e violazione degli artt. 1, 3, 36 e 97 cost. Illegittimità costituzionale della disposizione di cui all’articolo 58 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, come modificato dall’art. 1, comma 760, legge n. 145 del 30 dicembre 2018 e infine dall’art. 2, co. v, decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126 per contrasto con gli artt. 1, 3, 36 e 97 cost. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e violazione degli artt. 1, 3, 36 cost. sotto altro profilo illegittimità costituzionale della disposizione di cui all’articolo 58 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, come modificato dall’art. 1, comma 760, legge n. 145 del 30 dicembre 2018 e infine dall’art. 2, co. v, decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126 per contrasto con gli artt. 1, 3, 36 sotto altro profilo. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e violazione dell’art. 97 cost. sotto altro profilo illegittimità costituzionale della disposizione di cui all’arti-colo 58 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, come modificato dall’art. 1, comma 760, legge n. 145 del 30 dicembre 2018 e infine dall’art. 2, co. v, decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126 per con-trasto con l’art. 97 sotto altro profilo. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e violazione degli artt. 41 e 118 cost. illegittimità costituzionale della disposizione di cui all’arti-colo 58 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, come modificato dall’art. 1, comma 760, legge n. 145 del 30 dicembre 2018 e infine dall’art. 2, co. v, decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126 per contrasto con gli artt. 41 e 118 cost
In sintesi, la ricorrente contesta la ragionevolezza e la proporzionalità delle disposizioni in esame in quanto nessun lavoratore precario ottiene la stabilizzazione della sua posizione e l’operazione posta in essere determinerà tra gli stessi precari 7.000 esuberi nonché deduce che per tutelare i lavoratori precari non è necessario internalizzare l’intero settore. I lavoratori possono essere tutelati anche all’interno degli appalti, che possono costituire uno strumento per perseguire politiche sociali (ad plen 8/2019). Inoltre, in spregio dell’art 3 Cost., i dipendenti pubblici si troverebbero in una posizione più favorevole dei dipendenti privati. Infine in violazione degli artt. 41 e 118 Cost. la citata internalizzazione del settore comporta l’eliminazione di tale mercato concorrenziale e la cancellazione di un intero settore in cui i privati esprimono la propria iniziativa economica, creando opportunità di lavoro e fornendo servizi allo Stato.
 
Ha proposto infine in subordine: istanza di rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia europea ai sensi dell’art. 267 tfue per violazione degli artt. 106 e 21 tfue e 41 cedu, e violazione dei principi di proporzionalità, buona amministrazione e concorrenzialità.
La censura è infondata.
Fino alla Legge n. 124 del 1999 i servizi di pulizia e gli altri servizi ausiliari presso le Istituzioni scolastiche statali erano garantiti, oltre che dal personale dipendente dallo Stato con il profilo di collaboratore scolastico (ex bidello), anche dai Comuni, i quali vi provvedevano sia attraverso personale alle proprie dipendenze, che mediante il ricorso ad imprese esterne che impiegavano ex lavoratori socialmente utili. La sopra citata normativa ha previsto il subentro dello Stato agli Enti locali nei rapporti di lavoro col personale dipendente dai Comuni, addetto ai servizi di pulizia ed ausiliari nelle Istituzioni scolastiche. Allo stesso tempo, sempre in virtù della suddetta Legge, lo Stato è subentrato anche nei contratti con le imprese che svolgevano servizi di pulizia presso le Istituzioni scolastiche e che impiegavano circa 16.000 ex lavoratori socialmente utili. Ne è scaturito il necessario congelamento di 11.857 posti dell’organico dei collaboratori scolastici presso le Istituzioni scolastiche.
Dall’anno 2009, a seguito di un processo di progressiva razionalizzazione della spesa per l’acquisto dei servizi di pulizia ed ausiliari delle Istituzioni scolastiche, le stesse hanno aggiudicato i predetti servizi mediante adesione a convenzioni Consip.
Il MIUR ha riferito che ciò ha permesso una riduzione della spesa erogata in favore delle imprese che impiegavano ex lavoratori socialmente utili. Si è passati infatti da una spesa storica pari a oltre 500 milioni di euro annui ad un diverso onere corrispondente a 292 milioni di euro all’anno a partire dal 2014, anno di attivazione delle Convenzioni Consip.
Successivamente, a seguito di una prodromica e analitica attività di misurazione del fabbisogno dei servizi di pulizia presso le istituzioni scolastiche e di studio delle condizioni offerte dal mercato, condotta da Consip spa negli anni compresi tra il 2009 e il 2012, è stato rilevato che al fine di garantire il medesimo livello di servizi erogato in precedenza, grazie ad un’opera di razionalizzazione, l’Amministrazione scolastica poteva ottenere una riduzione di spesa di oltre 200 milioni di euro all’anno. Risultava infatti essere sufficiente ed adeguata una spesa di 292 milioni di euro annui, anziché di circa 500 milioni all’anno, per acquistare i servizi di pulizia e di ausiliariato necessari a garantire le condizioni di igiene previste dalla normativa vigente in tutti i plessi scolastici interessati dall’esternalizzazione del servizio sul territorio nazionale.
L’Amministrazione scolastica, tuttavia, dopo che le procedure di evidenza pubblica erano state completate, a partire dal mese di Gennaio 2014, al momento della effettiva attivazione delle Convenzioni Consip, si è trovata a dover affrontare la difficilissima questione sociale sollevata dalle imprese del settore le quali, a fronte della razionalizzazione del servizio, hanno avviato procedure di licenziamento collettivo nei confronti di una platea di circa 18.000 lavoratori dipendenti. Ciò sul presupposto che la riduzione dei servizi aveva come unica ed inevitabile conseguenza la fuoriuscita dal mercato del lavoro di una così vasta platea di lavoratori.
Per ovviare all’impatto negativo di tali scelte sui livelli occupazionali degli ex lavoratori socialmente utili, con accordi governativi, è stato avviato il progetto “Scuole Belle”. Esso prevede l’acquisto di servizi di piccola manutenzione presso le Istituzioni scolastiche da imprese che erogano servizi di pulizia ai sensi delle Convenzioni Consip per una spesa che si aggiunge quindi a quella per la pulizia delle scuole e che è quantificabile in un importo pari a 192 milioni di euro all’anno.
A partire dal 2014 pertanto in tutti i lotti del territorio nazionale le scuole hanno attivato i rapporti contrattuali previsti dalle vigenti Convenzioni Consip per un importo complessivo di 292 milioni di euro e, contestualmente, mediante lo stanziamento di appositi finanziamenti stanziati “a singhiozzo” con una cadenza periodica (pressoché semestrale) hanno avuto l’opportunità di acquistare interventi aggiuntivi di decoro e di piccola manutenzione delle scuole (tinteggiatura delle aule, giardinaggio, piccole riparazioni, ecc.) sino al raggiungimento del livello economico di 192 milioni di euro all’anno. Tali interventi sono stati acquistati in misura significativamente più elevata nelle province ove vi era una più alta concentrazione di lavoratori dipendenti delle imprese, come, ad esempio, Napoli (che vede impegnati allo stato circa 3.300 dipendenti) E così si è proseguito, di anno in anno, sino alla data odierna arrivando a raggiungere un livello di spesa annuo pari a (292+190=) 482 milioni di euro.
Il MIUR ha inoltre rappresentato che la gestione degli appalti dei servizi di pulizia nel contesto scolastico ha portato a fortissime difficoltà amministrative ed organizzative, a carico dei dirigenti scolastici i quali, anziché poter disporre di collaboratori scolastici, si sono trovati a dover gestire degli appalti di notevole complessità in un contesto nel quale occorrerebbe invece introdurre misure di semplificazione amministrativa. Da questi rapporti contrattuali sono scaturiti poi ingenti contenziosi. Si pensi, solo a titolo esemplificativo, che l’Amministrazione negli anni pregressi, al fine di prevenire un contenzioso di circa 170 milioni di euro prospettato dalle aziende mediante apposite diffide, si è trovata costretta a dover attivare un percorso transattivo a livello nazionale per problematiche derivanti da contestazioni non risolte con le singole istituzioni scolastiche (connesse per lo più all’asserito mancato adeguamento del costo del lavoro) per un ammontare di oltre 50 milioni di euro.
Il bando oggi impugnato è attuativo della ricordata l. n. 145/2018, nella parte in cui ha modificato il disposto di cui al D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013 n. 98 – recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” – a mezzo, in particolare, dell’art. 1, comma 760, della citata legge.
Il comma 5-bis dell’art. 58 del citato D.L. n. 69/2013 ha disposto che a decorrere dal 1° gennaio 2020, le istituzioni scolastiche ed educative statali svolgano i servizi di pulizia e ausiliari unicamente ricorrendo a personale dipendente ed appartenente al profilo dei collaboratori scolastici.
Il successivo comma 5-ter dell’art. 58 del D.L. n. 69/2013, invece, ha autorizzato Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ad avviare un’apposita procedura selettiva, per titoli, finalizzata ad assumere a tempo indeterminato alle dipendenze dello Stato, a decorrere dal 1° marzo 2020 (non più dal 1° gennaio 2020 per effetto delle modifiche apportate dal DL n. 126/2019), il personale impegnato presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per lo svolgimento di servizi di pulizia e ausiliari, per almeno 10 anni, anche non continuativi – purché vi siano inclusi il 2018 e il 2019 – e che in precedenza sia stato dipendente a tempo indeterminato di imprese titolari di contratti per lo svolgimento dei predetti servizi 23.
Il comma 5-quater dell’art. 58 del D.L. 69/2013, ha autorizzato le predette assunzioni anche per la copertura dei posti resi nuovamente disponibili ed ha altresì autorizzato le assunzioni anche a tempo parziale4.
La procedura, dunque, si colloca in continuità funzionale con il ripensamento dei servizi di pulizia all’interno delle istituzioni scolastiche in rapporto alla precedente politica di esternalizzazione degli stessi, avuto riguardo alle esigenze di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, oltreché di salvaguardia dei livelli occupazionali garantiti ai dipendenti di questo settore all’esito del ripristino integrale della gestione pubblica del comparto considerato per le scuole.
Il collegio ritiene non sussistenti i presupposti per sollevare questione di legittimità costituzionale della previsione di legge.
La scelta in questione, di carattere prettamente politico, non appare contrastare con i principi costituzionali descritti da parte del ricorrente. Il legislatore ha optato per una gestione diretta del settore della collaborazione scolastica tramite dipendenti pubblici, selezionati tramite un pubblico concorso, e soggetti che nei rapporti con gli utenti (nel caso di specie alunni) sono soggetti alla normativa di carattere pubblicistico; tale sistema consente allo Stato di gestire un settore di rilievo, strettamente collegato alla istruzione scolastica, perseguendo altresì la finalità di superare il precariato storico nel settore.
Il legislatore ha operato una scelta coerente d’altro canto con il generale principio di libertà e autodeterminazione dei soggetti pubblici nell’organizzazione dei servizi di interesse generale, in base al quale gli Stati possono optare liberamente tra il regime di autoproduzione del servizio e quello di esternalizzazione (collocati dall’ordinamento europeo su un piano di equiordinazione) e solo nel secondo caso incombe sull’amministrazione l’obbligo di operare nel pieno rispetto dell’ulteriore principio della massima concorrenzialità fra gli operatori di mercato (si veda a titolo esemplificativo il considerando 5 della direttiva 2014/24/UE, ai sensi del quale “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”; l’art. 1, c. 4, della stessa direttiva dispone: “La presente direttiva fa salva la libertà, per gli Stati membri, di definire, in conformità del diritto dell’Unione, quali essi ritengano essere servizi d’interesse economico generale, in che modo tali servizi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole sugli aiuti di Stato, e a quali obblighi specifici debbano essere soggetti. Analogamente, la presente direttiva fa salva la possibilità per le autorità pubbliche di decidere se, come e in che misura desiderano espletare funzioni pubbliche autonomamente in conformità dell’articolo 14 TFUE e del protocollo n. 26”; nello stesso senso depone anche l’art. 2 della direttiva 2014/23/UE, nonché la giurisprudenza europea si veda tra le altre CGUE 9 giugno 2009, C-480/06, secondo cui “un’autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi e [può] farlo altresì in collaborazione con altre autorità pubbliche”)
Ne discende da un lato l’assenza di un contrasto con il principio di ragionevolezza – sia in senso assoluto, perché la scelta di internalizzare il servizio non appare illogica, sia in senso relativo posto che non si rinviene un trattamento deteriore, costituzionalmente rilevante, con altri soggetti dell’ordinamento –, dall’altro la considerazione che, in un settore in cui non emerge una soluzione costituzionalmente vincolata (il riferimento alla carenza di soluzione costituzionalmente vincolato viene evidenziato in altro settore da Corte cost., 25 luglio 2019, n. 206), spetta al legislatore individuare le preferibili modalità di gestione di un dato settore. Come già evidenziato la normativa in questione non appare contrastare con norme costituzionali e risulta non irragionevole, trattandosi di lavoratori che fanno parte del sistema dell’istruzione e si trovano a collaborare con insegnanti e sono in costante rapporto con gli alunni.
Con riferimento al requisito della proporzionalità deve ritenersi che, contrariamente a quanto ritenuto da parte ricorrente, l’integrale internalizzazione del servizio appare uno strumento adeguato per gestire in modo uniforme il sistema ed evitare differenziazioni che potrebbero apparire prive di adeguate ragioni giustificative.
Per quanto concerne il numero dei lavoratori assunti e il rapporto con il superamento del precariato è sufficiente osservare che la stabilizzazione all’interno del settore pubblico assume garanzie differenti da quelle del settore privato e rientra nell’ambito di una scelta gestionale di carattere complessivo e generale. Il numero delle stabilizzazioni deve inevitabilmente tenere in considerazione le risorse finanziarie disponibili e il fabbisogno, ne discende che non si rinvengono elementi di incostituzionalità nella previsione di un limite di 11.263 collaboratori da assumere, ferma la possibilità di integrare il numero mediante successivi concorsi.
Con riferimento all’art. 41 Cost, la Corte ha costantemente negato che sia «configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale», oltre, ovviamente, alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana, ai sensi dell’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione dell’utilità sociale «non appaia arbitraria» e, «per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue» (ex plurimis, sentenze n. 247 e n. 152 del 2010; n. 167 del 2009).
Questi principi, secondo la giurisprudenza costituzionale, devono essere osservati anche nella disciplina legislativa di un’attività economica considerata quale pubblico servizio, che è pur sempre espressione del diritto di iniziativa economica garantito dall’art. 41 Cost., con la particolarità che al regime di ogni servizio pubblico è connaturale l’imposizione di controlli e programmi per l’indirizzo dell’attività economica a fini sociali, sicché in tali ipotesi «[…] la individuazione da parte del legislatore dell’utilità sociale può sostanziarsi di valutazioni attinenti alla situazione del mercato» e «può dar luogo ad interventi legislativi tali da condizionare in qualche modo le scelte organizzative delle imprese», sempre che l’individuazione dell’utilità sociale non appaia arbitraria e che gli interventi del legislatore non perseguano l’individuata utilità sociale mediante misure palesemente incongrue, ed in ogni caso che l’intervento legislativo non sia tale da condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre la funzionalizzazione dell’attività economica di cui si tratta sacrificandone le opzioni di fondo» (sentenza n. 548 del 1990).
Nel caso di specie si tratta di internalizzazione di un sistema accessorio a quello scolastico reso presso istituzioni pubbliche, mentre presso istituzioni non statali rimane la libertà degli operatori privati di gestire e organizzare il sistema produttivo secondo le modalità ritenute preferibili.
Occorre precisare che il legislatore non ha monopolizzato un settore ovvero espropriato un’attività privata, ma si è limitato a prevedere la gestione autonoma, con esclusione della sua esternalizzazione e, quindi, dell’apertura al mercato, di un servizio accessorio e indispensabile alla istruzione scolastica.
E’ inammissibile infine l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in quanto generica e sostanzialmente ripetitiva dei profili di incostituzionalità descritti in precedenza.
La censura pertanto deve essere respinta.
Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto: Violazione di legge per contrasto con l’art. 3 e l’intero capo III della l. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione del principio costituzionale del giusto procedimento e dell’art. 41 cedu (principio comunitario di buona amministrazione). Violazione degli artt. 24 e 113 cost. Illegittimità costituzionale dell’art. 58 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, come modificato dall’art. 1, comma 760, legge n. 145 del 30 dicembre 2018 e infine dall’art. 2, co. v, decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126 in relazione agli artt. 24 e 113 cost.
Il motivo di ricorso non può trovare accoglimento, da un lato, in quanto la previsione del bando in oggetto deriva direttamente dalla legge, dall’altro, perché si tratta in tutta evidenza di un atto a contenuto generale, i cui destinatari saranno determinati a posteriori, in relazione a coloro che decideranno di partecipare alla selezione, rivolta a un numero di soggetti come limitato, come tutte le procedure concorsuali riservate ovvero in cui sono previsti rigorosi requisiti. Ne discende che il Ministero ha correttamente coinvolto nel procedimento in questione gli enti per i quali il coinvolgimento era previsto espressamente dalla legge, mentre non si rinvengono obblighi e, quindi, vizi di legittimità derivanti dal mancato coinvolgimento delle associazioni sindacali rappresentative di determinate categorie professionali (fermo restando che il relativo vizio andrebbe contestato dalla categoria al quale è riferibile e non dal singolo interessato). Analogamente non si rinvengono violazioni di analogo tenore e quindi relative alla partecipazione procedimentale con riferimento al diritto europeo, trattandosi di disposizioni dirette ad applicarsi nell’ordinamento interno in cui non si rinvengono elementi di rilievo europeo. Per quanto concerne la motivazione dell’atto lo stesso appare, da un lato, adeguatamente fondato sulla legge, dall’altro la censura appare generica nella parte in cui non indica la parte della legge e del provvedimento amministrativo che intende censurare. Qualora sia diretta all’intera caducazione della legge e quindi del provvedimento amministrativo attuativo in relazione alla scelta di internalizzazione del sistema, la soluzione adottata dal legislatore appare esente dalle censure in questione e rientrante, come accennato, nell’ampia discrezionalità di cui è titolare il legislatore con riferimento alla determinazione delle attività e dei servizi da svolgere in via diretta e quali lasciare al libero mercato, fermo restando che una parziale internalizzazione era già prevista dalla normativa previgente e si tratta di attività collegata a quella educativa e dell’istruzione.
Con ulteriore motivo di censura parte ricorrente ritiene che l’art. 58 del d.l. n. 69 del 2013 contrasti con gli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU in quanto la previsione del concorso tramite lo strumento legislativo esclude la possibilità di un ricorso giurisdizionale. A prescindere dai limiti entro i quali astrattamente possa essere qualificata l’atto in oggetto come legge provvedimento, sul punto si può richiamare l’orientamento della giurisprudenza amministrativa in tema di leggi provvedimento, da intendersi come quelle che contengono disposizioni dirette a destinatari determinati (Corte Cost., sent. n. 154 del 2013, n. 137 del 2009 e n. 2 del 1997), ovvero incidono su un numero determinato e limitato di destinatari (Corte Cost., sent. n. 94 del 2009), che hanno contenuto particolare e concreto (Corte Cost., sent.n. 20 del 2012, n. 270 del 2010, n. 137 del 2009, n. 241 del 2008, n. 267 del 2007 e n. 2 del 1997) e che comportano l’attrazione alla sfera legislativa della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all’autorità amministrativa (Corte Cost., sent. n. 94 del 2009 e n. 241 del 2008). La legge provvedimento non è di per sé in contrasto con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione, poiché nessuna disposizione costituzionale comporta una riserva agli organi amministrativi o esecutivi degli atti a contenuto particolare e concreto” (Corte Cost., sent. n. 85 del 2013 e n. 143 del 1989). Ne discende che, per i soggetti lesi da tali disposizioni normative, poiché la forma di tutela segue la natura giuridica dell’atto contestato, i diritti di difesa si trasferiscono dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale, trovando la protezione del privato, dunque, riconoscimento attraverso il sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge, (in tal senso, ex multis, Cons. St., sez. III, 25 novembre 2014, n. 5831)”. Ne discende che la possibilità di tutela giurisdizionale non è esclusa per legge e non si rinvengono violazioni delle disposizioni convenzionali citate.
La censura deve essere respinta.
Con il terzo motivo ha dedotto: Violazione di legge per contrasto con l’art. 2112 codice civile. Violazione dell’art. 81 cost. e della regola della necessaria copertura finanziaria dei provvedimenti governativi.
Illegittimità costituzionale dell’art. 58 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, come modificato dall’art. 1, comma 760, legge n. 145 del 30 dicembre 2018 e infine dall’art. 2, co. v, decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126 in relazione all’art. 36 cost.
Deduce che il risultato concreto è il trasferimento di un’attività economica dalle imprese private in regime di appalto allo Stato direttamente e che la mancata applicazione dell’art. 2112 c.c. determina una contrazione del diritto al lavoro e pertanto viola art. 36 Cost.
Il motivo è infondato.
 
A prescindere dal fatto che nel caso di specie manca un effetto traslativo e l’assunzione riguarda solo lavoratori e non il complesso di beni e servizi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (cfr. sul punto Cass. civ., 6 dicembre 2016, n. 24972, secondo cui In caso di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi, non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall’appaltatore cessato al trasferimento automatico all’impresa subentrante, ma occorre accertare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c., mediante il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del “know how” o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti ostandovi il disposto dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza eurounitaria che consente, ma non impone, di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla Dir. n. 2001/23/CEE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda; in senso conforme Cass. civ., 29 marzo 2019, n. 8922), deve osservarsi che è lo stesso legislatore ad aver previsto la deroga, in tesi, all’art. 2112 c.c. con norma cronologicamente successiva e speciale. Ne discende che i provvedimenti impugnati in quanto fondati sul legge posteriore e speciale non sono illegittimi per il motivo di ricorso descritto da parte ricorrente.
In ogni caso una tale scelta non appare lesiva, in relazione alla censura descritta da parte ricorrente, dell’art. 36 Cost., posto che rientra nell’ambito di un progetto di internalizzazione complessivo del settore e non si rinviene in modo diretto né il rapporto tra la riduzione del lavoro e la disposizione di legge in questione, né una tutela diretta di tale principio nell’art. 36 sulla base delle argomentazioni della ricorrente.
Con il quarto motivo di ricorso ha dedotto: Violazione di legge per contrasto con diritto alla libera circolazione dei lavoratori UE all’interno dell’UE in quanto la domanda verrebbe presentata esclusivamente per la provincia in cui ha sede la scuola in cui presta servizio. Violazione di legge – art. 97 Cost. – regola del concorso.
 
Il motivo di ricorso è inammissibile, in quanto tale previsione non pregiudica né direttamente né indirettamente la posizione giudica soggettiva della ricorrente il cui interesse è evidentemente quello di proseguire la gestione degli appalti dei servizi di pulizia nelle scuole.
La censura, pertanto, deve essere respinta.
Con il quinto motivo ha dedotto: Violazione di legge – art. 97 Cost. – Violazione di legge per contrasto con l’art. 97 cost. e la regola del concorso.
Il motivo di ricorso è infondato.
Il collegio non ravvisa elementi per sollevare questione di legittimità costituzionale. Come già evidenziato la stessa Corte Costituzionale ha statuito che “la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico è rigorosamente limitata, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle” (Corte Cost. n. 225/2010; Corte Cost., 10 novembre 2011 n. 299). Occorre infatti considerare che “compete al legislatore, nel rispetto dei limiti di non arbitrarietà e ragionevolezza, individuare i casi eccezionali in cui il principio del concorso può essere derogato, come avvenuto nel caso di specie, in cui il legislatore ha disegnato un piano di reclutamento straordinario, riservato a una peculiare categoria di destinatari, parallelamente al canale di reclutamento ordinario. Naturalmente, la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del pubblico concorso, di cui all’art. 97 Cost., deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’Amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle” (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III Bis, 4/4/2017, n. 4192).
Nel caso di specie, il meccanismo introdotto dal legislatore appare rispondente ai citati canoni, in quanto prevede dei concorsi di carattere straordinario e riservati, al fine di superare il precariato esistente e per porre un rimedio ad alcune situazioni peculiari. L’elevato numero di posti previsti è correlato alla scelta politica di internalizzare il settore.
Più in particolare e come già evidenziato, le esigenze connesse allo svolgimento di un concorso di carattere straordinario con elevato numero di posti costituisce una conseguenza della scelta adottata dalla stessa amministrazione di internalizzare il sistema. Dall’internalizzazione del sistema deriva l’esigenza di assumere un consistente numero di persone in poco tempo e, contestualmente, di evitare che i soggetti che svolgevano le citate funzioni in passato possano essere automaticamente tagliate fuori dal mercato. Pertanto, la ratio del concorso straordinario e riservato è da rinvenirsi nella esigenza di evitare un problema sociale, derivante dalla internalizzazione del servizio e consistente nella esclusione dal mercato del lavoro di alcune categorie di soggetti che difficilmente potrebbero trovare nuova collocazione nel mercato di lavoro.
Sempre con riferimento alla allegata deroga al principio del pubblico concorso si segnala che la scelta del contingente numerico da assumere non è diretta a escludere la possibilità di assumere altri soggetti mediante procedure ordinarie ovvero ad escludere che altre categorie di lavoratori prive dei requisiti richiesti dalla norma di legge possano partecipare ai concorsi diretti alle assunzioni di collaboratori scolastici.
Si deve infatti considerare che, ai sensi di quanto espressamente previsto dall’art. 58, comma 5 sexies, DL n. 69/2013, è prevista un’ulteriore fase del processo amministrativo che consentirà di effettuare, a decorrere dall’1 gennaio 2021, nuove assunzioni di collaboratori scolastici sui posti resisi disponibili, allargando i requisiti di partecipazione al “personale impegnato per almeno cinque anni” (in luogo di 10), “anche non continuativi, purché includano il 2018 e il 2019, presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per lo svolgimento di servizi di pulizia e ausiliari, in qualità di dipendente a tempo determinato o indeterminato di imprese titolari di contratti per lo svolgimento dei predetti servizi”.
Dalla citata previsione deriva anche che il concorso in questione non è finalizzato a esaurire il settore di riferimento, potendo essere previste ulteriori forme di assunzione sia destinate ai soggetti con le caratteristiche descritte dalla citata norma sia per quanto riguarda i soggetti che hanno acquisito il titolo per divenire collaboratori scolastici.
Le previsioni legislative in questione, in quanto d’altro canto inidonee ad esautorare il mercato di riferimento, non escludono lo svolgimento di concorsi ordinari, fermo restando che la peculiarità della situazione dettata dalla scelta legislativa di internalizzare il sistema ha richiesto lo svolgimento di procedure di carattere straordinario per garantire la continuità del lavoro e per apportare una modifica di carattere strutturale allo stesso sistema.
L’eccezionalmente elevato numero di posti messi a concorso e la possibilità che in alcune province vi siano più domande rispetto al numero dei posti costituisce una eventualità inidonea a incidere sulla qualificazione quale concorso della procedura in oggetto e che, d’altro canto, può caratterizzare tutti i pubblici concorsi.
L’aver limitato la procedura di assunzione ai soli soggetti con contratto a tempo indeterminato ed escluso quindi i soggetti con contratto a tempo determinato non appare illogica o irragionevole. Occorre considerare che il legislatore, come già evidenziato, ha considerato la posizione dei soggetti con contratti a tempo determinato ed ha previsto espressamente una seconda tornata concorsuale destinata anche ai soggetti con contratti a tempo determinato e che abbiano maturato cinque anni di esperienza pratica (art. 58, comma 5 sexies, d.l. n. 69 del 2013). Il legislatore ha ritenuto tuttavia di disciplinare in modo differenziato la posizione dei soggetti con contratti di lavoro a tempo determinato e quelli con contratti di lavoro a tempo indeterminato in considerazione della differente impatto sociale derivante dall’uscita dal mercato di lavoro degli uni rispetto agli altri, sia in considerazione delle diverse garanzie di stabilità del rapporto di lavoro dei lavoratori a tempo indeterminato che della consapevolezza dell’esistenza di un termine finale del rapporto di lavoro di cui sono titolari. La valutazione compiuta dal legislatore e la stessa previsione del concorso di carattere straordinario tiene in considerazione e valuta una pluralità di elementi, tra i quali la scelta di internalizzazione del sistema, l’esigenza di garantire un adeguato livello di preparazione dei soggetti interessati in correlazione con il buon andamento dell’amministrazione, le esigenze di contenimento delle spese pubbliche e le conseguenze economiche e sociali derivanti dalla stessa internalizzazione del sistema e, quindi, l’impatto che viene a determinarsi sui lavoratori assunti a tempo indeterminato dalle imprese che lavoravano nel settore. La scelta di limitare questa prima procedura ai lavoratori titolari di contratto a tempo indeterminato non appare pertanto illogica o irrazionale.
Giova precisare in ogni caso che la disposizione di legge deve essere interpretata nel caso di specie, nel senso che il requisito del contratto a tempo indeterminato debba riguardare il solo momento di partecipazione alla procedura concorsuale e non i contratti stipulati dal singolo e necessari a maturare i dieci anni di esperienza. In questo senso depone sia il criterio logico di interpretazione, posto che la citata esigenza di tutela riguarda indifferentemente i soggetti titolari di contratti a tempo indeterminato da uno o più anni sia il senso letterale delle parole posto che il legislatore ritiene sufficiente al fine della maturazione dei 10 anni anche lo svolgimento non continuativo dei servizi in questione.
La censura, pertanto, deve essere respinta.
Con il sesto motivo ha dedotto: violazione dell’art. 97 cost. – violazione del principio di leale colla-
borazione. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento di fatto e contraddittorietà.
Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 – violazione del principio di buon andamento e partecipazione.
La ricorrente deduce che nel 2019 è scaduta la convenzione Consip mentre le amministrazioni aderenti hanno potuto inviare ordini di fornitura validi per ulteriori 4 anni non considerati dai provvedimenti impugnati.
La censura è infondata.
E’ evidente che la disposizione impugnata che internalizza i servizi svolti dalla ricorrente costituisce una causa legittima di risoluzione dei contratti in essere per impossibilità sopravvenuta derivante da “factum principis.
Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto.
Sussistono eccezionali motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Sapone, Presidente
Emiliano Raganella, Consigliere, Estensore
Daniele Profili, Referendario

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