09/02/2017 – L’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. n. 33/2013 dopo la riforma Madia

L’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. n. 33/2013 dopo la riforma Madia

DI PAOLO CANAPARO

Il decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, ha modificato, per molti e rilevanti aspetti, il quadro dispositivo in materia di trasparenza pubblica disegnato dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, adottato in attuazione della delega di cui al comma 35 dell’articolo 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190. Si tratta di un intervento delegato estremamente corposo che riforma profondamente un testo normativo entrato in vigore poco più di tre anni fa, destinato, nell’intendimento del legislatore, evidenziato dai principi e criteri direttivi di delega individuati dalla citata c.d. legge anticorruzione, a definire una disciplina in tema di pubblicità dell’azione amministrativa organica, chiara e stabile, così segnando una netta discontinuità rispetto ad una legislazione in materia estremamente frammentata e stratificata e, in quanto tale, di difficile applicazione ed interpretazione. Le leve di tale intervento correttivo al c.d. Codice della trasparenza – tradotte nella articolata platea di principi e criteri direttivi di delega di cui al comma 1 dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124 – sono sostanzialmente ascrivibili, da un lato, all’esigenza di superare le difficoltà organizzative ed operative emerse in sede di prima attuazione (c.d. interventi manutentivi), che hanno impedito alle pubbliche amministrazioni l’effettiva adesione al nuovo regime di pubblicità dell’azione amministrativa e, per molte di esse, hanno costituito il facile alibi per limitarsi ad un rispetto meramente formale, o anche definito burocratico, del nuovo quadro dispositivo; dall’altro, alla forte spinta a livello internazionale e nazionale a compiere un ulteriore passo per il definitivo allineamento delle regole nazionali di trasparenza al modello di total disclosure di origine anglosassone del Freedom of Information Act (FOIA), mediante l’introduzione dell’accesso civico «libero», nella definizione del Consiglio di Stato nel parere reso all’originario schema di provvedimento governativo. Questa nuova forma di accesso civico – definito anche di seconda generazione – riconosce a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nel  rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti – pubblici e privati – secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis del riformato decreto legislativo n. 33 del 2013. L’esercizio non è sottoposto ad alcuna limitazione della legittimazione soggettiva del richiedente e non necessita di alcuna motivazione. Tale forma di accesso civico si aggiunge peraltro e non sostituisce quella prevista dall’originario articolo 5 del detto decreto, che si sostanzia nella richiesta gratuita di accesso – analogamente senza limitazioni alla legittimazione attiva ed obbligo di motivazione – a quei documenti, informazioni o dati di cui sia stata omessa la pubblicazione obbligatoria sui siti istituzionali, con ciò costituendo, più che un autonomo diritto, uno strumento azionabile per ottenere riscontro in tutte le ipotesi di inosservanza di quei vincoli di diffusione sui siti istituzionali imposti da una espressa prescrizione normativa… (segue)

 

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