07/06/2019 – Manufatti in zona vincolata e ruolo delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo

Manufatti in zona vincolata e ruolo delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo

di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
Adito per la riforma della sentenza del T.A.R. Liguria n. 324/2012 il Consiglio di Stato si sofferma in tema di condono edilizio avuto particolare riguardo agli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico.
Il relativo quadro normativo è dato dagli artt. 31 ss,. L. 28 febbraio 1985, n. 47 (anche con riferimento ai condoni successivi a quello del 1985).
Rileva, in particolare, l’art. 32 secondo cui «il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso».
Avuto, poi, riguardo alla vicenda sottoposta al suo esame l’adito Collegio di Palazzo Spada richiama anche la normativa regionale di riferimento, ovvero l’art. 5L.R. Liguria n. 5 del 2004 che dispone in senso conforme alla normativa nazionale.
Avuto riguardo alla natura giuridica del potere ministeriale di annullamento del parere favorevole alla sanatoria di un immobile realizzato in zona vincolata si sottolinea in sentenza come si tratti non già di un potere di mero controllo bensì di cogestione del vincolo nell’ottica di una difesa – estrema – del paesaggio (Cons. Stato, Sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2262Cons. Stato, Sez. VI, 28 dicembre 2015, n. 5844).
Nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, dunque, all’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 146D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, la Soprintendenza esercita un potere che le consente ex ante di effettuare delle valutazioni di merito amministrativo, con poteri – come detto – di cogestione del vincolo paesaggistico.
Il giudizio affidatole è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell’arte e dell’architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità.
Tale giudizio, pertanto, è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione nonché sotto il profilo dell’adeguata motivazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile (Cons. Stato, Sez. VI, 16 marzo 2018, n. 1675Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2015, n. 5327).
Secondo la giurisprudenza amministrativa consolidata (Cons. Stato, Ad. Plen., 14 dicembre 2001, n. 9 e, più di recente, “ex multis”, Cons. Stato, Sez. VI, n. 300 del 2012), l’eventuale annullamento del nulla osta paesaggistico comunale, da parte della Soprintendenza, risulta riferibile a qualsiasi vizio di legittimità, riscontrato nella valutazione formulata in concreto dall’ente territoriale, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni sua figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta).
L’unico limite che la Soprintendenza competente incontra (in tema di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica) è costituito dunque dal divieto di effettuare «un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall’ente competente tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell’autorizzazione» (Cons. Stato, A.P., n. 9 del 2001 cit.).
Tale limite sussiste, però, soltanto se l’ente che rilascia l’autorizzazione di base abbia adempiuto al suo obbligo di motivare in maniera adeguata in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’opera.
In caso contrario sussiste un vizio d’illegittimità per difetto o insufficienza della motivazione e ben possono gli organi ministeriali annullare il provvedimento adottato per vizio di motivazione e indicare – anche per evidenziare l’eccesso di potere nell’atto esaminato – le ragioni di merito che concludono per la non compatibilità delle opere realizzate con i valori tutelati (Cons. Stato, Sez. VI, 5 marzo 2014, n. 1034).
Si è detto ancora:
– «Nell’esercizio del relativo potere il parere che viene reso dalla Soprintendenza, è atto di esercizio di discrezionalità tecnica e il sindacato del giudice amministrativo, lungi dal poter investire il merito della determinazione adottata, è limitato alla sola verifica della sussistenza di vizi sintomatici dell’eccesso di potere, quali la carenza di istruttoria e il travisamento dei fatti, l’illogicità e l’incongruenza delle valutazioni espresse. La natura vincolante del parere della Sovrintendenza, quale Autorità deputata alla tutela del vincolo, rende recessiva ogni diversa determinazione adottata dall’autorità comunale subdelegata» (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 16 novembre 2018, n. 867);
– «La Soprintendenza dispone di un’ampia discrezionalità tecnico-specialistica nel dare i pareri di compatibilità paesaggistica ed il potere di valutazione tecnica esercitato è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato. Ciò non toglie che anche l’atto di autorizzazione paesaggistica, espressione dell’esercizio di valutazioni tecniche, deve comunque contenere un’adeguata motivazione, e deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria (art. 3, comma 1, L. n. 241 del 1990)» (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 21 giugno 2018, n. 1043).
In particolare, quanto al cennato profilo della motivazione, non è ammissibile che la motivazione di un provvedimento autorizzatorio paesaggistico possa esaurirsi nell’integrale richiamo per relationem di un atto privato, senza esprimere un’autonoma valutazione dell’ente preposto alla cogestione del vincolo (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4481 del 2013).
Nello specifico settore delle autorizzazioni paesaggistiche, la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde a un modello che contempli, in modo dettagliato, la descrizione: I) dell’edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati; II) del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante l’indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni; III) del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l’indicazione dell’impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio (Cons. Stato, Sez. VI, 28 ottobre 2015, n. 4925).
Si consideri ancora che tale onere di puntuale motivazione sussiste in capo alla P.A che rilascia il titolo paesaggistico non solo in caso di diniego del titolo, ma anche per l’ipotesi di assenso, in quest’ultimo caso, dovendosi dare conto dell’iter logico seguito per verificare e riconoscere la compatibilità effettiva degli interventi edificatori in riferimento agli specifici vincoli paesaggistici dei luoghi
In altro passo della sentenza in esame il Collegio di Palazzo Spada precisa come, presupposto per la operatività della normativa statale in materia di condono, sia la permanenza dell’opera da condonare nel corso del relativo iter amministrativo.
Peraltro, nel corso di tale procedimento se, da un lato, sono ammessi i lavori di completamento dell’opera (ex art. 35, comma 12, L. n. 47 del 1985), dall’altro lato non è possibile l’operazione di sostituire un “vecchio” manufatto con un “nuovo”, neppure se quest’ultimo sia, rispetto al primo, identico quanto a volumetria, sagoma e superficie.
In altri termini, qualora una istanza non risulti accoglibile in relazione al manufatto oggetto della domanda (per la preclusione di vincoli o per le sue caratteristiche oggettive), non si può addivenire al rilascio dell’atto di condono per un manufatto ‘diverso’, in loco realizzato in tutto o in parte al posto di quello non condonabile.

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